Fare del volontariato è come bere un contravveleno. L’avvelenamento comincia presto, anzi subito: la casa, la famiglia, la città avvelenano, la nascita stessa è un veleno, il più tremendo; poi viene il lavoro, un avvelenamento interminabile, il divertimento (veleno su veleno), le cure, il più ovvio dei veleni.
Di veleno del mondo non si muore subito: meno pietoso del cobra e dell’aspide, il mondo avvelena per gradi, uccide senza uccidere.
La privazione di senso, l’assenza di centro, l’assoggettamento a tutto. Un mondo senza bellezza, sfrenatamente umanizzato, obbliga ad invocare, a cercare la fuga, a recidere i rapporti umani, a staccarsi dal polipaio, terrorizzati dalla faccia umana.
Farei il volontario al servizio degli insetti; riparerei le ali di mosca, aiuterei i ragni azzoppati ad attraversare i fili della biancheria, inventerei protesi per i lombrichi tagliati, le farfalle mutilate, le blatte ferite dalle scope.
Il volontariato è un contravveleno della retribuzione in denaro. I giovani che lo fanno sentono avvicinarsi lo schifoso vampiro dell’incombente PAGA e cercano un punto, un luogo favorito in cui non sia avvertibile la sua ributtante presenza; chi è già entrato nella bocca della paga, morsicato, masticato, digerito per sempre dal falso dio STIPENDIO, dal satana SALARIO, dai malefici spiriti CONTRIBUTI, o addirittura lo ha tirato giù nella prefossa la PREPENSIONE, e là dentro scalcia, resiste, annaspa per uno spiraglio di luce, per una tregua dai denti infami, con gioia si precipita verso l’occasione offerta – grazia provvidenziale- di darsi gratuitamente, di non sentirsi come venduto ai mostri, di beffare il potere sindacale, di fare al sindacato le fiches in faccia. Solo il lavoro disinteressato compensa. Lavorare è asservimento, ma dove mancano costrizione e denaro il lavoro muta natura, è un “ergon” da un soffio di felicità improvvisa reso leggero.
Il volontariato è un contravveleno dalla famiglia, che nel bisogno come nel soddisfacimento esiste principalmente come fabbrica privata di denaro. Il pensiero ossessivo delle famiglie è il denaro. Qui la buona e la mala vita si danno una mano: esiste in vista del denaro. Il figlio che non guadagna è sospetto, è un malato o una vergogna. Bisogna fare denaro. Denaro da spendere in macchine, turismo, o altra famiglia. Non è vita questa, è GIAPPONE.
Non c’è gusto a voler conservare questo mondo, è troppo fesso, manca troppo d’intelligenza, manca troppo d’amore.
Bene, che fioriscano i volontariati e sottraggano energie alle famiglie: ci sarà guadagno d’anima. La famiglia non salva, perde. Dove mette le mani fa il deserto, non la pace.
Il volontariato mette qualche salutare carica esplosiva qua e là, ma la gabbia di BIP ha l’estensione del mondo con tutto quel che oggi contiene. Il nome è vago, gli corrispondono realtà diverse, ed il totalitarismo sindacale non potrà a lungo permettere che delle attività assistenziali in grado di mobilitare e di occupare sempre più gente si sottraggano al suo controllo. Metterà inciampi.
Si può essere volontari dai 18 agli 80 anni, e oltre: il volontariato è aconfessionale e raccoglie chi va in chiesa e chi non ci va.
Come scuola di vita, se frequentata a lungo e con assiduità, mi pare delle più fruttuose; vi s’impara un mestiere imponente ed inesplicabile, che altrove non può essere imparato altrettanto bene: ad avere pietà, a donare amore, a portare la croce, per un tratto, per mezz’ora, per qualche ora al giorno, di chi non può farcela.
(Fonte Rai Radio 3)
Pax
Un punto di vista molto interessante, quello di Luca, che condivido pienamente. Una visione del mondo molto arguta, ironica e del tutto realistica. Con una sola morale: VIVA I VOLONTARI !
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