IL SILENZIO SULLA GUERRA FA MALE QUANTO LE BOMBE
Un giorno per dire no alla guerra e chiedere che, nei tanti luoghi del mondo in cui si combatte, cessi il rumore delle armi: questo è il senso della Giornata internazionale della Pace, istituita dalle Nazioni Unite nel 1981 e che, dal 2001, ricorre ogni anno il 21 settembre. Un momento per riflettere, tutti, sull'assurdità dei conflitti che insanguinano il Pianeta.
Il tema scelto per le celebrazioni di quest'anno, Partnerships for Peace – Dignity for all, vuole sottolineare l'importanza della collaborazione, non solo tra le Nazioni, ma anche tra tutti i segmenti della società, affinché lavorino insieme per costruire una pace durevole, a beneficio di ogni essere umano.
Nel messaggio diffuso per l'occasione, il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha lanciato un appello a tutti i Paesi e a tutti i gruppi coinvolti in conflitti, chiedendo che, almeno per oggi, si osservino ventiquattrore di tregua.
In questo giorno così particolare, ha senso ricordare che, oltre ai conflitti più presenti sui media e, di conseguenza, più noti, come Siria, Iraq, Afghanistan e Ucraina, ce ne sono decine di altri di cui non si parla o si parla pochissimo: guerre lontane e "dimenticate", nonostante il numero di vittime e di profughi che provocano e a dispetto delle atrocità commesse dalle parti in causa, e che vanno avanti indisturbate da mesi o, addirittura, da anni, senza che l'opinione pubblica mondiale faccia sentire la propria voce e nel silenzio assordante e spesso colpevole di Governi e organizzazioni internazionali.
Pensiamoci oggi: pensiamo, ad esempio, ai tanti piccoli Aylan che non vediamo e che per questo non ci fanno commuovere, e ricordiamoci, almeno per un momento, di Paesi quali il Sud Sudan e il Darfur, della Nigeria, della Repubblica Democratica del Congo, della Somalia, dello Yemen, della Libia, della Repubblica Centroafricana e del Pakistan. Fermiamoci un attimo a riflettere sui conflitti di proporzioni inferiori, ma da non sottovalutare, che serpeggiano in Paesi come l'India, la Tailandia, la Turchia, la Birmania, il Mali e l'Etiopia. E l'elenco non si esaurisce certo qui.
Ciascuna di queste guerre, piccola o grande che sia, colpisce uomini, donne e bambini, spogliandoli dei più elementari diritti e privandoli di ogni prospettiva futura. Siamo onesti con noi stessi e pensiamo che, se avessimo avuto meno fortuna, se per puro caso fossimo nati altrove, sarebbe potuto accadere anche a noi.
Sono tante le iniziative ufficiali lanciate in questo giorno da associazioni e organismi internazionali per sensibilizzare le coscienze e soccorrere le persone coinvolte nei conflitti. Basi pensare alla campagna Stop Hunger - Start Peace promossa dal World Food Programme per sostenere sfollati e rifugiati a causa delle guerre: persone che hanno perso tutto e che, ogni giorno, devono lottare per dare da mangiare ai propri figli.
"Oggi è il momento in cui le persone si uniscono attraverso regioni e culture per un mondo libero dalla fame e pacificato." - spiega Ertharin Cousin, Direttrice esecutiva del WFP - "L'assistenza alimentare, in periodi di conflitto, ha un ruolo fondamentale nel salvare vite umane e alleviare le sofferenze. Il cibo riunisce e tiene insieme le famiglie. La sicurezza alimentare dà una speranza alle famiglie in tempi disperati eliminando, nel contempo, il loro bisogno di ricorrere a misure estreme e pericolose quale unico mezzo di sopravvivenza."
Nel mondo ci sono milioni di persone che vedono le proprie vite stravolte dai conflitti: diamo un senso a questa ricorrenza, affinché non sia solo l'occasione per dare fiato ad un po' di retorica, e chiediamoci che cosa possiamo fare, in concreto, nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, per essere solidali con chi sta soffrendo e per far sentire, forte e chiaro, il nostro "No" alla guerra.
Lisa Vagnozzi
www.greenme.it