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28 dicembre 2014

LA LEGGENDA DEL VISCHIO



C'era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva più nessun amico. Per tutta la vita era stato avido e avaro, aveva sempre anteposto il guadagno all'amicizia e ai rapporti umani. L'andamento dei suoi affari era l'unica cosa che gli importava. Di notte dormiva pochissimo, spesso si alzava e andava a contare il denaro che teneva in casa, nascosto in una cassapanca. 
Per avere sempre più soldi, a volte si comportava in modo disonesto e approfittava della ingenuità di alcune persone. Ma tanto a lui non importava, perché non andava mai oltre le apparenze.
Non voleva conoscere quelli con i quali faceva affari. Non gli interessavano le loro storie e i loro problemi. E per questo motivo nessuno gli voleva bene.
Una notte di dicembre, ormai vicino a Natale, il vecchio mercante non riusciva a dormire e dopo aver fatto i conti dei guadagni, decise di uscire a fare una passeggiata.
Cominciò a sentire delle voci e delle risate, urla gioiose di bambini e canti.
Pensò che di notte era strano sentire tanto chiasso in paese. Si incuriosì perché non aveva ancora incontrato nessuno, nonostante voci e rumori sembrassero molto vicini. 
A un certo punto cominciò a sentire qualcuno che pronunciava il suo nome, chiedeva aiuto e lo chiamava fratello. L'uomo non aveva fratelli o sorelle e si stupì. 
Per tutta la notte, ascoltò le voci che raccontavano storie tristi e allegre, vicende familiari e d'amore. Venne a sapere che alcuni vicini erano molto poveri e che sfamavano a fatica i figli; che altre persone soffrivano la solitudine oppure che non avevano mai dimenticato un amore di gioventù.
Pentito per non aver mai capito che cosa si nascondeva dietro alle persone che vedeva tutti i giorni, l'uomo cominciò a piangere. 
Pianse così tanto che le sue lacrime si sparsero sul cespuglio al quale si era appoggiato.
E le lacrime non sparirono al mattino, ma continuarono a splendere come perle.

Era nato il vischio.






E' con questa suggestiva fiaba del Trentino che desideriamo dare un calcio simbolico all'anno che sta per chiudere i battenti, e il benvenuto a quello che sta arrivando.








Buon Anno a tutti... ma proprio a tutti, nessuno escluso... ma soprattutto... BUON ANNO A TUTTI I VOLONTARI DEL MONDO.

22 dicembre 2014

LITTLE DRESSES FOR AFRICA... VESTITINI PER L'AFRICA... DALL'ITALIA E DAL MONDO

Da Sabrina Coccoloni (coordinatrice Italia di Little Dresses for Africa)



Nel mese di settembre è stato pubblicato da più fonti un articolo su una novantanovenne sarta americana, Lilian Weber, che cuce un vestitino al giorno per i bambini africani.
In tanti hanno riportato la notizia che, come una sorta di pandemia, si è sparsa anche sul web fino a raggiungermi sfiorando la mia vita.
Vestitini realizzati da Sabrina
Mi sono soffermata un attimo, giusto il tempo di elaborare, di comprendere e di fare mio il senso di tutto e poi, come un fiume in piena, sono partita.
Ho contattato Rachel O' Neal, fondatrice di LITTLE DRESSES FOR AFRICA, e concordato con lei l'apertura di un Centro Raccolta in Italia. Ho iniziato io stessa a cucire un vestito al giorno, per immedesimarmi meglio nel progetto. Ho aperto una pagina Facebook che uso per trascrivere in italiano almeno parte del sito ufficiale americano.
Ho contattato orfanotrofi in Africa e trovato un magnifico sodalizio con uno di questi in Kenya, a Liconi, gestito da una meravigliosa signora italiana, Micaela De Gregorio, che ogni giorno si prende amorevolmente cura di 39 bambini, più sette appena arrivati da un altro orfanotrofio. 

Il villaggio dell'orfanotrofio 
Vedo l'alba africana via whatsapp... Quando in realtà dovrei da qualche ora dormire, discuto con lei di misure, di stoffe e modelli. Già, cuciamo per loro vestiti su misura, a misura di ogni piccolo ospite che già aspetta con ansia l'arrivo dei nostri vestitini, un regalo prezioso che rende l'unicità e l'essere speciale a chi forse non ne ha la consapevolezza.

Ma il regalo si estende ancor di più se si pensa alla gioia di chi li cuce. Oltre 300 persone, giovani e meno giovani, nonne e nipoti, sarte e non sarte, modelliste e non, in poco più di un mese si sono unite ed insieme iniziano e finiscono il giorno postando un saluto, scambiandosi modelli, consigli, idee e persino stoffe. Se qualcuno non ne ha per cucire, l'altro è sempre disposto ad inviarne.



