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03 novembre 2015

I PICCOLI SCHIAVI DEL CACAO, DEL SESSO E DELLE GUERRE PER LE RISORSE

Ecco da dove vengono i profughi "economici" che sfidano la morte nel Mediterraneo
Il primo degli Obiettivi del millennio per lo sviluppo era quello che i governi del mondo si impegnassero ad eradicare la povertà estrema e la fame entro il 2015, ma la realtà è che ancora milioni di africani, asiatici e latinoamericani sopravvivono in miseria e che i più poveri e affamati sono i bambini.  Come spiega  all’Ips Melody Nhemachena, un’assistente sociale indipendente dello Zimbabwe, «In qualsiasi Paese si guardi in Africa, i bambini sono quelli che soffrono la povertà e molti tra loro sono orfani».

Basandosi su un rapporto Unicef del 2003, la Banca Mondiale stima che nel mondo ci siano 400 milioni di minori di 17 anni che vivono in povertà estrema  e la maggioranza di loro sono in Africa e Asia. Le Ong umanitarie dicono che le famiglie povere africane si stanno impoverendo ancora di più  e secondo l’Onu almeno 200.000 minori ogni anno vengono schiavizzati. In una dichiarazione all’IPS, Amukusana Kalenga, che difende i diritti dell’infanzia in Zambia, sottolinea che «Molte famiglie in Africa vivono in una povertà estrema e si vedono obbligate a concedere i loro figli in cambio di cibo a persone teoricamente li faranno lavorare o si occuperanno di loro, però di solito non è così e finiranno col fare lavori forzati e guadagnando quasi nulla».

L’Africa occidentale è una delle regioni dove la moderna schiavitù colpisce di più le donne e i bambini. Dopo che è venuta fuori la tratta delle domestiche e delle lavoratrici del sesso schiave in Tunisia, è emersa anche la schiavitù dei ragazzini che lavorano nelle piantagioni di cacao in Costa d’Avorio, un Paese dove gli indicatori economici sono in ripresa  dopo la guerra civile del 2010-2011, che ha fatto più di 3.000 morti e 500.000 profughi. Ora questo Paese africano attrae manodopera che lavora nei campi di cacao e le famiglie più povere del Burkina Faso, Mali ,  Togo e Benin mandano i loro figli a fare gli schiavi nelle piantagioni.  Secondo un recente rapporto dell’università statunitense di Tulane, tra il  2009 e il 2014, il numero di bambini che lavorano nella produzione di cacao in Africa occidentale è aumentato del 46% e Unicef e governo ivoriano dicono che in  Costa d’avorio i minori schiavi sono passati dagli 800.000 di prima della crisi agli 1,62 milioni di oggi. Questi piccoli lavoratori forzati vengono in gran parte dai Paesi vicini, ma anche dalle zone rurali più povere del nord e del centro della Costa d’Avorio. E’ dal lavoro di questi piccoli schiavi  che viene la cioccolata che mangiamo, visto che il 70% della produzione mondiale di cacao proviente dalla cOsta d’Avorio e dal Ghana.

L’agenzia stampa umanitaria dell’Onu Irin spiega che «La maggioranza del recente aumento del lavoro infantile nei campi di cacao ivoriani risale al 2011. Dopo la crisi post-elettorale, gli agricoltori burkinabés – che costituiscono  tradizionalmente una forza lavoro importante nel settore – si sono sentiti sufficientemente sicuri per ritornare a lavorare nei loro campi».

Maxime M’Bra, direttore di Stop à la traite des enfants, sottolinea che «Negli ultimi 4 anni, abbiamo constatato una forte migrazione di popolazioni da Paesi come il Burkina Faso verso le foreste ivoriane» e secondo l’International Cocoa Initiative, più della metà dei lavoratori bambini in Costa d’avorio lavorano in agricoltura e circa un milione vengono sfruttati dall’industria del cacao. L’Unicef dice che ufficialmente la maggioranza di questi bambini lavora per loro parenti, ma almeno il 10,9% è vittima della tratta transfrontaliera di esseri umani. Dal canto suo, l’International Labour Rights Forum evidenzia che «il lavoro infantile e la povertà sono sempre endemici nelle piantagioni di cacao della Costa d’Avorio e del Ghana»

Teoricamente il lavoro forzato dei bambini in Costa d’Avorio è illegale, con pene che vanno da 1 a 5 anni di prigione e a multe da 800 a 2.200 dollari, ma la legge è applicata raramente e il Dipartimento di Stato Usa dice che «La Costa d’Avorio non si conforma pienamente alle norme minime per l’eliminazione dei traffici» e a poco o niente sembrano servire gli investimenti per ridurre il lavoro minorile, compresi la costruzione di scuole e un dispositivo di controllo per identificare i bambini a rischio.

A giugno l’Interpol ha soccorso  almeno 48 minori tra i 5 e i 16 anni e arrestate 22 persone, che erano in maggioranza parenti dei piccoli schiavi. I minori lavoravano «In condizioni estremamente pericolose per la loro salute – ha detto l’Interpol – Le vittime, alcune delle quali lavoravano nei campi da più di un anno, lavorano regolarmente per molte ore ogni giorno senza ricevere né salario né educazione».

Mike Sheil, che ha realizzato per Anti-Slavery International un’inchiesta fotografica sui bambini schiavi e i matrimoni forzati in Africa occidentale, spiega che «Per molte famiglie del Benin, uno dei Paesi più poveri del mondo, se qualcuno si offre di allevare i lorio figli è quasi un sollievo»,  Intervenendo a un congresso sulla tratta di minori tenutosi nel 2012 a Pointe Noire, in Congo, la direttrice dell’assistenza sociale del Gabon, Mélanie Mbadinga Matsanga, ha ammesso che  «La tratta dei minori è reale. Il Gabon, per esempio, viene considerato l’Eldorado e concentra molti immigrati dell’Africa occidentale che trafficano minori». Infatti il Gabon è il crocevia del traffico dei minori schiavi e delle donne  che vanno a rimpinguare il traffico della prostituzione. SE a questo si aggiunge che in Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, il 70% dei bambini non viene registrato alla nascita e che più del 30% ha gravi carenze educative, si capisce dove sono le ragioni della povertà: neocolonialismo, cattivi governi e fanatismo religioso. Secondo Unicef Nigeria, 4,7 milioni di bambini in età scolare non vanno a scuola e Hillary Akingbade, specialista in gestione dei conflitti, ha detto all’IPS che «Alcuni di questi bambini e bambine, tra i quali ce ne sono di
soli 13 anni,  servono nelle fila di gruppi terroristici come Boko Haram e partecipano ad operazioni suicide e fanno le spie. Le bambine di solito finiscono come schiave sessuali, mentre gli altri bambini africani vengono sequestrati o reclutati con la forza ed ancora di più si uniscono per disperazione, credendo che i gruppi armati siano la loro migliore opzione per sopravvivere».

Akingbade fa notare che, secondo Save the Children, nella poverissima Repubblica Centrafricana tra i 6.000 e i 10.000 bambini si sono uniti ai gruppi armati dopo il colpo di stato del marzo del 2013, quando le milizie a maggioranza musulmana Séléka presero il potere a Bangui, provocando la reazione sanguinosa delle milizie cristiane che hanno sprofondato il Paese nella totale anarchia e negli eccidi religiosi/tribali.

