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21 settembre 2015

21 SETTEMBRE. GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA PACE

IL SILENZIO SULLA GUERRA FA MALE QUANTO LE BOMBE


Un giorno per dire no alla guerra e chiedere che, nei tanti luoghi del mondo in cui si combatte, cessi il rumore delle armi: questo è il senso della Giornata internazionale della Pace, istituita dalle Nazioni Unite nel 1981 e che, dal 2001, ricorre ogni anno il 21 settembre. Un momento per riflettere, tutti, sull'assurdità dei conflitti che insanguinano il Pianeta.

Il tema scelto per le celebrazioni di quest'anno, Partnerships for Peace – Dignity for all, vuole sottolineare l'importanza della collaborazione, non solo tra le Nazioni, ma anche tra tutti i segmenti della società, affinché lavorino insieme per costruire una pace durevole, a beneficio di ogni essere umano.

Nel messaggio diffuso per l'occasione, il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha lanciato un appello a tutti i Paesi e a tutti i gruppi coinvolti in conflitti, chiedendo che, almeno per oggi, si osservino ventiquattrore di tregua.

 
"La Giornata" – scrive Ban Ki-moon – "vuole anche essere un'occasione per proclamare il cessate il fuoco nel mondo intero per un giorno: ventiquattro ore di tregua dalla paura e dall'incertezza che affliggono così tante regioni del Pianeta. Oggi, quindi, invito tutti i Paesi e tutti i combattenti a rispettare la cessazione delle ostilità e chiedo che alle 12, ora locale, si osservi un minuto di silenzio. Dovremmo sfruttare il silenzio delle armi come occasione per riflettere sul prezzo che tutti noi stiamo pagando a causa dei conflitti e dovremmo inoltre impegnarci con decisione a trasformare questo giorno di tregua in una pace duratura. Durante questa Giornata Internazionale, facciamo a noi stessi la promessa: che la pace diventi una passione e non una mera priorità. Impegniamoci a fare di più, ovunque e in qualunque modo possibile, affinché ogni giorno sia un giorno di pace."

In questo giorno così particolare, ha senso ricordare che, oltre ai conflitti più presenti sui media e, di conseguenza, più noti, come Siria, Iraq, Afghanistan e Ucraina, ce ne sono decine di altri di cui non si parla o si parla pochissimo: guerre lontane e "dimenticate", nonostante il numero di vittime e di profughi che provocano e a dispetto delle atrocità commesse dalle parti in causa, e che vanno avanti indisturbate da mesi o, addirittura, da anni, senza che l'opinione pubblica mondiale faccia sentire la propria voce e nel silenzio assordante e spesso colpevole di Governi e organizzazioni internazionali.

Pensiamoci oggi: pensiamo, ad esempio, ai tanti piccoli Aylan che non vediamo e che per questo non ci fanno commuovere, e ricordiamoci, almeno per un momento, di Paesi quali il Sud Sudan e il Darfur, della Nigeria, della Repubblica Democratica del Congo, della Somalia, dello Yemen, della Libia, della Repubblica Centroafricana e del Pakistan. Fermiamoci un attimo a riflettere sui conflitti di proporzioni inferiori, ma da non sottovalutare, che serpeggiano in Paesi come l'India, la Tailandia, la Turchia, la Birmania, il Mali e l'Etiopia. E l'elenco non si esaurisce certo qui.

Ciascuna di queste guerre, piccola o grande che sia, colpisce uomini, donne e bambini, spogliandoli dei più elementari diritti e privandoli di ogni prospettiva futura. Siamo onesti con noi stessi e pensiamo che, se avessimo avuto meno fortuna, se per puro caso fossimo nati altrove, sarebbe potuto accadere anche a noi.

Sono tante le iniziative ufficiali lanciate in questo giorno da associazioni e organismi internazionali per sensibilizzare le coscienze e soccorrere le persone coinvolte nei conflitti. Basi pensare alla campagna Stop Hunger - Start Peace promossa dal World Food Programme per sostenere sfollati e rifugiati a causa delle guerre: persone che hanno perso tutto e che, ogni giorno, devono lottare per dare da mangiare ai propri figli.