Non avrei mai potuto immaginare che nel piccolo spazio di un gruppo grande come tutta l'Italia potesse scorrere tanta bellezza ! Basta leggere solo alcuni post per rendersi conto di quanta gente sia pronta a mettersi in gioco, uscendo dal proprio guscio per andare incontro agli altri. Per ora non siamo che un bisbiglio fra le tante grida del web, ma vorremmo dar voce a questo progetto, vorremmo farci sentire da tutti e a tutti regalare un Natale migliore, condividendo una gioia che ogni giorno ci rende più ricche e consapevoli che un sorriso ha un valore inestimabile.

NOI NON SPEDIAMO SOLO VESTITI... DISPENSIAMO SPERANZA... 

la stessa speranza che abbiamo nel credere che vorrete dedicarci un po' del vostro  tempo ! Grazie.

Pagina Facebook: Little Dresses for Africa Italia
Gruppo Facebook: Little Dresses for Africa Italia cuciamo
Email: sabrinacoccoloni@gmail.com
Cell: 3397924238

Grazie anche da parte nostra a tutte le persone che vorranno aiutare Sabrina in questo grande progetto. Buon Natale.

AUGURISSIMI A TUTTI E SOPRATTUTTO GRAZIE DI ESSERCI !!!!

Carissimi Amici, Volontari e Simpatizzanti



AUGURIAMO A CIASCUNO DI VOI E ALLE VOSTRE FAMIGLIE



UN BUON NATALE E UN SERENO 2015







CERCU IABRI VOLONTARI NEL MONDO - ASSOCIAZIONE per il volontariato internazionale



                                                                                 

20 dicembre 2014

NON MI ASPETTAVO DI SENTIRMI A CASA



Sarah Bastianello volontaria a Kanyama in Zambia con l'Africa ChiamaVolontariato in Africa. Ci sono molte aspettative e molte immagini che vengono evocate dall’accostamento di queste tre parole. Ne hai tu, e ne hanno le persone che ti stanno attorno e a cui dici “Voglio andare a fare un viaggio di volontariato in Africa”; c’è chi ti guarda strano, chi ti dice “brava”, chi ti dice “ma non è pericoloso?”, chi ti chiede “perché?” e altro ancora.
La mia partenza per questa esperienza di tre settimane è stata covata a lungo, era un pensiero che mi accompagnava da anni e a cui sono riuscita a dare ascolto in maniera attiva solo questo Agosto 2014. Non sapevo esattamente perché volevo partire e non sapevo qual’era la voce che mi chiamava verso l’Africa.

Sono partita forse per curiosità e forse bisogno di essere immersa in un contesto culturale diverso per poter guardare con occhi nuovi il mio, sono partita con le aspettative più o meno comuni di chi si approccia a un esperienza del genere, sono partita non sapendo che quello che dell’Africa ti travolge è quello che non ti aspetti. Non mi aspettavo  la gioia. Una gioia che nel nostro continente non vedi e probabilmente non vedremo mai, una gioia che è difficile da spiegare se non la guardi negli occhi. Non mi aspettavo i sorrisi.
Non mi aspettavo di passare un pomeriggio ad insegnare a giocare a pallavolo a dei ragazzi di 15-17 anni e ancora meno mi aspettavo il loro interesse autentico nell’ascoltare le poche cose che potevo insegnargli.



Non mi aspettavo che il più grande fan e utilizzatore della mia macchina fotografica fosse Boyde ragazzino di quattordici anni di un intelligenza disarmante che ha provato ad insegnarmi come si usano le sue tavolette per scrivere… in braille. 

Non mi aspettavo di sentirmi dire da un ragazzino nato e cresciuto nel compound “ da grande voglio diventare il capo della  polizia, anche se non mi piace la violenza, perché credo che per farsi rispettare l’unico modo sia portare rispetto”.
Non mi aspettavo di non sentire bambini piangere. Nonostante siano per strada da quando camminano, nonostante camminino scalzi per strade improbabili, nonostante in buona parte dei casi saltino i pasti, nonostante i giocattoli li costruiscano dalla spazzatura (con una creatività e capacità ingegneristica da non sottovalutare), in tre settimane non ho sentito bambini piangere. Li ho visti sorridere, ridere, correre, giocare come qualsiasi altro bambino nel mondo, ma piangere mai.

Non mi aspettavo le mille facce dell’Africa che puoi vivere e vedere nell’arco di pochi chilometri.
Non mi aspettavo di sentirmi a casa.
Oggi a distanza di un quasi un mese dal mio ritorno dallo Zambia mi ritrovo a guardare le foto ogni giorno, pensando a quanto questa esperienza mi abbia aiutato a ridare forma alle mie priorità e al modo in cui spesso per abitudine o routine, sono abituata a percepire la realtà che vivo qui in Italia.


Descrivere questa esperienza nei dettagli è difficile e penso mi ci vorrebbero molte pagine e ancora credo non riuscirei a trasmettere quello che ho vissuto.
Sarah Bastianello – volontaria a Lusaka, Agosto 2014

http://www.lafricachiama.org/

18 dicembre 2014

SIMONE E MILENA... STORIA VERA... PER CHI IL NATALE E' TUTTI I GIORNI...