Nel 2014 l’Onu denunciò un forte reclutamento di minori nella nuova guerra civile in Sud Sudan, con almeno 11.000 bambini finiti nelle fila dei ribelli, alcuni volontariamente ed altri costretti dalle loro famiglie con la speranza di migliorare la loro condizione economica».

Come dice una piccola rifugiata congolese del campo profughi di Tongogara, nello Zimbabwe «Per molti bambini del campo come me, la povertà è all’ordine del giorno».

E forse, guardando da quel campo profughi, da una piantagione di cacao o da una delle guerre per le risorse, guardando il terribile mondo che globalizza cacao e sofferenza con gli occhi di un bambino schiavo, si capirebbe meglio perché i profughi rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo.

www.greenreport.it

31 ottobre 2015

IL SIGNIFICATO DI HALLOWEEN E 11 COSE DA SAPERE SULLA FESTA

IL SIGNIFICATO DI HALLOWEEN 
All Hallow Eve cioè vigilia di tutti i santi. Halloween è una variante scozzese del nome. È dunque la sera del 31 ottobre che precede il giorno del 1 novembre dedicati a tutti i santi. 

ORIGINE DI HALLOWEEN
Si va nell’Europa precristiana e in particolare nelle tradizioni celtiche. Per queste popolazioni delle isole britanniche il 31 ottobre segnava la fine dell’estate e la festività era Samhain. Il nome viene dal gaelico antico Samhuinn che indica la conclusione della stagione dei raccolti e l'inizo dell'inverno, la stagione più dura. In questa notte le anime dei morti tornavano sulla terra con streghe, demoni e fantasmi. Già nel Medioevo indossavano maschere per allontanare la morte e fare riti propiziatori. 

PAGANI E CRISTIANI
Halloween è una festività pagana, diversa da Ognissanti del 1 novembre che è festività religiosa. C’è chi la considera una festività legata a Satana e il 31 ottobre sarebbe anche l’inizio del nuovo anno per le streghe. 

SVILUPPO
Le tradizioni celtiche e britanniche sono andate negli Stati Uniti e qui hanno trovato il loro sviluppo commerciale e anche legato ai bambini. Il carattere macabro della ricorrenza ha assunto un lato ludico.

ROMANI
Quasi tutte le ricorrenze attuali trovano una radice anche il tradizioni di Roma antica. Halloween è legata per il periodo dell’anno a quella dedicata a Pomona, dea dei frutti e dei semi. Si ricordano anche i Parentalia, le feste dedicate ai defunti, che avevano però luogo a febbraio. 

TRICK OR TREAT
Dolcetto o scherzetto tradotto in italiano. L’origine sarebbe medievale, l’elemosinare di porta in porta fra il giorno dei santi e quello dei defunti, 1 e 2 novembre. Attualmente i bambini, la sera del 31 ottobre, si travestono e vanno di porta in porta a chiedere dolciumi e spiccioli minacciando di fare uno scherzetto se non verranno dati.

ZUCCA
È alimento di stagione. La tradizione dell’intaglio, come fosse una faccia, risale alla prima metà dell’800- Deriva dal personaggio di Jack-o’-lantern. 

JACK-O’-LANTERN
Narra la leggenda che Jack, un fabbro irlandese furbo e ubriacone, incontrò il diavolo al bar. Il diavolo voleva la sua anima, ma Jack lo convinse a trasformarsi in una moneta in cambio di un’ultima bevuta. Passati dieci anni il diavolo si ripresentò  e i due fecero un patto: libertà per il diavolo e niente dannazione eterna per Jack. Alla morte l’uomo non fu accolto né in paradiso né all’inferno. Il diavolo gli lanciò un tizzone ardente che finì in una rapa come lanterna. Da allora jack gira senza pace per trovare un rifugio. Prima della zucca si intagliano le rape come lanterne. Rappresentavano le anime del purgatorio. 

COLORI
Il nero, il viola e l’arancione sono i colori di questa festa. 

CONTEA DI MEATH
A nord di Dublino è il luogo in venne celebrato per la prima volta il Capodanno Celtico. Qui si ripercorre l’antico rito con una fiaccolata. Se volete vedere il vero halloween dovete arrivare nella verde Irlanda.

SOLIDARIETÀ
Fin dagli anni 50 l’Unicef ha dedicato la raccolta fondi in questa giornata ai bambini che hanno bisogno di più delle caramelle. Nel 2015 ci sono i Peanuts come testimonial, insomma Linus andrà a cercare il suo grande cocomero che poi nella versione originale era una zucca.


Chiara Pizzimenti
www.vanityfair.it

24 ottobre 2015

COME AVVENGONO I CAMBIAMENTI - ROSA PARKS (4.2.1913 - 24.10.2005)



Il 24 ottobre 2005 Rosa Parks, conosciuta come la “madre dei diritti civili” ci ha lasciato, con la stessa semplicità e delicatezza che avevano caratterizzato tutta la sua vita di grande e tenace combattente per la giustizia. 50 anni prima, il primo dicembre 1955 Rosa Louise MaCauly sposata Parks, dopo una giornata di lavoro particolamente pesante, era lavorante sarta in un grande magazzino di Montgomery, la capitale dell'Alabama, e dopo una lunga attesa alla fermata dell'autobus e al freddo, salì sull'autobus, ed essendo esausta si mise a sedere in una delle file di mezzo (per i neri era riservata solamente la parte di dietro degli autobus). L'autobus continuò a caricare passeggeri finchè non fu pieno. Il conduttore del mezzo, vedendo un bianco in piedi, pretese che lei si alzasse e gli cedesse il posto. Rosa Parks si rifiutò e venne arrestata. Così cominciò la battaglia non violenta contro l'ingiustizia e la segregazione razziale.
Negli stati del Sud degli USA, come l'Alabama, vigevano le leggi di “Jim Crow” che imponevano una violenta segregazione alla popolazione “di colore”. I negroes, come venivano chiamati con disprezzo gli afroamericani, non potevano accedere ai luoghi frequentati dai bianchi. “White only” era il cartello che appariva dappertutto, fuori dai ristoranti, dalle scuole, sui treni… I negroes avevano il loro bagni pubblici, i loro ospedali, scuole, negozi. 
Eppure nel 1863 il presidente Abramo Lincoln aveva combattuto e vinto la guerra di secessione contro gli stati del Sud dominati dai proprietari delle grandi piantagioni di cotone e tabacco e alleati con la Corona britannica e aveva abolito la schiavitù. Ma lentamente e soprattutto dall'inizio del 1900 il razzismo e il potere delle oligarchie divennero nuovamente dominanti. Gli incapucciati del KKK con le loro croci infuocate controllavano il territorio e picchiavano selvaggiamente e uccidevano chi non “stava al suo posto”. Erano “cristiani” fondamentalisti pronti a tutto, pronti anche al terrorismo, precursori di quel potente fondamentalismo che oggi sta dietro ai neocon di Bush e Cheney.
Dall'incarcerazione di Rosa Parks cominciò un boicottaggio dei mezzi pubblici che andò avanti per 381 giorni paralizzando il sistema di trasporti della città, anche con delle serie ripercussioni economiche per i negozi in mano ai segregazionisti e ai loro simpatizzanti. Nel 1956 la Corte Suprena si sentì obbligata a dichiarare incostituzionale ogni forma di discriminazione razziale. Come giustamente riconobbe Bill Clinton nel 1999 consegnandole una onoreficenza:” Mettendosi a sedere, lei si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell'America”. 
Martin Luther King divenne noto a livello internazionale quando ci fù l'incidente di Rosa Parks.
Ecco come racconta questo momento storico Amelia Boynton Robinson, amica di Rosa ed eroina delle battaglie per i diritti civili che guidò la famosa marcia della “Domenica di Sangue” il 7 marzo 1965 a Selma, Alabama, nel suo libro autobiografico (Un Ponte sul Giordano. La mia lunga marcia con Martin Luther King, Edit. Palomar in italiano):