"Oggi è il momento in cui le persone si uniscono attraverso regioni e culture per un mondo libero dalla fame e pacificato." - spiega Ertharin Cousin, Direttrice esecutiva del WFP - "L'assistenza alimentare, in periodi di conflitto, ha un ruolo fondamentale nel salvare vite umane e alleviare le sofferenze. Il cibo riunisce e tiene insieme le famiglie. La sicurezza alimentare dà una speranza alle famiglie in tempi disperati eliminando, nel contempo, il loro bisogno di ricorrere a misure estreme e pericolose quale unico mezzo di sopravvivenza."

Nel mondo ci sono milioni di persone che vedono le proprie vite stravolte dai conflitti: diamo un senso a questa ricorrenza, affinché non sia solo l'occasione per dare fiato ad un po' di retorica, e chiediamoci che cosa possiamo fare, in concreto, nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, per essere solidali con chi sta soffrendo e per far sentire, forte e chiaro, il nostro "No" alla guerra.                                                                                                           
Lisa Vagnozzi
www.greenme.it

                                                                                                          

16 settembre 2015

SGAMBETTO A LIETO FINE : IL PROFUGO SIRIANO ALLENERA' UNA SQUADRA IN SPAGNA


Una storia dal lieto fine, tra tanta disperazione. All'uomo col figlio in braccio, gettato a terra dalla giornalista ungherese, offerto un posto da allenatore.


Si chiama Osama Abdul Mohsen e lo conosciamo bene perché è il profugo siriano vittima, mentre correva con il figlio in braccio, del tristemente celebre sgambetto di una teleoperatrice ungherese (poi licenziata) alla frontiera con la Serbia. L'uomo potrebbe aver trovato lavoro in Spagna.

A riferirlo è stato il quotidiano sportivo di Madrid As. Mohsen è un ex-allenatore in Siria della squadra di calcio del Al-Fotuwa, ora in Germania, ha ricevuto una offerta di lavoro dal presidente della scuola di allenatori spagnola (Cenafe) Miguel Angel Galan.

Mohsen, che parla arabo e inglese oltre al francese e allo spagnolo, ha accettato volentieri e ora sta viaggiando con la famiglia verso la Spagna. Galan vuole accogliere la famiglia di Osama, trovargli un lavoro e fargli riprendere la carriera di allenatore. 

Dovrebbero sistemarsi nella zona di Getafe, grande municipio a 10 chilometri dal centro di Madrid, dove Galan ha messo a disposizione una casa e saranno raggiunti dalla madre e dagli altri due fratelli che al momento vivono in Turchia.



www.globalist.it



15 settembre 2015

LE FOTO DEI BAMBINI SALVERANNO L'EUROPA

Mentre il Papa chiede di accogliere i profughi, gli habitué della messa votano Salvini e vanno a Medjugorje. Intanto le foto dei piccoli profughi ci salvano dal nostro egoismo.
La tragedia di un popolo destinato a essere profugo compie il suo destino in questi giorni. Prendete un calendario, gente, e fissate le date. Appuntate che oggi si fa la storia. E che questa storia, fatta di gambe stanche e piedi feriti, la stanno facendo i bambini.


Dio non è scemo. Dio non si mostra nelle madoninne che piangono. Anche se a voi, gente che va in chiesa tutte le domeniche ma poi vota Salvini, fa comodo crederlo.

E a voi che mi rivolgo, voi che masticate la comunione come un chewing gum zeppo di saliva e retorica, voi, devoti alla sacrosanta abitudine settimanale della messa, sappiate che se quella madoninna apparisse davvero, non vi resterebbe che scappare, correre prima che vi prenda e vi spieghi cosa significa essere cristiani.



Sì, mi rivolgo a voi, gente che al sacerdote confessate gli atti impuri e non il razzismo, "perché non è questione di pelle, è solo che devono stare a casa loro" mentre continuate a farvi la croce, senza capirne il dolore di quei chiodi, mentre prenotate un alloggio a Roma per il Giubileo della misericordia, senza conoscere il significato della parola più bella della vostra religione "Misericordia".