Ieri all'una di notte stavo tornando a casa quando ho visto questa bambina dormire vicino ad un albero sul cemento.
Mi sono acceso una sigaretta e per cinque minuti buoni l'ho fissata.
Non so cosa mi abbia spinto a farlo, ma l'ho svegliata.
Lei si è presa paura, tanta, mi ci sono voluti dieci minuti buoni per tranquillizzarla anche perché non ho ancora, quasi niente, imparato il portoghese.
Si chiama Milena.
A Porto Seguro non capita spesso di incontrare bambini o persone delle favelas perché distano parecchi chilometri da qua.
Dopo averla tranquillizzata le ho chiesto se voleva farsi una doccia e mangiare qualcosa, alla parola mangiare si è alzata in piedi e ha annuito subito.
Sotto la luce del lampione l'ho vista bene.
Aveva i capelli sudici, la pelle piena di croste, i piedi martoriati, due occhi spenti e affamati.
Cominciamo a camminare verso casa mia e le chiedo quanti anni ha e come mai era lì tutta da sola.
Mi risponde che ha quasi 6 anni e che è scappata da casa.
Le chiedo dove sono la sua mamma e il suo papà.
La mamma è morta e appena sente la parola Papà, giuro su Dio, nei suoi occhi vedo il terrore. 
Dopo 5 minuti arriviamo a casa, la faccio entrare in bagno, vedo che è spaesata completamente. 
Sulla sua schiena vedo ematomi e cicatrici.
Le do lo shampoo e il bagnoschiuma ed esco. 
Dopo venti minuti esce dal bagno col suo vestito sporco e strappato.
Le do una mia maglietta che le arriva fin sotto i piedi.
Apro il frigo e le chiedo cosa vuole, lei con timidezza mi indica il prosciutto.
In 20 minuti buoni mi ha svuotato il frigo.
E per la prima volta in vita sua ha assaggiato la Nutella.
Ci sediamo sul letto e con l aiuto del traduttore le chiedo di raccontarmi cosa ci fa qua tutta sola.
Mi dice che una settimana fa è scappata dalla favelas e dopo tre giorni di viaggio a piedi senza mangiare è arrivata qua.
Mi dice che ha paura che suo padre la cerchi per riportarla a casa.
Al terzo sbadiglio si corica nel letto e comincia a dormire.
Mi siedo su una sedia accanto a lei e fumandomi un pacchetto intero la fisso per tutta la notte.
Sul comodino vedo il mio iPad, 800 euro, e mi vergogno di me stesso.
Lo prendo e comincio a cercare su internet orfanotrofi, scuole, case famiglie.
Ormai noi sottovalutiamo internet, possiamo sapere tutto quello che vogliamo in un attimo, possiamo cercare un hotel a Mosca, possiamo sapere quanti gradi ci sono a Detroit, possiamo sapere cosa mangiare a Sidney, e sebbene possiamo essere informati su tutto, molte volte, decidiamo di stare a casa e non vedere il mondo coi nostri occhi.
Lei invece non poteva sapere niente, non sapeva che esiste Mosca, Detroit, Sidney.
Non sapeva che c'è un mondo meraviglioso fuori dalla sua favelas.
Non sapeva che esistono rubinetti dai quali si può bere acqua buona, o scuole dove poter imparare la storia, la matematica, la vita.
Eppure Milena aveva la speranza che fuori dal suo orribile piccolo mondo ci fosse un mondo più bello e quindi è partita.
Ho visto in una sola bimba il coraggio che non riescono a raggiungere milioni e milioni di persone.
Dopo un po' d'ore si sveglia e mi guarda, mi sorride e mi dice "obrigado". Grazie.
In quel momento avrei voluto adottarla e portarmela in Italia.
Ho guardato cosa bisogna fare per adottare qua in Brasile e sono rimasto sbigottito dalla burocrazia e i tempi che ci vogliono.
Inoltre mi mancavano parecchi requisiti e ottenere l'adozione sarebbe stato praticamente impossibile per me.
Poi ho pensato che ho 24 anni e non mi sento ancora in grado di poter essere un buon padre, vivo coi miei genitori e, non voglio pesare sulle loro spalle per una scelta mia, per quanto credo fermamente che siano i primi ad assecondarmi.
E poi non volevo neanche far incazzare Salvini che nell'ultimo periodo l'ho visto un po' imbruttito.
Mi sono preso un po' di tempo per decidere cosa fare e nel mentre siamo andati per negozi, le ho comprato delle ciabatte, 10 paia di mutande, 5 vestitini, due paia di pantaloni, 5 magliette, una spazzola, il dentifricio, lo spazzolino, il bagnoschiuma, il deodorante, uno zainetto e un braccialetto uguale al mio.
Non riesco a descrivere il modo in cui mi ha guardato.
Con più o meno i soldi di una cena con gli amici mi sono guadagnato il sorriso più bello del mondo.
Teneva stretto il suo zainetto come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Dopo aver mangiato un gelato le chiedo se le sarebbe piaciuto andare a vivere in una casa grande con altri bambini e dove avrebbe potuto andare a scuola, lei si alza e mi salta addosso abbracciandomi e dicendomi "Obrigado obrigado obrigado". Un laccio al cuore.
Abbiamo preso il taxi e siamo andati fino a Casa Vo' Jurema, ad Arraial d'Ajuda, una casa famiglia fondata nel 1998 da una signora, che ha vissuto fino a 15 anni nelle favelas e che non ha mai ricevuto un aiuto ne dallo stato di Bahia ne dal governo.
È un ambiente carinissimo e con 30 bambini anche più piccoli di Milena.
È stato davvero emozionante vedere su i loro piccoli visi un sorriso enorme di chi sta conoscendo la vita vera e non l'inferno che ha vissuto fino a poco tempo fa.
Questa casa ha comunque bisogno di soldi per poter migliorare i propri servizi e pagare le cure ai bambini malati.
Chiunque leggesse questo stato vorrei che guardasse in cuor suo e pensasse a quanto siano futili 10 euro per il prosequio della propria vita e quanto possano significare, invece, 30 Reais per questi bambini.
Con i soldi che noi spendiamo per una maglietta da H&M, o per due pacchetti di Lucky Strike, o per una schedina che tanto non sarà mai vincente, questi bambini riescono ad ottenere un pasto caldo, un letto confortevole dove dormire, delle cure per guarire da una malattia.
Donare è molto semplice, basta andare su casavojurema.org andare sul punto di domanda e donare tramite qualsiasi carta di credito, postpay, paypal.
Probabilmente dopo averlo fatto non piangerete di gioia come ho fatto io, non vi sentirete dire da Milena "Eu te amo", non riceverete un abbraccio forte da tutti questi bambini ma vi sentirete persone migliori.
Per Natale fate un regalo anche a voi stessi, donate un sorriso a questi bambini.
A me è bastato l'abbraccio di questa bellissima bimba a far trasformare un giorno normale, nel giorno più bello della mia vita.