“Quando Rosa fu arrestata, Martin Luther King ne fu costernato. Andò in camera sua a pregare, e si chiese cosa fare in questa strana città, in cui era venuto per guidare spiritualmente una piccola sezione della popolazione di colore, quella più colta e ben educata. “Che cosa posso fare in una situazione come questa, appena uscito dall'università?” pensò. “L'università in cui ho studiato non mi ha insegnato come affrontare persone violente”. Io sono sicura che disse: “Buon Dio, dipendo dalla tua guida. Mostrami la via.”
Appresi di più di quanto era successo molti anni dopo, nel 1985, quattro mesi prima della morte di Ed .D. Nixon, un veterano delle battaglie dei diritti civili in Alabama. Incontrai Ed Nixon dal medico. Dopo avergli chiesto come stava, la conversazione si spostò sull'incidente di Rosa Parks e il boicottaggio degli autobus da parte dei neri che ne seguì.
'Dio ci indica sempre la strada su cui marciare, se solo siamo capaci di vederla' mi disse. 'Sì, proseguì, altre persone prima di Rosa Parks erano state arrestate per lo stesso motivo, ma non era ancora il momento di agire. Quando Rosa fu portata in galera, mi telefonò. Avevo appena finito di cenare. Andai al mio ufficio e poi in carcere accompagnato dall'Avv. Clifford Durr (un avvocato bianco), la facemmo scarcerare, e poi chiamai tutti i ministri che conoscevo perché si incontrassero e informassero gli altri. Joan Robinson, un attivista per i diritti civili, si mise in azione. Il lunedì del processso, alle 19:00 tenemmo la prima riunione alla chiesa battista di Holt Street. Costituimmo la Montgomery Improvement Association (Mia), l'Associazione per l'avanzamento di Montgomery'.
Avendo sentito che c'erano stati dei dissensi sull'elezione del presidente della Mia, chiesi: 'Visto che Montogomery ha avuto così tanti ministri in periodi difficili, come siete riusciti ad eleggerne uno?'. Ed Nixon disse: 'Nel mezzo della confusione e parlando di chi sarebbe stato il presidente, uno dei laici presenti disse 'propongo Ed Nixon come presidente' Le dico la verità signorina Boynton (continuava a chiamarmi così) sono troppo vecchio e ci sono tanti giovani che possono fare da guida. Declinai l'offerta a favore di questo nuovo predicatore, il Rev. Martin Luther King'.
La sua proposta fu subito approvata all'unaminità. 
Col forte sostegno del Rev. Ralph Abernathy, Ed Nixon, Robert Nesbitt, Johnnie Carr e molti altri, fu fondata l'associazione Mia, un'associazione progressista che da Montgomery si estese a tutti gli Stati Uniti, assumendo il nome di Southern Christian Leadership Conference (Sclc), l'organizzazione di Martin Luther King, di cui divenni vicesegretario in Alabama.”

Il saluto di Amelia Boynton Robinson

“La bellezza di Rosa Parks”
Che ricordo meraviglioso! Il ricordo di una donna, fragile, che due o più generazioni fa, in Montgomery, Alabama, ha svegliato le genti, ovunque in America, dal loro complice torpore. La storia si mosse quando lei, Rosa Parks, si è seduta su quell'autobus e si è rifiutata di alzarsi per far posto a un uomo bianco. Piuttosto che diventare una codarda, lei si rifiutò di abbandonare i suoi diritti di cittadina americana, sapendo che per questo poteva essere picchiata o uccisa (Se fosse stata uccisa, i tribunali sudisti l'avrebbero chiamato “omicidio giustificabile”, perchè si diceva che “i neri non hanno diritti”). Ma lei trasformò la sua paura in fede e la sua fede si rafforzò quando capì che era nel giusto e che sarebbe rimasta fedele ai suoi principi fino alla morte, sperando che altri l'avrebbero seguita nella sua decisione di essere liberi. 
Se la Signora Parks non avesse avuto la sua forte fede, sapendo che sarebbe rimasta sembre fedele ai suoi principi, forse non ci sarebbe stato un boicottaggio degli autobus, un congressista come John Lewis, che ha aiutato a riportare certi valori morali nelle nostre leggi, o un Andrew Young di Atlanta, il primo sindaco nero di una grande città del Sud. Se la Signora Parks fosse stata debole e avesse lasciato il suo posto, forse non ci sarebbe stata una Amelia Boynton Robinson , che venne picchiata e lasciata per morta sul ponte Edmund Pettus a Selma Alabama nella famosa “Domenica di Sangue” del 7 marzo 1965, o non ci sarebbe stato un Bruce Carver Boynton, il cui caso (Boynton vs lo Stato di Virginia) ruppe la segregazione nei trasporti inter-regionali. 
Se Rosa Parks non fosse rimasta seduta fino a quando non venne allontanata a forza e portata in carcere, forse non ci sarebbe stato un Martin Luther King che scosse il mondo intero, accendendo una luce, una scintilla di coscienza, trasformando l'odio in amore e la violenza in non-violenza.
I bianchi segregazionisti la odiavano perché lei aveva disturbato il loro “way of life”, il loro stile di vita. I neri la evitavano perché temevano di perdere il lavoro se stavano con lei. Io lo so, perché anch'io ho perso molti amici che temevano di farsi vedere con me, quando disturbavo il “way of life” dei segregazionisti bianchi. Rosa Parks, questo angelo terreno, ha lasciato un'eredità a tutti, uomini, donne e bambini, in quanto lei, vicina al suo Creatore, ha spinto tutti a resistere alle bufere, a vivere una vita di amore, pulita, affrontando la sofferenza con sacrificio e con la non-violenza. 