Per sentire una spina nel petto ogni volta che si vedono le immagini dei migranti, a tanti, non serve Dio. Non serve credere in un buon padre che perdonerà le nostre meschinità e ripagherà le nostre opere buone e salderà i nostri crediti con la sofferenza. Molti vivono per questa vita, bella o brutta che sia. Hanno ammazzato Dio e con lui il destino. Hanno scelto una vita più dura, eppure hanno concretizzato con gesti di solidarietà quello che voi recitate come una filastrocca senza metterlo in pratica. Hanno imparato che le cose giuste si fanno perché vanno fatte. Perché la bellezza la vogliono costruire qui, in questa terra calpestata da piedi nudi, in questo mare che troppi non sanno nuotare.

Questa volta il vostro Dio, non è rimasto a guardare, si è fatto Aylan, corpicino bianco vestito come noi occidentali, per scuotere anche le coscienze di chi ancora divide l'umanità in razze e classi sociali. Si è fatto Galip, il fratellino di cui non abbiamo visto il sonno per sempre, ma che in fondo al nostro cuore, quell'assenza di immagine, ha scavato un buco nella nostra umanità. Si è fatto parola, attraverso la voce del coraggioso bambino siriano intervistato da Al Jazeera :"La polizia non ama i siriani in Serbia, in Macedonia, in Ungheria o in Grecia. Fermate la guerra e non verremo in Europa. La Siria ha bisogno di aiuto".
Si è fatta Hudea, simbolo di una generazione perduta, mentre noi ci scattiamo i selfie, lei ha alzato le sue manine davanti a una macchina fotografica, credendo fosse un'arma.
Poi si è fatto natività, si è fatto Madonna e bambino marchiati sul braccio, da una polizia a cui la storia del '900 non ha insegnato nulla. E infine si è fatto Speranza, come il nome della bambina nata in un barcone ed approdata sana e salva nelle coste italiane.


Credo che l'apertura delle frontiere tedesche e austriache, e un ammorbidimento della politica di Cameron in Inghilterra, la dobbiamo a questi piccoli Gesù bambino, che voi ci crediate o no, questi angeli sono scesi sulla terra per ricordarci il senso del nostro respirare. Forse per molti sono solo simboli, fotografie da Pulitzer. Eppure hanno fatto la storia. Hanno permesso questo sorriso. Hanno permesso questa domenica di Pasqua delle coscienze.


Dedicato a Asmae Dachan, giornalista siriana, amica coraggiosa che mi ha insegnato l'amore per la propria terra e la bellezza della Siria.

di Claudia Sarritzu
www.globalist.it

05 settembre 2015

11 SETTEMBRE: MARCIA A PIEDI SCALZI PER I MIGRANTI - VENEZIA, NAPOLI, TUTTA ITALIA...

VENEZIA MARCIA A PIEDI SCALZI PER I MIGRANTI.
La Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi che si terrà l'11 settembre al Lido di Venezia vuole richiamare l'attenzione sui migranti e arriverrà alla Mostra Internazionale del Cinema. Tra le adesioni Roberto Saviano, Lucia Annunziata, Gad Lerner, Jasmine Trinca, Amnesty International e la lista Tsipras. Si metteranno in cammino in solidarietà con i migranti e lo faranno a piedi scalzi portando fino alla Mostra del Cinema di Venezia la voce di chi scappa dalle guerre. Come a voler ricordare che le scene drammatiche mostrate dalle cronache televive sui flussi migratori non sono il trailer di un film.  Decine di persone appartenenti al mondo dell'associazionismo, dei sindacati, della cultura, del cinema, del giornalismo e via dicendo, l'11 settembre - data alquanto simbolica - attraverseranno il capoluogo Veneto percorrendo così la "Marcia delle Donne e gli Uomini Scalzi".  L'appello, partito dalla rete, ha trovato l'adesione di personalità come Lucia Annunziata, Roberto Saviano, Elio Germano, Gad Lerner, Marco Bellocchio, don Vinicio Albanesi, don Armando Zappolini,  Valerio Mastrandrea, Giusi Nicolini, Daniele Vicari, Sergio Staino, Jasmine Trinca, tra gli altri. "E' arrivato il momento di decidere da che parte stare - recita il testo - . Noi stiamo dalla parte degli uomini scalzi. Di chi ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere. E' difficile poterlo capire se non hai mai dovuto viverlo. Ma la migrazione assoluta richiede esattamente questo: spogliarsi completamente della propria identità per poter sperare di trovarne un'altra. Abbandonare tutto, mettere il proprio corpo e quello dei tuoi figli dentro ad una barca, ad un tir, ad un tunnel e sperare che arrivi integro al di là, in un ignoto che ti respinge, ma di cui tu hai bisogno". Gli organizzatori auspicano che questa Marcia sia l'inizio di "un lungo cammino di civiltà", dove è richiesto a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è accettabile respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà - prosegue l'appello - significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione delle ricchezze. Sono quattro, infatti, i punti principali su cui i promotori vogliono che si intervenga: la certezza di corridoi umanitari; un'accoglienza degna e rispettosa per tutti; la chisura e lo smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti; un unico sistema di asilo europeo, superando il regolamento di Dublino.  Tra le adesioni all'appello delle Donne e degli Uomini Scalzi quelle di Amnesty International, Arci, Cgil, il Manifesto, la lista Tsipras e il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza.  Iniziative analoghe si terrano altrove, a "mettersi in marcia" saranno anche Milano, Roma, Genova, Torino, Alessandria, Caltagirone, Palermo (il giorno prima) e Gorizia. A Venezia l'appuntamento è alle ore 17 al Lido in Piazza Santa Maria Elisabetta. In una recente vignetta del fumettista Sergio Staino una bambina chiede a un migrante carico di bagagli: "perché vi mettete in mare sapendo che forse morite?" e la risposta: "per quel forse". ​Di certo quelle centinaia di migliaia di emigrati, donne e uomini che macinano chilometri, spesso scalzi e con i figli imbraccio, chiamano e l'Occidente, sconvolto e un po' "impreparato" di fronte a questa tragedia, dovrà dare presto risposte certe.   Per il momento come atto di solidarierà si cammina, proprio come loro, a piedi nudi.