BUON NATALE, SIMONE PAGANO... IL MONDO HA BISOGNO DI MILIONI DI RAGAZZI COME TE... BUON NATALE, PICCOLA MILENA... CHE TUTTE LE MILENA DI QUESTO MONDO POSSANO TROVARE UN SIMONE SULLA LORO STRADA... GRAZIE GRAZIE GRAZIE...

                                                                                                                                                                                   Pax

                                                                                                                                                                                              


15 dicembre 2014

MAKE-A-WISH... IN ITALIA E NEL MONDO... REALIZZA I DESIDERI DEI BAMBINI AMMALATI




La missione
Realizzare i desideri dei bambini gravemente ammalati per arricchire di gioia, speranza e forza la loro esperienza umana. 

Per un bambino gravemente malato, vedere che il suo desiderio si realizza, significa capire che nulla è impossibile e ritrovare la forza per continuare a lottare. Significa dimenticare per un attimo di essere malato e tornare ad essere semplicemente un bambino.


Il valore di un desiderio
Una grave malattia stravolge la vita di un bambino e quella della sua famiglia. Il bambino perde il contatto con il mondo normale, catapultato in una realtà fatta di ripetuti ricoveri in ospedale, cure molto dolorose, di ansia e di preoccupazione. 
I bambini gravemente ammalati perdono di fatto il loro diritto a vivere la propria infanzia, e molto spesso cadono in una profonda depressione che fa loro lentamente perdere le forze. Un desiderio esaudito fa capire che nulla è impossibile, riporta speranza e forza per lottare, dona un impagabile momento di felicità, fa dimenticare per un attimo di essere malato. Spesso, proprio grazie alla spinta del desiderio, i bambini ritrovano la forza di lottare contro il male che li affligge.

"Avevo 10 anni. Mi ricordo solo che continuavo a piangere seduta sul mio letto in ospedale, incredula di quello che mi stata accadendo. Ero devastata, non ce la facevo più e pensavo di lasciarmi andare. Avevo solo un desiderio: vedere la neve, e pensavo che ormai non la avrei mai più potuta vedere.
Make-A-Wish® organizzò per me e la mia famiglia un bellissimo viaggio a Victoria Mt Hotham. Furono momenti che non dimenticherò mai: dopo tanto tempo assaporai nuovamente momenti di felicità assieme alla mia famiglia e di fatto ritrovai la speranza e la forza per lottare."

Emma, che oggi ha 29 anni, è una delle più attive volontarie di Make-A-Wish® Australia.

www.makeawish.it

Per Natale, lasciamo perdere i regali futili. Realizziamo un desiderio...

                                                                                                        Pax

12 dicembre 2014

CONCERTO SPIRITUAL PER CERCU IABRI ONLUS ED I SUOI BAMBINI DELLA GUINEA BISSAU - CORNAREDO (MI) 22.11.2014


Il 22 novembre scorso si è esibito, a titolo completamente gratuito, per l'Associazione CERCU IABRI ONLUS ed i suoi bambini della Guinea Bissau, il GRUPPO CORALE DELL'AURORA. L'evento ha avuto luogo a Cornaredo, nella chiesa parrocchiale che Don Fabio Turba, per l'occasione, ha gentilmente, e con grande entusiasmo, messo a disposizione.

