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15 ottobre 2015

15/10/1987 ASSASSINIO DI THOMAS SANKARA


Il 15 otto­bre del 1987 il «pre­si­dente con­ta­dino» del Bur­kina Faso Tho­mas San­kara, insieme a dodici uffi­ciali, venne assas­si­nato nella capi­tale Oua­ga­dou­gou da un com­mando degli uomini del suo amico più stretto, Blaise Cam­paoré, il quale pren­derà la lea­der­ship del Paese afri­cano azze­rando nel corso della sua dit­ta­tura (finita solo qual­che set­ti­mana fa) tutta la «rivo­lu­zione sankariana».
Aveva solo tren­ta­sette anni quando morì San­kara, i geni­tori pove­ris­simi e di fer­vida fede cat­to­lica lo vole­vano prete quel figlio asse­tato di sapere e che ecce­deva negli studi, ma lui scelse la car­riera mili­tare senza essere mai un mili­ta­ri­sta o un guer­ra­fon­daio. Soste­neva che «senza una for­ma­zione e una pre­pa­ra­zione poli­tica un sol­dato è solo un poten­ziale cri­mi­nale». Divenne pre­si­dente nell’agosto del 1983 in seguito ad un colpo di Stato in cui non ci fu spar­gi­mento di sangue.
Tra i mas­simi asser­tori del pana­fri­ca­ni­smo, San­kara sin dall’inizio della sua pre­si­denza andò affer­mando il sogno di un’Africa non più colo­niz­zata, di un Con­ti­nente auto­nomo, gestito dai suoi popoli.
Con lui l’Alto Volta divenne Bur­kina Faso («il paese degli inte­gri»), ma anche la nazione che pas­sava da un asso­luto stato di povertà ad un modello basato sulla dignità e il rifiuto dell’ignoranza. Fu una rivo­lu­zione il san­ka­ri­smo, al cen­tro della sua opera c’era la riforma agra­ria, sotto gli slo­gan, «ope­riamo e con­di­vi­diamo», «pro­du­ciamo quel che con­su­miamo» si con­se­gna­rono le terre a quel 90% di agri­col­tori fino allora bistrat­tato e ridotti alla miseria.
Ma Tho­mas San­kara fu anche il pre­si­dente che volle com­bat­tere con forza cor­ru­zione e abu­si­vi­smo, rico­no­scere piena dignità (e parità) alla figura della donna fino allora sot­to­messa ad una con­di­zione feu­dale, can­cel­lare tutti i pri­vi­legi del ceto diri­gente. Diceva: «Non pos­siamo essere diri­genti ric­chi di un Paese povero». Quando par­lava all’assemblea delle Nazioni Unite i suoi for­biti discorsi erano tra i più ascol­tati, ma pure quelli che face­vano più scan­dalo, spe­cie quando erano dire­zio­nati a con­dan­nare il neo­li­be­ri­smo che affa­mava i popoli e i Paesi più deboli. Fu il «pre­si­dente ribelle», si batté per­ché il suo popolo potesse vivere una vita e non sop­por­tarla come se fosse la più tre­menda delle puni­zioni, intra­prese la lotta per il disarmo mon­diale e per uno sviluppo-altro eco­so­ste­ni­bile, ma non dimen­ticò l’importanza della pro­mo­zione della cul­tura per una nazione che vuole riscattarsi.
Sulla sua scom­parsa (voluta da Stati Uniti e Fran­cia) scrisse il gior­na­li­sta sviz­zero Jean Zigler: «La morte di quest’uomo ecce­zio­nale è una tra­ge­dia per l’intera Africa», men­tre il socio­logo mal­ga­scio Sen­nes Andria­mi­rado affermò: «E’ morto un pre­si­dente non come gli altri. E’ stato, forse, un inci­dente della sto­ria, ma un inci­dente felice».



Mimmo Mastrangelo
ilmanifesto.info

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