www.rainews.it 

NAPOLI

Corteo di solidarietà l'11 settembre dal metrò Toledo a piazza Municipio.

Marceranno a piedi scalzi per sostenere chi scappa dalla guerra e chiede asilo. Per cominciare "un cammino di civiltà". Cittadini e attivisti partiranno l'11 settembre alle 17 dal metrò Toledo e raggiungeranno piazza Municipio. La stessa marcia andrà in scena contemporaneamente in altre città italiane. 
"E' arrivato il momento di decidere da che parte stare", scrivono gli organizzatori della manifestazione partita da Venezia. All'appello hanno risposto migliaia di persone, adesioni lasciate anche da utenti ancora scossi dalla foto del piccolo Aylan, il piccolo di Kobane morto in mare con madre e fratello mentre cercava di scappare dalla guerra.  
"Dobbiamo affrontare cambiamenti epocali - proseguono gli organizzatori - Noi stiamo dalla parte di chi mette il proprio corpo in pericolo per sopravvivere. I migranti abbandonano tutto, si mettono con i propri figli in una barca, in un tir o in un tunnel sperando di arrivare integri dall'altra parte. Sono questi gli uomini scalzi del ventunesimo secolo. Le loro ragioni possono essere coperte da decine di infamie, paure e minacce, ma è incivile e disumano non ascoltarli".
Secondo i partecipanti l'iniziativa sarà "il principio di un percorso di cambiamento. Non è accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche. E non si può fermare chi scappa: dare asilo significa ripudiare la guerra, costruire la pace, lottare per i diritti e la libertà".
Gli obiettivi della manifestazione si riassumono in quattro punti: certezza di corridoi umanitari; accoglienza degna e rispettosa; chiusura e smantellamento dei luoghi di concentrazione e detenzione; realizzazione di un sistema unico di asilo in Europa.
La marcia partenopea delle donne e degli uomini scalzi è organizzata da Amnesty Napoli e sono giunte adesioni anche da cooperative del terzo settore come Dedalus. I primi firmatari dell'evento nazionale sono invece Lucia Annunziata, don Vinicio Albanesi, Gianfranco Bettin, Marco Bellocchio, don Albino Bizzotto, Elio Germano, Gad Lerner, Giulio Marcon, Valerio Mastrandrea, Grazia Naletto, Giusi Nicolini, Marco Paolini, Costanza Quatriglio , Norma Rangeri, Roberto Saviano, Andrea Segre, Toni Servillo, Sergio Staino, Jasmine Trinca, Daniele Vicari, don Armando Zappolini.

di ANNA LAURA DE ROSA
napoli.repubblica.it

04 settembre 2015

C'ERA UNA VOLTA L'ALTRA SPIAGGIA DI BODRUM

C'era una volta un mare che era profondo come una pozzanghera di acqua piovana, che bastava zampettarci dentro per percorrerlo tutto. E potevi andarci anche a piedi scalzi e con i pantaloni arrotolati perché l'acqua era tiepida e pulita.