Il concerto è stato un vero successo, con queste voci meravigliose che ci hanno regalato momenti indimenticabili.

Un'amica ne ha registrato col cellulare i momenti più salienti. La qualità non è eccezionale, ma desideriamo renderne partecipi anche voi. Siamo certi di farvi cosa gradita e vi auguriamo buon ascolto.










N.B. : L'esibizione è stata punteggiata da tantissimi e calorosissimi applausi e si è terminata con una standing ovation da parte dei presenti. Il segretario e fondatore di Cercu Iabri Onlus, Massimo Lorenzato, a Cornaredo per l'occasione, ha promesso ai Coristi di portarli a cantare a Venezia quanto prima. Proposta che hanno accolto con entusiasmo. Quindi... a presto... anche con gli amici veneziani.

                                                                                                      Pax

11 dicembre 2014

IL VANGELO SECONDO DON GALLO

Se il tuo Dio è bambino di strada
umiliato, maltrattato, assassinato,
bambina, ragazza, donna violentata, venduta, usata,
omosessuale che si dà fuoco senza diritto di esistere,
handicappato fisico, mentale, compatito,
prostituta dell'Africa, dei Paesi dell'est,
che tenta di sfuggire la fame e la miseria creata dai nostri stessi Paesi,
transessuale deriso e perseguitato,
emigrato sfruttato e senza diritti,
barbone senza casa né considerazione,
popolo del Terzo mondo al di sotto della soglia di povertà,
ragazza mai baciata, giovane senza amore,
donna e uomo cancellati in carcere,
prigioniero politico che non svende i suoi ideali,
ammalato di Aids accantonato,
vittima di sacre inquisizioni,
roghi, guerre, intolleranze religiose,
indigeno sterminato dall'invasione cattolica dell'America,
africano venduto come schiavo a padroni cristiani,
ebreo, rom, omosessuale o altro dissidente
sterminato ad Auschwitz e negli altri lager nazisti
o nei gulag sovietici,
morto sul lavoro sacrificato alla produzione,
palestinese, maya o indigeno derubato della sua terra,
vittima della globalizzazione;
se il tuo Dio ti spinge a condividere con loro
ciò che hai e ciò che sei,
a difendere i diritti degli omosessuali e degli handicappati,
a rispettare quelli che hanno altre religioni e opinioni,
a stare dalla parte degli ultimi
a preferire loro all'oppressore
che vive nei fasti di palazzi profani o sacri,
viaggia con aerei privati,
viene ricevuto con gli onori militari
e osannato dalle folle;
se egli considera la terra e i beni
non come privilegio di alcuni, ma come proprietà di tutti,
se ama ricchi e oppressori
strappando loro le ingiustizie che li divorano come cancro
togliendo il superfluo rubato
e rovesciando i potenti dai loro troni sacri o profani,
se non gli piacciono le armi, le guerre e le gerarchie,
se non fa gravare, come i farisei,
pesi sugli altri che lui stesso non può portare,
se non proibisce il preservativo che ostacola la diffusione dell'Aids,
se ha rispetto per chi vive delle gravidanze non desiderate,
se non impone alle donne le sue convinzioni sull'aborto
ma sta loro vicino con amore e solidarietà,
se non è maschilista e non discrimina le donne,
se non toglie alle persone non sposate il diritto di amare,
se non consacra la loro subordinazione,
se non impone nulla, ma favorisce la libertà di coscienza,
se rispetta gli altri dei e le altre dee,
se non pensa di essere il solo vero Dio,
se non è convinto di avere la verità in tasca e cerca con gli altri;
se è umile, tenero, dolce, a volte smarrito e incerto,
se si arrabbia quando è necessario
e butta fuori dal tempio commercianti e sacri banchieri,
se ama madre terra, piante, animali, fiori e stelle;
se è povero tra i poveri,
se annuncia a tutti il vangelo di liberazione degli oppressi
e ci libera da tutte le religioni degli oppressori;
allora qualunque sia il suo nome, il suo sesso, la sua etnia
il colore della pelle, nera, gialla, rossa o pallida,
qualunque sia la sua religione, animista, cattolica, protestante,
induista, musulmana, maya, valdese, shintoista,
ebrea, buddista, dei testimoni di Geova,
Chiesa dei santi degli ultimi giorni,
di qualsiasi Chiesa o setta
non m'importa
egli sarà anche il mio Dio
perché manifestandosi negli ultimi
è Amore con l'universo delle donne e degli uomini,
nello spazio e nel tempo
e con la totalità dell'essere,
amore cosmico
che era, sta e viene
nell'amore di tutte le donne e di tutti gli uomini,
nei loro sforzi per la giustizia, la libertà, la felicità e la pace.

10 dicembre 2014

STORIA DI MAMAFRICA

Per chi non conoscesse ancora la storia di MamAfrica...




Enzo Liguoro è stato docente di geografia politica per 35 anni.
Viaggiatore, fotografo, innamorato dell'Africa, dopo il suo primo viaggio in Congo restò toccato dalle difficoltà e sofferenze della gente del posto. Era il 1981 e fu allora che prese la decisione di fare qualcosa di reale per dare una mano ai fratelli africani.