www.movisol.org

15 ottobre 2015

15/10/1987 ASSASSINIO DI THOMAS SANKARA


Il 15 otto­bre del 1987 il «pre­si­dente con­ta­dino» del Bur­kina Faso Tho­mas San­kara, insieme a dodici uffi­ciali, venne assas­si­nato nella capi­tale Oua­ga­dou­gou da un com­mando degli uomini del suo amico più stretto, Blaise Cam­paoré, il quale pren­derà la lea­der­ship del Paese afri­cano azze­rando nel corso della sua dit­ta­tura (finita solo qual­che set­ti­mana fa) tutta la «rivo­lu­zione sankariana».
Aveva solo tren­ta­sette anni quando morì San­kara, i geni­tori pove­ris­simi e di fer­vida fede cat­to­lica lo vole­vano prete quel figlio asse­tato di sapere e che ecce­deva negli studi, ma lui scelse la car­riera mili­tare senza essere mai un mili­ta­ri­sta o un guer­ra­fon­daio. Soste­neva che «senza una for­ma­zione e una pre­pa­ra­zione poli­tica un sol­dato è solo un poten­ziale cri­mi­nale». Divenne pre­si­dente nell’agosto del 1983 in seguito ad un colpo di Stato in cui non ci fu spar­gi­mento di sangue.
Tra i mas­simi asser­tori del pana­fri­ca­ni­smo, San­kara sin dall’inizio della sua pre­si­denza andò affer­mando il sogno di un’Africa non più colo­niz­zata, di un Con­ti­nente auto­nomo, gestito dai suoi popoli.
Con lui l’Alto Volta divenne Bur­kina Faso («il paese degli inte­gri»), ma anche la nazione che pas­sava da un asso­luto stato di povertà ad un modello basato sulla dignità e il rifiuto dell’ignoranza. Fu una rivo­lu­zione il san­ka­ri­smo, al cen­tro della sua opera c’era la riforma agra­ria, sotto gli slo­gan, «ope­riamo e con­di­vi­diamo», «pro­du­ciamo quel che con­su­miamo» si con­se­gna­rono le terre a quel 90% di agri­col­tori fino allora bistrat­tato e ridotti alla miseria.
Ma Tho­mas San­kara fu anche il pre­si­dente che volle com­bat­tere con forza cor­ru­zione e abu­si­vi­smo, rico­no­scere piena dignità (e parità) alla figura della donna fino allora sot­to­messa ad una con­di­zione feu­dale, can­cel­lare tutti i pri­vi­legi del ceto diri­gente. Diceva: «Non pos­siamo essere diri­genti ric­chi di un Paese povero». Quando par­lava all’assemblea delle Nazioni Unite i suoi for­biti discorsi erano tra i più ascol­tati, ma pure quelli che face­vano più scan­dalo, spe­cie quando erano dire­zio­nati a con­dan­nare il neo­li­be­ri­smo che affa­mava i popoli e i Paesi più deboli. Fu il «pre­si­dente ribelle», si batté per­ché il suo popolo potesse vivere una vita e non sop­por­tarla come se fosse la più tre­menda delle puni­zioni, intra­prese la lotta per il disarmo mon­diale e per uno sviluppo-altro eco­so­ste­ni­bile, ma non dimen­ticò l’importanza della pro­mo­zione della cul­tura per una nazione che vuole riscattarsi.
Sulla sua scom­parsa (voluta da Stati Uniti e Fran­cia) scrisse il gior­na­li­sta sviz­zero Jean Zigler: «La morte di quest’uomo ecce­zio­nale è una tra­ge­dia per l’intera Africa», men­tre il socio­logo mal­ga­scio Sen­nes Andria­mi­rado affermò: «E’ morto un pre­si­dente non come gli altri. E’ stato, forse, un inci­dente della sto­ria, ma un inci­dente felice».



Mimmo Mastrangelo
ilmanifesto.info

13 ottobre 2015

QUANDO DA BAMBINE TI INSEGNANO CHE ESSERE PICCHIATE SIGNIFICA ESSERE AMATE

"Mia figlia picchiata a scuola. Ma la vera ferita è quel commento dell'infermiere". Quando la violenza di genere si insegna attraverso l'abuso della parola "amore".

Ogni volta che si continua ad associare la parola "amore" a un gesto violento, si uccide una donna. Si uccide la sua dignità. Si uccidono anche gli uomini. Quelli che sanno amare davvero.

Oggi un fatto di cronaca ha scosso gli animi. Una frase detta con noncuranza e terribile spontaneità, ha risuonato dall'accettazione di un ospedale pediatrico di Columbus, in Ohio, fino a qui.

Guardate bene la foto di questa bambina. Ha solo 4 anni ed è stata colpita violentemente da un compagno di scuola. No. Ovviamente non è lui il misogino. A quell'età la violenza (anche se sbagliata) è ancora democratica, non guarda in faccia il genere. Ci si picchia per prepotenza non perché si è maschi e femmine.

Il vero violento in questa storia è reo di aver pronunciato questa frase atroce: "Scommetto che gli piaci". Sono le parole di un infermiere dell'ospedale che ho citato sopra. Si è rivolto così a una bimba di quattro anni che dovrebbe credere che con le carezze si trasmette affetto, e che questo non passa per i lividi.

Una frase che può creare più danni di un pugno, nella testa di una bambina, perché a quell'età si è spugne. Si assorbe tutto, si imparano i ruoli sociali. Per fortuna però questa piccola creatura ha una madre consapevole, che pretende che sua figlia, come tutte le bambine che un giorno diverranno donne, non vesta mai il ruolo di vittima. Merrith Smith, ha così deciso di scrivere su Facebook una lettera aperta a quell'uomo, e ha ricevuto migliaia di condivisioni. "L'idea che passi il messaggio che fare del male a qualcuno significhi volergli bene è inaccettabile. In quel momento, ferite e in un posto sconosciuto, avevamo bisogno di parole di aiuto e non di quel tipo di conforto. Forse lei ha pensato di alleggerire la situazione ma non lo ha fatto. E' l'ora di assumerci la responsabilità per quello che diciamo ai nostri bambini. Non si può dire a mia figlia di 4 anni che chi l'ha ferita le vuole bene".

Non si può dire perché la nuova sfida che attende noi donne "emancipate", in confronto alle nostre nonne: è quella di comprendere che chi ci fa del male, con pugni o parole, non ci ama, non ci vuole bene, ma ci odia, odia la nostra libertà, la nostra volontà di esistere e di esistere per noi stesse.

Claudia Sarritzu
www.globalist.it

08 ottobre 2015

LASCIA CHE TI RACCONTI. Storie per imparare a vivere (Jorge Bucay)

Questa è da leggere assolutamente :

IL VERO VALORE DELL'ANELLO

“Sono venuto qui, maestro, perché mi sento così inutile che non ho voglia di fare nulla. Mi dicono che sono un inetto, che non faccio bene niente, che sono maldestro e un po’ tonto. Come posso migliorare? Che cosa posso fare perché mi apprezzino di più?”.

Il maestro gli rispose senza guardarlo: “Mi dispiace, ragazzo. Non ti posso aiutare perché prima ho un problema da risolvere. Dopo, magari…”. E dopo una pausa aggiunse: “Ma se tu mi aiutassi, magari potrei risolvere il mio problema più in fretta e dopo aiutare te”.
“Con… piacere, maestro” disse il giovane esitante, sentendosi di nuovo sminuito visto che la soluzione del suo problema era stata rimandata per l’ennesima volta.
“Bene” continuò il maestro. Si tolse un anello che portava al mignolo della mano sinistra e, porgendolo al ragazzo, aggiunse: “Prendi il cavallo che c’è là fuori e va’ al mercato. Ho bisogno di vendere questo anello perché devo pagare un debito. Vorrei ricavarne una bella sommetta, per cui non accettare meno di una moneta d’oro. Va’ e ritorna con la moneta d’oro il più presto possibile.