Questo mare, che era azzurro azzurro, si increspava di merletti quando incontrava una riva e sembrava il bordo di un lenzuolo di quelli antichi che si trovano nei bauli del corredo delle nonne. Era molto calmo e aveva onde piccole, buone per essere cavalcate da bambini in groppa a cavallucci con le creste dorate.

A forza di saltellare tra un'onda e l'altra bimbi e cavallucci arrivavano a sera molto stanchi e, proprio quando il sole andava a dormire, anche loro si stendevano sulla sabbia e si tiravano su, fin sotto al mento, quella coperta di spuma.
Cartoon of Syrian Kurd Yaser Amed on Aylan al-Kurdi's death
Non c'era da avere paura di quella coperta perché era calda e morbida e faceva anche il solletico ai piedini: a dire la verità erano i cavallucci che di notte si svegliavano e si divertivano a scodinzolare vicino ai piedi dei bambini.

Su quella spiaggia non c'erano gusci di noce chiamati barche, non c'erano adulti con le facce cattive e non c'erano facce sporche di lacrime e macchiate di tristezza. Era un posto bellissimo in cui potevi trovare da mangiare frutta e biscotti, panini bianchi e carne bianca e potevi bere tutta l'acqua che volevi. Potevi giocare a nascondino dietro le dune di sabbia o dietro gli scogli di roccia, potevi buttarti steso a pancia in su a farti scaldare la pelle da sole senza paura di bruciarti. Potevi chiamare la mamma sicuro di vederla arrivare e potevi farti coccolare da lei per tutto il tempo che ti serviva.

Questa spiaggia aveva un nome che assomigliava al rumore dei tuoni che anticipano i temporali estivi: si chiamava Bodrum ed era la spiaggia dei bambini.

Dei bambini che dormono. Perché i bambini non muoiono, nemmeno se incontrano il mare. I bambini chiudono gli occhi per riposarli, perché hanno giocato tanto sulla sabbia di Bodrum e arrivano sfiniti al tramonto. S'addormentano col sole e con lui sorgono il giorno dopo. Magari su un'altra spiaggia, magari su una spiaggia che a noi grandi è sconosciuta perché per arrivarci devi essere un bambino, nutrire la sua infinita fiducia nella bontà dei grandi, nella loro giustizia, nella loro equità.

Noi grandi conosciamo solo quella spiaggia che ha il nome che assomiglia a una scarica di mitra, che si trova alla fine di un mare nero e profondo. Un mare che è un cimitero, che ha le acque gelide e salate, che non ha onde ricamate come le coperte della nonna. La spiaggia che conosciamo noi è la bara di Aylan e di suo fratello e di chissà quanti altri bambini di cui ignoriamo il nome.

Ma pur sempre di bambini si tratta, e ad ogni bambino che sta per addormentarsi, la mamma racconta una favola. Che allontani i mostri, questa favola, i mostri che assomigliano a carri armati, aerei e granate.

È la favola dell'altra spiaggia chiamata Bodrum, quella dove Aylan e suo fratello si sono fatti una coperta della spuma del mare e stanno ridendo nel sonno mentre i cavallucci gli solleticano i piedi. 
Domattina si sveglieranno e sceglieranno, ognuno, il cavalluccio che li porterà a spasso tra le onde: potranno chiedergli di portarli in Canada o in Sicilia, in Australia o al Polo Nord. Arriveranno dovunque desiderino in groppa al loro cavalluccio con la cresta dorata. Il tempo di un battito di ciglia e saranno sulla Tour Eiffel o sulla Muraglia Cinese, mangeranno patatine fritte e gelati alla crema e berranno succhi di mango e maracuja.

La sera torneranno alla loro Bodrum con gli occhi pieni di meraviglia e di sonno e si addormenteranno beati, al sicuro sulla spiaggia, con la luna che li sorveglia e qualche onda che li ninna.