Dal 1983 ha fatto arrivare qui in Italia 8 ragazzi, 6 del Congo e due del Togo, tutti orfani di entrambi i genitori o gravemente malati. Hanno vissuto presso di lui e tuttora ha in adozione ancora due di essi.

I suoi viaggi si sono sempre piu trasformati in "viaggi umanitari" con l'interesse primario verso malati, orfani, donne anziane e povere, bambini non scolarizzati.
Dall'83 ha continuato a fare del volontariato recandosi spesso nei seguenti Paesi: Ghana, Togo, Congo, Burkina Faso, Benin, Tanzania, Mozambico.
Con il tempo, incoraggiato da amici, associazioni, enti locali, scuole ha creato un' associazione con il solo scopo di realizzare microprogetti laddove c'era urgente necessità di interventi .
Nel giugno 2006 finalmente la pensione ! "Finalmente", poiché solo in questo modo ha potuto dedicarsi totalmente alla realizzazione del suo sogno: una casa-famiglia per bambini orfani nel villaggio di Togoville ( Togo), un villaggio dove ci si arriva in piroga, completamente isolato che vedeva decine di bambini di strada, completamente abbandonati a causa della perdita dei genitori.
Mama Africa è diventata poi onlus e partecipa anche alla sottoscrizione del 5 per mille.
I lavori della costruzione della struttura li ha realizzati con la propria liquidazione di fine rapporto lavoro.



In seguito non sono mancati attestati di solidarietà concreta come la visita di due Sindaci del Vesuviano, docenti, studenti universitari, volontari, missionari.
E' dal 2006 che il professore vive stabilmente in Africa, tornando di tanto in tanto in Italia per curarsi dalle patologie che inevitabilmente lo colgono ed anche per cercare fondi da destinare per la continuità o realizzazione di nuovi progetti.





I bambini della casa-famiglia fanno festa... ogni occasione è buona per ballare


09 dicembre 2014

AFRICA........ E VIAGGIARE

                                                                                             

Mi chiedo prima di qualsiasi altra riflessione cosa voglia dire raccontare l'Africa attraverso il binocolo del viaggio.

Se mi chiedo: cos'è l'Africa? Mi vengono in mente subito le parole di Kapuschinski: l'Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un oceano, un pianeta a se stante, un cosmo vasto e ricchissimo. E‚ solo per semplificare che lo chiamiamo Africa. A parte la sua dimensione geografica, l'Africa non esiste. 

Il concetto di viaggio è altrettanto difficile per riuscirlo ad abbracciare nella sua complessità. Cosa vuol dire viaggiare? Se si parte lasciando a casa il superfluo, non si può che rimanere nudi, nudi con noi stessi, con il proprio io a fare i conti con l'infinitamente altro che prende vita in ogni persona che incontriamo. Il viaggio è dunque, prima di ogni destinazione, nello stesso momento una partenza per noi stessi ed un pellegrinaggio verso l'altro. Mi viene spontaneo chiedermi anche per quale motivo si inizia un viaggio? Il porto è un luogo affascinante per quelli che partono e quelli che ritornano, che hanno la forza di volere, il desiderio di viaggiare ed arricchirsi.

Questo porto, immaginario, è quel luogo che scopriamo di possedere dentro ognuno di noi, un luogo affascinante e irrazionale. Verso questo luogo di passaggio siamo stati spinti, dalla curiosità e dall'irrequietezza del nostro animo, per iniziare il nostro viaggio. 

L'Africa che cerchiamo è prima di tutto dentro di noi, un luogo dove poter ritrovare l'immensità dell'altro. L'unico posto in cui, l'animale sociale uomo, ritrova il suo riconoscimento e la sua utilità nell'incontro con l'altro. Non servirebbe dunque partire, siamo circondati da altre persone, basta affacciarsi dalla finestra, l'altro è anche qui. Eppure di queste persone che vediamo, forse, qui non ne abbiamo bisogno, diventano addirittura scomode e magari già stiamo competendo con loro, per un parcheggio, per un lavoro, per un posto in fila... Abbiamo bisogno del viaggio per ritrovare quella nudità necessaria abbandonando il superfluo per accorgerci che esiste l'altro, che ne abbiamo bisogno. E' dunque il viaggio e l'Africa che corrono in soccorso all'uomo occidentale, al contrario di quanto ci si può aspettare. 

Come disse un missionario comboniano, quando ci si appresta a partire la valigia deve contenere meno cose possibili, meglio se è vuota. Non bisogna scrivere sul diario della propria vita ciò che ci si aspetta di trovare nel futuro, ciò che ci si aspetta di trovare in Africa o in Europa per esempio, perché difficilmente poi la vita leggerà ciò che abbiamo scritto per lei. La valigia, metaforica, deve essere dunque vuota di quelle immagini sull'Africa che abbiamo già pensato dentro di noi, non avrebbe appunto senso partire se ciò che cerchiamo lo conosciamo già. Partiamo vuoti, vuoti anche di noi stessi, di ciò che di noi vogliamo cambiare perché il viaggio ci aiuterà a farlo. 