Il giovane prese l’anello e partì. Appena fu giunto al mercato iniziò a offrire l’anello ai mercanti, che lo guardavano con un certo interesse finché il giovane diceva il prezzo.
Quando il giovane menzionava la moneta d’oro, alcuni si mettevano a ridere, altri giravano la faccia dall’altra parte e soltanto un vecchio gentile si prese la briga di spiegargli che una moneta d’oro era troppo preziosa in cambio di un anello. Pur di aiutarlo, qualcuno gli offrì una moneta d’argento e un recipiente di rame, ma il giovane aveva istruzioni di non accettare meno di una moneta d’oro e rifiutò l’offerta.
Dopo avere offerto il gioiello a tutte le persone che incrociava al mercato – e saranno state più di cento - rimontò a cavallo demoralizzato per il fallimento e intraprese la via del ritorno.

Quanto avrebbe desiderato avere una moneta d’oro per regalarla al maestro e liberarlo dalle sue preoccupazioni! Così finalmente avrebbe ottenuto il suo consiglio e l’aiuto.

Entrò nella sua stanza.
“Maestro” disse “mi dispiace. Non è possibile ricavare quello che chiedi. Magari sarei riuscito a ottenere due o tre monete d’argento, ma credo di non poter ingannare nessuno riguardo il vero valore dell’anello.”

“Quello che hai detto è molto importante, giovane amico” rispose il maestro sorridendo. “Prima dobbiamo conoscere il vero valore dell’anello. Rimonta a cavallo e vai dal gioielliere. Chi lo può sapere meglio di lui? Digli che vorresti vendere l’anello e chiedigli quanto ti darebbe. Manon importa quello che ti offre: non glielo vendere. E ritorna qui con il mio anello.”

Il giovane riprese di nuovo a cavalcare.
Il gioielliere esaminò l’anello alla luce della lanterna, lo guardò con la lente, lo soppesò e disse al ragazzo:
“Dì al maestro, ragazzo, che se vuole vendere oggi stesso il suo anello, non posso dargli più di cinquantotto monete d’oro”.
“Cinquantotto monete?” esclamò il giovane.
“Sì” rispose il gioielliere. “Lo so che avendo più tempo a disposizione potremmo ricavare circa settanta monete d’oro, ma se ha urgenza di vendere…”

Il giovane si precipitò dal maestro tutto emozionato a raccontargli l’accaduto.

“Siediti” disse il maestro dopo averlo ascoltato. “Tu sei come questo anello: un gioiello unico e prezioso. E come tale puoi essere valutato soltanto da un vero esperto. Perché pretendi che chiunque sia in grado di scoprire il tuo vero valore?”

E così dicendo si infilò di nuovo l’anello al mignolo della mano sinistra.


07 ottobre 2015

ALLARME BABY-LAVORATRICI TRA I PROFUGHI SIRIANI

Giornata delle bambine. 
Molte mendicanti e lavoratrici minorenni tra i profughi siriani in Giordania e Libano.  Aumentano di oltre il 50% le minorenni vittime di tratta.

"Nel mondo, circa 70 milioni di ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni, subiscono abusi e violenze fisiche che ogni anno provocano circa 60 mila decessi. Ovvero una morte ogni 10 minuti": è la drammatica fotografia scattata da Terre des Hommes che, in occasione della Giornata Onu delle Bambine che si celebra l'11 ottobre, punta i riflettori sulla condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo presentando il dossier della Campagna "Indifesa" che ha l'obiettivo di contrastare lo sfruttamento delle bambine, e garantire loro una vita in salute e un'istruzione adeguata. Tra i fenomeni che danneggiano le piccole donne - evidenziano i dati pubblicati da Terres des Hommes - vi è quello della migrazione forzata a causa della guerra. In particolare, molte bambine siriane oggi sono costrette a lavorare e mendicare. Cresce, nel mondo, anche la tratta a danno di ragazze minorenni, mentre diminuisce quella di donne adulte. 

Le baby-lavoratrici tra i profughi siriani. "Dopo l'estendersi del conflitto in Siria e la fuga di milioni di profughi nei paesi confinanti, si è registrato un consistente aumento del lavoro minorile in quell'area", evidenzia il documento di Terres des Hommes. Tra le famiglie siriane rifugiate in Giordania che hanno dichiarato di fare affidamento sul reddito prodotto da un minore, nel 15 per cento si tratta di bambine e ragazze. Secondo dati Onu gran parte di queste giovani lavoratrici svolge lavori domestici (46,7 per cento), mentre una su tre (33 per cento) lavora nei campi, generalmente assieme ad altri parenti e familiari. Percentuali più ridotte di ragazzine lavoratrici si ritrovano in saloni di estetica e parrucchiera, nel settore manifatturiero e nell'edilizia (ciascuno con il 6,7 per cento). "La crisi siriana - si sottolinea - ha fatto esplodere anche il fenomeno dei bambini di strada nelle città libanesi": il 73 per cento di questi, secondo dati dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro è composto da piccoli profughi impiegati prevalentemente nell'accattonaggio. Una su tre dei piccoli mendicanti è una femmina e più della metà ha meno di 11 anni.

L'aumento delle ragazze vittima di tratta: dal 10% al 21%. A livello globale, oggi i bambini rappresentano circa un terzo di tutte le vittime di tratta individuate. Due su tre sono di sesso femminile secondo l'Unodc (Agenzia Onu su Droghe e Crimine). Tra il 2004 e il 2011 la percentuale di donne adulte coinvolte nei fenomeni di tratta è scesa dal 74 al 49 per cento mentre, nello stesso lasso di tempo, la percentuale di bambine e ragazze è passata dal 10 al 21 per cento. "Situazioni di conflitto e catastrofi naturali fanno aumentare in maniera esponenziale il rischio, per bambine e ragazze, di essere trafficate", evidenzia Terres des Hommes.

Le bambine migranti a rischio tratta. Secondo l'Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) nel 2014 circa 60 milioni di persone sono state costrette a lasciare la loro casa, spostandosi all'interno del loro paese o emigrando oltre confine. "Si tratta della cifra più alta da quando si procede a un monitoraggio di questo fenomeno", evidenzia Terres des Hommes. Più della metà hanno meno di 18 anni, mentre nel 2009 rappresentavano il 41 per cento. In Italia, i dati sui minori stranieri non accompagnati registrati all'arrivo mostrano una fortissima prevalenza dei ragazzi (quasi il 95%) rispetto alle ragazze. "Tuttavia - evidenzia la ong - quasi la metà di queste ragazze si allontana dai centri e molto spesso finiscono nella rete della prostituzione minorile". Provenienti per lo più da Nigeria, Camerun, Eritrea, il loro stesso viaggio viene pagato da intermediari che poi, una volta arrivata in Europa, si mettono in contatto con la vittima e la indirizzano verso il loro "datore di lavoro". "E così, scappando da miseria, abusi o conflitti, si ritrovano costrette a prostituirsi per anni per ripagare un debito contratto spesso inconsapevolmente".