Questa è la favola dell'altra Bodrum, la spiaggia dei bambini e dei cavallucci marini. Questa favola è per Aylan e per tutti gli Aylan di cui non saprò mai il nome e la storia. Perché il loro sonno sia accompagnato da una favola buona.

Deborah Dirani
www.huffingtonpost.it

03 settembre 2015

COLPEVOLE DI ESSERE VIVA

La foto del bambino morto sulla spiaggia di Bodrum sta commuovendo il mondo. Ma i profughi sopravvissuti continuiamo a non volerli.

Guardatela bene, questa bambina. Ha una giacca pesante, il giubbotto di salvataggio, gli occhi spenti, spaventati. È a Bodrum, in Turchia, e sta per imbarcarsi per Kos. È una profuga, una delle ventimila anime che nell'ultimo mese hanno fatto il medesimo tragitto. Una delle centinaia di migliaia in fuga dalla Siria, dall'Iraq, dall'Afghanistan, da quelle terrificanti zone di guerra in cui le forze del fondamentalismo religioso stanno facendo strame di ogni benché minima parvenza di civilità. Una goccia nel mare di disperazione che sta dirigendo il suo corso verso Occidente. Una, come i tre bambini morti nel medesimo tragitto. Una, come la foto di uno di loro, esanime sulla spiaggia, che i giornali stanno pubblicando, talvolta avvertendo che “le immagini potrebbero urtare la sensibilità”, talvolta no. E che, complice la diffusione virale attraverso i social network, sta facendo il giro del mondo.

Quella fotografia la state vedendo ovunque, non c'è bisogno che ve la mostriamo. Noi vogliamo che guardiate questa. È stata scattata il 20 agosto scorso. Per quel che possiamo sapere, questa bambina è viva e, probabilmente, è tra noi, in Europa, in un campo profughi, o su un treno, o di fronte a un muro di filo spinato. È fortunata, in fondo, nonostante abbia visto nella sua piccola vita cose che noi europei del 2015, probabilmente, nemmeno riusciamo a immaginare. Perchè non è morta nella traversata, come il suo sfortunato coetaneo dalla maglietta rossa. Perché non è diventata una delle schiave dei miliziani dello Stato Islamico che, stando ai loro racconti, sono torturate e violentate ogni giorno. Perché ha ancora una speranza da giocarsi. 
I vivi non sono fotografie, né simboli. Si muovono, parlano, costano. I vivi sono un problema.
Ed è quella speranza che agli occhi di molti di noi la rende colpevole. Perché piangere i bambini morti è molto più facile che occuparsi dei bambini vivi. I vivi non sono fotografie, né simboli. Si muovono, parlano, costano. I vivi sono un problema. E possiamo pure raccontarci, per qualche ora, che siamo tutti più buoni, che una soluzione va trovata. E possiamo pure dimenticarci, per qualche ora, dei Sindaci che non li vogliono, dei Presidenti di Regione che non li vogliono, dei cittadini che dalle periferie romane alla marca trevigiana organizzano presidi, barricate e roghi per impedirne l'arrivo, di quelli che in provincia di Cuneo - è notizia di questi giorni, ma la crociata va avanti da settimane - sono disposti a comprarsi un albergo per evitare che arrivino trenta - non trecento, non tremila - anime in fuga dall'apocalisse.

Pensare a questa bambina viva e ai suoi compagni di viaggio, di tutte le età, cancellare loro di dosso la colpa della sopravvivenza, è l'unico modo che abbiamo per onorare quei tre bambini morti. Che nessuna risposta, neanche la più corale, politica, europea avrà senso senza il sussulto morale di comunità in piena sindrome da invasione, rinfocolate da imprenditori della paura capaci solo di strumentalizzare una tragedia umana per capitalizzare consenso politico. Guardatele, quindi, le foto dei bimbi morti. Condividetele, se volete. Usatele, già che ci siete, per ricordarvi che dal 1990 al 2013, di bambini e adolescenti migranti, nel mediterraneo, ne sono morti più di quattrocento. Ma pensate ai vivi. È l'unica cosa che conta.

Francesco Cancellato
www.linkiesta.it

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Aggiungo : Del piccolo Aylan (così si chiamava) e del fratello Galip, voglio invece mettere la foto di com'erano e ricordarli così.

                                                                                                    Mari