L'opera piu' bella è di essere utile al prossimo.... la solidarietà è l'unico investimento che non fallisce mai.

08 dicembre 2014

VOLONTARIATO... secondo Luca...

Fare del volontariato è come bere un contravveleno. L’avvelenamento comincia presto, anzi subito: la casa, la famiglia, la città avvelenano, la nascita stessa è un veleno, il più tremendo; poi viene il lavoro, un avvelenamento interminabile, il divertimento (veleno su veleno), le cure, il più ovvio dei veleni.
Di veleno del mondo non si muore subito: meno pietoso del cobra e dell’aspide, il mondo avvelena per gradi, uccide senza uccidere.
La privazione di senso, l’assenza di centro, l’assoggettamento a tutto. Un mondo senza bellezza, sfrenatamente umanizzato, obbliga ad invocare, a cercare la fuga, a recidere i rapporti umani, a staccarsi dal polipaio, terrorizzati dalla faccia umana.
Farei il volontario al servizio degli insetti; riparerei le ali di mosca, aiuterei i ragni azzoppati ad attraversare i fili della biancheria, inventerei protesi per i lombrichi tagliati, le farfalle mutilate, le blatte ferite dalle scope.
Il volontariato è un contravveleno della retribuzione in denaro. I giovani che lo fanno sentono avvicinarsi lo schifoso vampiro dell’incombente PAGA e cercano un punto, un luogo favorito in cui non sia avvertibile la sua ributtante presenza; chi è già entrato nella bocca della paga, morsicato, masticato, digerito per sempre dal falso dio STIPENDIO, dal satana SALARIO, dai malefici spiriti CONTRIBUTI, o addirittura lo ha tirato giù nella prefossa la PREPENSIONE, e là dentro scalcia, resiste, annaspa per uno spiraglio di luce, per una tregua dai denti infami, con gioia si precipita verso l’occasione offerta – grazia provvidenziale- di darsi gratuitamente, di non sentirsi come venduto ai mostri, di beffare il potere sindacale, di fare al sindacato le fiches in faccia. Solo il lavoro disinteressato compensa. Lavorare è asservimento, ma dove mancano costrizione e denaro il lavoro muta natura, è un “ergon” da un soffio di felicità improvvisa reso leggero.
Il volontariato è un contravveleno dalla famiglia, che nel bisogno come nel soddisfacimento esiste principalmente come fabbrica privata di denaro. Il pensiero ossessivo delle famiglie è il denaro. Qui la buona e la mala vita si danno una mano: esiste in vista del denaro. Il figlio che non guadagna è sospetto, è un malato o una vergogna. Bisogna fare denaro. Denaro da spendere in macchine, turismo, o altra famiglia. Non è vita questa, è GIAPPONE.
Non c’è gusto a voler conservare questo mondo, è troppo fesso, manca troppo d’intelligenza, manca troppo d’amore.
Bene, che fioriscano i volontariati e sottraggano energie alle famiglie: ci sarà guadagno d’anima. La famiglia non salva, perde. Dove mette le mani fa il deserto, non la pace.
Il volontariato mette qualche salutare carica esplosiva qua e là, ma la gabbia di BIP ha l’estensione del mondo con tutto quel che oggi contiene. Il nome è vago, gli corrispondono realtà diverse, ed il totalitarismo sindacale non potrà a lungo permettere che delle attività assistenziali in grado di mobilitare e di occupare sempre più gente si sottraggano al suo controllo. Metterà inciampi.
Si può essere volontari dai 18 agli 80 anni, e oltre: il volontariato è aconfessionale e raccoglie chi va in chiesa e chi non ci va.
Come scuola di vita, se frequentata a lungo e con assiduità, mi pare delle più fruttuose; vi s’impara un mestiere imponente ed inesplicabile, che altrove non può essere imparato altrettanto bene: ad avere pietà, a donare amore, a portare la croce, per un tratto, per mezz’ora, per qualche ora al giorno, di chi non può farcela.

(Fonte Rai Radio 3)

                                                                                                         Pax


07 dicembre 2014

IO SONO UN BAMBINO………….


    
                                                                                