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21 settembre 2015

21 SETTEMBRE. GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA PACE

IL SILENZIO SULLA GUERRA FA MALE QUANTO LE BOMBE


Un giorno per dire no alla guerra e chiedere che, nei tanti luoghi del mondo in cui si combatte, cessi il rumore delle armi: questo è il senso della Giornata internazionale della Pace, istituita dalle Nazioni Unite nel 1981 e che, dal 2001, ricorre ogni anno il 21 settembre. Un momento per riflettere, tutti, sull'assurdità dei conflitti che insanguinano il Pianeta.

Il tema scelto per le celebrazioni di quest'anno, Partnerships for Peace – Dignity for all, vuole sottolineare l'importanza della collaborazione, non solo tra le Nazioni, ma anche tra tutti i segmenti della società, affinché lavorino insieme per costruire una pace durevole, a beneficio di ogni essere umano.

Nel messaggio diffuso per l'occasione, il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha lanciato un appello a tutti i Paesi e a tutti i gruppi coinvolti in conflitti, chiedendo che, almeno per oggi, si osservino ventiquattrore di tregua.

 
"La Giornata" – scrive Ban Ki-moon – "vuole anche essere un'occasione per proclamare il cessate il fuoco nel mondo intero per un giorno: ventiquattro ore di tregua dalla paura e dall'incertezza che affliggono così tante regioni del Pianeta. Oggi, quindi, invito tutti i Paesi e tutti i combattenti a rispettare la cessazione delle ostilità e chiedo che alle 12, ora locale, si osservi un minuto di silenzio. Dovremmo sfruttare il silenzio delle armi come occasione per riflettere sul prezzo che tutti noi stiamo pagando a causa dei conflitti e dovremmo inoltre impegnarci con decisione a trasformare questo giorno di tregua in una pace duratura. Durante questa Giornata Internazionale, facciamo a noi stessi la promessa: che la pace diventi una passione e non una mera priorità. Impegniamoci a fare di più, ovunque e in qualunque modo possibile, affinché ogni giorno sia un giorno di pace."

In questo giorno così particolare, ha senso ricordare che, oltre ai conflitti più presenti sui media e, di conseguenza, più noti, come Siria, Iraq, Afghanistan e Ucraina, ce ne sono decine di altri di cui non si parla o si parla pochissimo: guerre lontane e "dimenticate", nonostante il numero di vittime e di profughi che provocano e a dispetto delle atrocità commesse dalle parti in causa, e che vanno avanti indisturbate da mesi o, addirittura, da anni, senza che l'opinione pubblica mondiale faccia sentire la propria voce e nel silenzio assordante e spesso colpevole di Governi e organizzazioni internazionali.

Pensiamoci oggi: pensiamo, ad esempio, ai tanti piccoli Aylan che non vediamo e che per questo non ci fanno commuovere, e ricordiamoci, almeno per un momento, di Paesi quali il Sud Sudan e il Darfur, della Nigeria, della Repubblica Democratica del Congo, della Somalia, dello Yemen, della Libia, della Repubblica Centroafricana e del Pakistan. Fermiamoci un attimo a riflettere sui conflitti di proporzioni inferiori, ma da non sottovalutare, che serpeggiano in Paesi come l'India, la Tailandia, la Turchia, la Birmania, il Mali e l'Etiopia. E l'elenco non si esaurisce certo qui.

Ciascuna di queste guerre, piccola o grande che sia, colpisce uomini, donne e bambini, spogliandoli dei più elementari diritti e privandoli di ogni prospettiva futura. Siamo onesti con noi stessi e pensiamo che, se avessimo avuto meno fortuna, se per puro caso fossimo nati altrove, sarebbe potuto accadere anche a noi.

Sono tante le iniziative ufficiali lanciate in questo giorno da associazioni e organismi internazionali per sensibilizzare le coscienze e soccorrere le persone coinvolte nei conflitti. Basi pensare alla campagna Stop Hunger - Start Peace promossa dal World Food Programme per sostenere sfollati e rifugiati a causa delle guerre: persone che hanno perso tutto e che, ogni giorno, devono lottare per dare da mangiare ai propri figli.

"Oggi è il momento in cui le persone si uniscono attraverso regioni e culture per un mondo libero dalla fame e pacificato." - spiega Ertharin Cousin, Direttrice esecutiva del WFP - "L'assistenza alimentare, in periodi di conflitto, ha un ruolo fondamentale nel salvare vite umane e alleviare le sofferenze. Il cibo riunisce e tiene insieme le famiglie. La sicurezza alimentare dà una speranza alle famiglie in tempi disperati eliminando, nel contempo, il loro bisogno di ricorrere a misure estreme e pericolose quale unico mezzo di sopravvivenza."

Nel mondo ci sono milioni di persone che vedono le proprie vite stravolte dai conflitti: diamo un senso a questa ricorrenza, affinché non sia solo l'occasione per dare fiato ad un po' di retorica, e chiediamoci che cosa possiamo fare, in concreto, nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, per essere solidali con chi sta soffrendo e per far sentire, forte e chiaro, il nostro "No" alla guerra.                                                                                                           
Lisa Vagnozzi
www.greenme.it

                                                                                                          

16 settembre 2015

SGAMBETTO A LIETO FINE : IL PROFUGO SIRIANO ALLENERA' UNA SQUADRA IN SPAGNA


Una storia dal lieto fine, tra tanta disperazione. All'uomo col figlio in braccio, gettato a terra dalla giornalista ungherese, offerto un posto da allenatore.


Si chiama Osama Abdul Mohsen e lo conosciamo bene perché è il profugo siriano vittima, mentre correva con il figlio in braccio, del tristemente celebre sgambetto di una teleoperatrice ungherese (poi licenziata) alla frontiera con la Serbia. L'uomo potrebbe aver trovato lavoro in Spagna.

A riferirlo è stato il quotidiano sportivo di Madrid As. Mohsen è un ex-allenatore in Siria della squadra di calcio del Al-Fotuwa, ora in Germania, ha ricevuto una offerta di lavoro dal presidente della scuola di allenatori spagnola (Cenafe) Miguel Angel Galan.

Mohsen, che parla arabo e inglese oltre al francese e allo spagnolo, ha accettato volentieri e ora sta viaggiando con la famiglia verso la Spagna. Galan vuole accogliere la famiglia di Osama, trovargli un lavoro e fargli riprendere la carriera di allenatore. 

Dovrebbero sistemarsi nella zona di Getafe, grande municipio a 10 chilometri dal centro di Madrid, dove Galan ha messo a disposizione una casa e saranno raggiunti dalla madre e dagli altri due fratelli che al momento vivono in Turchia.



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15 settembre 2015

LE FOTO DEI BAMBINI SALVERANNO L'EUROPA

Mentre il Papa chiede di accogliere i profughi, gli habitué della messa votano Salvini e vanno a Medjugorje. Intanto le foto dei piccoli profughi ci salvano dal nostro egoismo.
La tragedia di un popolo destinato a essere profugo compie il suo destino in questi giorni. Prendete un calendario, gente, e fissate le date. Appuntate che oggi si fa la storia. E che questa storia, fatta di gambe stanche e piedi feriti, la stanno facendo i bambini.


Dio non è scemo. Dio non si mostra nelle madoninne che piangono. Anche se a voi, gente che va in chiesa tutte le domeniche ma poi vota Salvini, fa comodo crederlo.

E a voi che mi rivolgo, voi che masticate la comunione come un chewing gum zeppo di saliva e retorica, voi, devoti alla sacrosanta abitudine settimanale della messa, sappiate che se quella madoninna apparisse davvero, non vi resterebbe che scappare, correre prima che vi prenda e vi spieghi cosa significa essere cristiani.



Sì, mi rivolgo a voi, gente che al sacerdote confessate gli atti impuri e non il razzismo, "perché non è questione di pelle, è solo che devono stare a casa loro" mentre continuate a farvi la croce, senza capirne il dolore di quei chiodi, mentre prenotate un alloggio a Roma per il Giubileo della misericordia, senza conoscere il significato della parola più bella della vostra religione "Misericordia".

Per sentire una spina nel petto ogni volta che si vedono le immagini dei migranti, a tanti, non serve Dio. Non serve credere in un buon padre che perdonerà le nostre meschinità e ripagherà le nostre opere buone e salderà i nostri crediti con la sofferenza. Molti vivono per questa vita, bella o brutta che sia. Hanno ammazzato Dio e con lui il destino. Hanno scelto una vita più dura, eppure hanno concretizzato con gesti di solidarietà quello che voi recitate come una filastrocca senza metterlo in pratica. Hanno imparato che le cose giuste si fanno perché vanno fatte. Perché la bellezza la vogliono costruire qui, in questa terra calpestata da piedi nudi, in questo mare che troppi non sanno nuotare.

Questa volta il vostro Dio, non è rimasto a guardare, si è fatto Aylan, corpicino bianco vestito come noi occidentali, per scuotere anche le coscienze di chi ancora divide l'umanità in razze e classi sociali. Si è fatto Galip, il fratellino di cui non abbiamo visto il sonno per sempre, ma che in fondo al nostro cuore, quell'assenza di immagine, ha scavato un buco nella nostra umanità. Si è fatto parola, attraverso la voce del coraggioso bambino siriano intervistato da Al Jazeera :"La polizia non ama i siriani in Serbia, in Macedonia, in Ungheria o in Grecia. Fermate la guerra e non verremo in Europa. La Siria ha bisogno di aiuto".
Si è fatta Hudea, simbolo di una generazione perduta, mentre noi ci scattiamo i selfie, lei ha alzato le sue manine davanti a una macchina fotografica, credendo fosse un'arma.
Poi si è fatto natività, si è fatto Madonna e bambino marchiati sul braccio, da una polizia a cui la storia del '900 non ha insegnato nulla. E infine si è fatto Speranza, come il nome della bambina nata in un barcone ed approdata sana e salva nelle coste italiane.


Credo che l'apertura delle frontiere tedesche e austriache, e un ammorbidimento della politica di Cameron in Inghilterra, la dobbiamo a questi piccoli Gesù bambino, che voi ci crediate o no, questi angeli sono scesi sulla terra per ricordarci il senso del nostro respirare. Forse per molti sono solo simboli, fotografie da Pulitzer. Eppure hanno fatto la storia. Hanno permesso questo sorriso. Hanno permesso questa domenica di Pasqua delle coscienze.


Dedicato a Asmae Dachan, giornalista siriana, amica coraggiosa che mi ha insegnato l'amore per la propria terra e la bellezza della Siria.

di Claudia Sarritzu
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05 settembre 2015

11 SETTEMBRE: MARCIA A PIEDI SCALZI PER I MIGRANTI - VENEZIA, NAPOLI, TUTTA ITALIA...

VENEZIA MARCIA A PIEDI SCALZI PER I MIGRANTI.
La Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi che si terrà l'11 settembre al Lido di Venezia vuole richiamare l'attenzione sui migranti e arriverrà alla Mostra Internazionale del Cinema. Tra le adesioni Roberto Saviano, Lucia Annunziata, Gad Lerner, Jasmine Trinca, Amnesty International e la lista Tsipras. Si metteranno in cammino in solidarietà con i migranti e lo faranno a piedi scalzi portando fino alla Mostra del Cinema di Venezia la voce di chi scappa dalle guerre. Come a voler ricordare che le scene drammatiche mostrate dalle cronache televive sui flussi migratori non sono il trailer di un film.  Decine di persone appartenenti al mondo dell'associazionismo, dei sindacati, della cultura, del cinema, del giornalismo e via dicendo, l'11 settembre - data alquanto simbolica - attraverseranno il capoluogo Veneto percorrendo così la "Marcia delle Donne e gli Uomini Scalzi".  L'appello, partito dalla rete, ha trovato l'adesione di personalità come Lucia Annunziata, Roberto Saviano, Elio Germano, Gad Lerner, Marco Bellocchio, don Vinicio Albanesi, don Armando Zappolini,  Valerio Mastrandrea, Giusi Nicolini, Daniele Vicari, Sergio Staino, Jasmine Trinca, tra gli altri. "E' arrivato il momento di decidere da che parte stare - recita il testo - . Noi stiamo dalla parte degli uomini scalzi. Di chi ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere. E' difficile poterlo capire se non hai mai dovuto viverlo. Ma la migrazione assoluta richiede esattamente questo: spogliarsi completamente della propria identità per poter sperare di trovarne un'altra. Abbandonare tutto, mettere il proprio corpo e quello dei tuoi figli dentro ad una barca, ad un tir, ad un tunnel e sperare che arrivi integro al di là, in un ignoto che ti respinge, ma di cui tu hai bisogno". Gli organizzatori auspicano che questa Marcia sia l'inizio di "un lungo cammino di civiltà", dove è richiesto a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è accettabile respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà - prosegue l'appello - significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione delle ricchezze. Sono quattro, infatti, i punti principali su cui i promotori vogliono che si intervenga: la certezza di corridoi umanitari; un'accoglienza degna e rispettosa per tutti; la chisura e lo smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti; un unico sistema di asilo europeo, superando il regolamento di Dublino.  Tra le adesioni all'appello delle Donne e degli Uomini Scalzi quelle di Amnesty International, Arci, Cgil, il Manifesto, la lista Tsipras e il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza.  Iniziative analoghe si terrano altrove, a "mettersi in marcia" saranno anche Milano, Roma, Genova, Torino, Alessandria, Caltagirone, Palermo (il giorno prima) e Gorizia. A Venezia l'appuntamento è alle ore 17 al Lido in Piazza Santa Maria Elisabetta. In una recente vignetta del fumettista Sergio Staino una bambina chiede a un migrante carico di bagagli: "perché vi mettete in mare sapendo che forse morite?" e la risposta: "per quel forse". ​Di certo quelle centinaia di migliaia di emigrati, donne e uomini che macinano chilometri, spesso scalzi e con i figli imbraccio, chiamano e l'Occidente, sconvolto e un po' "impreparato" di fronte a questa tragedia, dovrà dare presto risposte certe.   Per il momento come atto di solidarierà si cammina, proprio come loro, a piedi nudi.

www.rainews.it 

NAPOLI

Corteo di solidarietà l'11 settembre dal metrò Toledo a piazza Municipio.