Io sono un bambino, non conta nient’altro. Il voler essere ciò che sono, insieme a tutti coloro che hanno la mia età, è un nostro diritto, ma è un dovere di tutti voi adulti a rispettare ciò che siamo.
Ogni bambino è vita, e in ogni parte del mondo esistono bambini che soffrono, che vivono per strada, malnutriti, che subiscono violenza, senza nessuna possibilità di un’istruzione e soprattutto messi nell’ultimo gradino di una gerarchia egoistica.
Io ho il diritto di vivere e di poter avere la possibilità di credere in un futuro migliore. Non chiedo ad altri di fare ciò che tocca a me coltivare, ma chiedo all’adulto di prendersi cura e di proteggere me, piccolo uomo, come il grande futuro della terra. Noi, bambini del mondo, senza distinzione di razza, colore o appartenenza di religione siamo tutti uguali, con i nostri sogni, le nostre capacità e le nostre speranze possiamo riuscire a rendere l’uomo più saggio e più maturo davanti alle difficoltà che incontra, perché pur essendo piccoli, oltre a prendere esempio da voi, abbiamo imparato che la forza, la grinta, la determinazione che possa avere un bambino non l’ho incontrato in nessuno di voi. Allora io chiedo a voi adulti una cosa molto importante: “siete disposti a donare parte del vostro tempo per regalarci un sorriso e donarci un abbraccio?”
Ho conosciuto persone meravigliose che senza farsi notare hanno saputo donare il poco che avevano, erano povere come me, ma hanno condiviso ciò che portavano con sé: l’amore per la vita. Mentre persone egoistiche che oltre all’apparenza non sapevano osservare altro.
La vita mi ha dato tante possibilità grazie a tutti coloro che mi hanno dato una mano, mi hanno ridato la voglia di dire “io valgo, appartengo a questo mondo e nessuno ha il diritto di togliermelo”.
Ora all’altezza del mio essere adulto, guardo il mondo e mi accorgo che non è cambiato molto da quando ero un piccolo uomo calpestato da tanti, osservo i gesti quotidiani delle persone che ti regalano un sorriso e tu sei felice, parlo con gente piena di iniziative, poi mi accorgo che sono solo parole al vento. Alla fine mi ritrovo a riflettere sul percorso della mia vita e scopro che grazie a quelle infinite persone nascoste tra la gente e chiamate volontari, mi hanno donato la vita dandomi una seconda possibilità.

Mi hanno lavato, curato e accolto, ho imparato a scrivere e a leggere, creandomi un futuro. Mi hanno dato una casa, mi hanno insegnato a giocare, mi hanno fatto credere nel valore della famiglia, ma soprattutto mi hanno fatto capire che non esiste il bianco, il nero, l’indiano, l’albino il disabile, e tanti altri colori o tutti i problemi che il mondo contiene. Ho imparato da loro che io sono bambino e sono nato per vivere, abbiate cura di tutti noi, questo me lo hanno insegnato dei volontari che hanno creduto in me quando ero bambino e ora da adulto sono volontario come loro perché grazie a loro io vivo…………GRAZIE

06 dicembre 2014

LA STORIELLA di Gino Strada e Cecilia

C'era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il vero, c'era molta più acqua che terra su quel pianeta. Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po' bislacco. Prendete le automobili, per esempio. Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano "volante", anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo "guidante", oppure "girante", visto che serve per girare? Anche sulle cose importanti si faceva molta confusione.
Si parlava spesso di "diritti": il diritto all'istruzione, per esempio, significava che tutti i bambini avrebbero potuto (e dovuto!) Andare a scuola. Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale. Ma per chi viveva in un paese senza scuole, oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l'ospedale (e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l'eccezione), questi diritti erano in realtà dei rovesci: non valevano un fico secco. Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere, queste cose non erano diritti: erano diventati privilegi, e cioè 
vantaggi particolari riservati a pochi. A volte, addirittura, i potenti della terra chiamavano "operazione di pace" quella che, in realtà, era un'operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano. E poi, sulla Terra, non c'era più accordo fra gli uomini sui significati: per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare. Quanta confusione! Tanta confusione che un giorno il mago Linguaggio non ne potè più. Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini. All'inizio c'era stato un po' di trambusto, perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo l'altro pensava al canguro, e se uno chiedeva spaghetti l'altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai. Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti.
Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio, e il gorilla un animale peloso, e non c'era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto di sugo di pomodoro. Questo lavoro, di dare alle parole un significato preciso, era costato un bel po' di fatica al mago Linguaggio. Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione. "Le parole sono importanti" amava dire "se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non si capisce più niente". Una notte, dunque, si mise a scombinare un po' le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente. A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi e la lettera acca, ed erano diventati... alberi! Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tarzan. Alle macchine aveva rubato una enne, facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada. Alle torte invece aveva aggiunto una esse, erano diventate tutte storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia. Nelle scuole si era anche divertito ad anagrammare, al momento dell'appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, adesso erano tutti serpenti, e le maestre scappavano via terrorizzate. Poi si era tolto uno sfizio personale: aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era mai piaciuta. Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla. Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi. Andò avanti così per parecchi giorni, con le scarpe che diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventavano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare. Quanta confusione! Troppa confusione, e gli uomini non ne potevano più.
Mandarono quindi una delegazione dal mago Linguaggio, a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo. "E va bene" disse Linguaggio "ma solo ad una condizione: che cominciate a usare le parole con il loro giusto significato. I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi. Uguaglianza deve significare davvero che tutti sono uguali e non che alcuni sono più uguali di altri. E per quanto riguarda la guerra..."  "Per quanto riguarda la guerra" lo interruppero gli uomini "ci abbiamo pensato... tienitela pure: è una parola di cui vogliamo fare a meno".                                                                                                                                                                                                                    
Pax
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