Marceranno a piedi scalzi per sostenere chi scappa dalla guerra e chiede asilo. Per cominciare "un cammino di civiltà". Cittadini e attivisti partiranno l'11 settembre alle 17 dal metrò Toledo e raggiungeranno piazza Municipio. La stessa marcia andrà in scena contemporaneamente in altre città italiane. 
"E' arrivato il momento di decidere da che parte stare", scrivono gli organizzatori della manifestazione partita da Venezia. All'appello hanno risposto migliaia di persone, adesioni lasciate anche da utenti ancora scossi dalla foto del piccolo Aylan, il piccolo di Kobane morto in mare con madre e fratello mentre cercava di scappare dalla guerra.  
"Dobbiamo affrontare cambiamenti epocali - proseguono gli organizzatori - Noi stiamo dalla parte di chi mette il proprio corpo in pericolo per sopravvivere. I migranti abbandonano tutto, si mettono con i propri figli in una barca, in un tir o in un tunnel sperando di arrivare integri dall'altra parte. Sono questi gli uomini scalzi del ventunesimo secolo. Le loro ragioni possono essere coperte da decine di infamie, paure e minacce, ma è incivile e disumano non ascoltarli".
Secondo i partecipanti l'iniziativa sarà "il principio di un percorso di cambiamento. Non è accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche. E non si può fermare chi scappa: dare asilo significa ripudiare la guerra, costruire la pace, lottare per i diritti e la libertà".
Gli obiettivi della manifestazione si riassumono in quattro punti: certezza di corridoi umanitari; accoglienza degna e rispettosa; chiusura e smantellamento dei luoghi di concentrazione e detenzione; realizzazione di un sistema unico di asilo in Europa.
La marcia partenopea delle donne e degli uomini scalzi è organizzata da Amnesty Napoli e sono giunte adesioni anche da cooperative del terzo settore come Dedalus. I primi firmatari dell'evento nazionale sono invece Lucia Annunziata, don Vinicio Albanesi, Gianfranco Bettin, Marco Bellocchio, don Albino Bizzotto, Elio Germano, Gad Lerner, Giulio Marcon, Valerio Mastrandrea, Grazia Naletto, Giusi Nicolini, Marco Paolini, Costanza Quatriglio , Norma Rangeri, Roberto Saviano, Andrea Segre, Toni Servillo, Sergio Staino, Jasmine Trinca, Daniele Vicari, don Armando Zappolini.

di ANNA LAURA DE ROSA
napoli.repubblica.it

04 settembre 2015

C'ERA UNA VOLTA L'ALTRA SPIAGGIA DI BODRUM

C'era una volta un mare che era profondo come una pozzanghera di acqua piovana, che bastava zampettarci dentro per percorrerlo tutto. E potevi andarci anche a piedi scalzi e con i pantaloni arrotolati perché l'acqua era tiepida e pulita.

Questo mare, che era azzurro azzurro, si increspava di merletti quando incontrava una riva e sembrava il bordo di un lenzuolo di quelli antichi che si trovano nei bauli del corredo delle nonne. Era molto calmo e aveva onde piccole, buone per essere cavalcate da bambini in groppa a cavallucci con le creste dorate.

A forza di saltellare tra un'onda e l'altra bimbi e cavallucci arrivavano a sera molto stanchi e, proprio quando il sole andava a dormire, anche loro si stendevano sulla sabbia e si tiravano su, fin sotto al mento, quella coperta di spuma.
Cartoon of Syrian Kurd Yaser Amed on Aylan al-Kurdi's death
Non c'era da avere paura di quella coperta perché era calda e morbida e faceva anche il solletico ai piedini: a dire la verità erano i cavallucci che di notte si svegliavano e si divertivano a scodinzolare vicino ai piedi dei bambini.

Su quella spiaggia non c'erano gusci di noce chiamati barche, non c'erano adulti con le facce cattive e non c'erano facce sporche di lacrime e macchiate di tristezza. Era un posto bellissimo in cui potevi trovare da mangiare frutta e biscotti, panini bianchi e carne bianca e potevi bere tutta l'acqua che volevi. Potevi giocare a nascondino dietro le dune di sabbia o dietro gli scogli di roccia, potevi buttarti steso a pancia in su a farti scaldare la pelle da sole senza paura di bruciarti. Potevi chiamare la mamma sicuro di vederla arrivare e potevi farti coccolare da lei per tutto il tempo che ti serviva.

Questa spiaggia aveva un nome che assomigliava al rumore dei tuoni che anticipano i temporali estivi: si chiamava Bodrum ed era la spiaggia dei bambini.

Dei bambini che dormono. Perché i bambini non muoiono, nemmeno se incontrano il mare. I bambini chiudono gli occhi per riposarli, perché hanno giocato tanto sulla sabbia di Bodrum e arrivano sfiniti al tramonto. S'addormentano col sole e con lui sorgono il giorno dopo. Magari su un'altra spiaggia, magari su una spiaggia che a noi grandi è sconosciuta perché per arrivarci devi essere un bambino, nutrire la sua infinita fiducia nella bontà dei grandi, nella loro giustizia, nella loro equità.

Noi grandi conosciamo solo quella spiaggia che ha il nome che assomiglia a una scarica di mitra, che si trova alla fine di un mare nero e profondo. Un mare che è un cimitero, che ha le acque gelide e salate, che non ha onde ricamate come le coperte della nonna. La spiaggia che conosciamo noi è la bara di Aylan e di suo fratello e di chissà quanti altri bambini di cui ignoriamo il nome.

Ma pur sempre di bambini si tratta, e ad ogni bambino che sta per addormentarsi, la mamma racconta una favola. Che allontani i mostri, questa favola, i mostri che assomigliano a carri armati, aerei e granate.

È la favola dell'altra spiaggia chiamata Bodrum, quella dove Aylan e suo fratello si sono fatti una coperta della spuma del mare e stanno ridendo nel sonno mentre i cavallucci gli solleticano i piedi. 
Domattina si sveglieranno e sceglieranno, ognuno, il cavalluccio che li porterà a spasso tra le onde: potranno chiedergli di portarli in Canada o in Sicilia, in Australia o al Polo Nord. Arriveranno dovunque desiderino in groppa al loro cavalluccio con la cresta dorata. Il tempo di un battito di ciglia e saranno sulla Tour Eiffel o sulla Muraglia Cinese, mangeranno patatine fritte e gelati alla crema e berranno succhi di mango e maracuja.

La sera torneranno alla loro Bodrum con gli occhi pieni di meraviglia e di sonno e si addormenteranno beati, al sicuro sulla spiaggia, con la luna che li sorveglia e qualche onda che li ninna.

Questa è la favola dell'altra Bodrum, la spiaggia dei bambini e dei cavallucci marini. Questa favola è per Aylan e per tutti gli Aylan di cui non saprò mai il nome e la storia. Perché il loro sonno sia accompagnato da una favola buona.

Deborah Dirani
www.huffingtonpost.it