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30 ottobre 2017

NAMIBIA: VIAGGIO TRA GLI HIMBA, DOVE LE DONNE SI FIDANZANO A 2 ANNI E DECIDONO IL DIVORZIO

Foto M. Balbi
Una donna è seduta in terra in un villaggio appartenente alla tribù Himba, sulle montagne del Damaraland, nella Namibia centro-settentrionale.
Tiene tra le gambe una pietra piatta, dove sbatte a ritmo regolare una tonda pietra rossa. A ogni colpo una nuova briciola di polvere rossa va a aggiungersi al resto della polvere che splende al sole. È la famosa hocca, che le donne himba usano per cospargersi il corpo.

Si chiama Chatuncu, che significa “chi costruisce”. Accanto ha due bimbi che sorridono. Uno di loro accosta la mano alla bocca e manda dei baci. Sono i suoi figli e me lo fa capire mostrando due cavigliere che indicano il numero dei figli.

La polvere “hocca” – foto M.Balbi
Continua a sbattere la pietra, poi prende un piccolo barattolo contenente grasso di mucca, prende la mia mano e mi mostra come la polvere unita al grasso può colorare la pelle.



Tute le donne lo usano?” chiedo, con l’aiuto di Ueera, un giovane ranger che mi fa da interprete. “No, soltanto le donne che hanno avuto la loro prima Luna (il ciclo mestruale, ndr). Da quel giorno possono cospargersi il corpo sino a due volte al giorno”.

Vedo che la hocca penetra in profondità nella pelle. “Non va mai via?”.  “No, anche perché noi non possiamo fare il bagno. Solo gli uomini possono farlo”.

Poi racconta delle attività delle donne nel villaggio, sempre sorridendo. “Andiamo a prendere l’acqua, la legna, mungiamo le mucche perché ci diano il latte, curiamo le nostre stanze, cuciniamo, costruiamo gli oggetti, ci occupiamo dei bambini. Io ne ho due, ma le donne in genere ne hanno molti, nove o dieci”. Indica una donna che in una pentola mescola latte e mais.
“E gli uomini di cosa si occupano?”
Capanna nel villaggio Himba – foto M. Balbi
“Gli uomini costruiscono i recinti dei villaggi, la struttura delle case e guardano le mucche”.

Mentre parla un uomo passa poco più avanti, dice alcune parole a una donna seduta per terra e procede oltre. “Quello è mio marito”, dice.

“Quando vi siete sposati?”
“La sua famiglia mi ha scelto quando avevo due anni”.

“Due anni?” domando, non essendo sicura di aver capito bene. “Sì, uno o due anni. Noi non contiamo gli anni. Non so con precisione in che anno sono nata. Quando ha deciso di sposarsi, io ero la sua cugina più giovane”.
“Quindi ti ha scelto perché eri sua cugina?” chiedo. “Sì, ci sposiamo tra cugini in modo che il bestiame rimanga in famiglia. Lui ha dato una mucca a mio padre, una a mia madre e una l’abbiamo usata per il matrimonio. Io sono rimasta a vivere con mia madre sino a che non ho avuto la mia prima Luna, poi ci siamo sposati nel mio villaggio”.
“È stata una bella cerimonia?”
“Sì, i matrimoni mi piacciono molto. Tutti sono felici, si beve, si danza, per diversi Soli. Sono le cerimonie più belle”.

“Quali sono le altre cerimonie?”
“Beh, ci sono i funerali, che sono belli, anche lì ci sono danzatori appositi, durano due Soli, prima ci riuniamo attorno al fuoco sacro” al centro del villaggio.
“Come mai vi riunite lì?”
“Per dire agli Antenati che stiamo portando un nuovo Spirito. Poi arrivano persone anche dagli altri villaggi. Chiunque conoscesse il defunto può unirsi”.
“Vi riunite spesso attorno al fuoco sacro?”
“Certo, gli Spiriti devono essere al corrente di ogni cosa che succede nel villaggio”.

“Quali altri eventi celebrate?”
Foto M. Balbi


“Mmm... quando un uomo uccide un leopardo o una iena facciamo una cerimonia. Anche quando togliamo i denti davanti ai bambini”. “Come mai lo fate?” “Per distinguerli dalle altre tribù”.
Passa di nuovo il marito, sorride e saluta calorosamente. Lei sembra molto orgogliosa e fiera di lui.

“Potete anche divorziare?”
“Certo! Se non sono felice posso andarmene”
“E chi sancisce il divorzio?”
Non capisce la domanda. “Chi decide sul divorzio?” ripeto.
Mi guarda con gli occhi spalancati: “Io, se sono infelice lo decido io”.

Michela Balbi
www.b-hop.it

27 ottobre 2017

RACCONTO LA TRATTA, PERCHE' NEI VILLAGGI DELLA NIGERIA NESSUNO SA LA VERITA'

Come ho fatto ad essere così stupida? Come ho fatto a fidarmi e a non accorgermene? Inizia con queste domande la testimonianza di Blessing Okoedion, una ragazza di trent’anni, nigeriana. Oggi è una mediatrice culturale, nel suo passato ci sono la strada e la prostituzione. Blessing è una ex vittima della tratta. È arrivata in Italia nel 2013, ingannata da una donna che lei ora definisce un «lupo travestito da agnello». Ha una laurea in informatica Blessing, ma non è bastato a riconoscere l’inganno, tanto era studiato il “travestimento”: «appena ho capito quale lavoro avrei dovuto fare, qui in Italia, non facevo altro che ripetermi “come ho fatto”, “come può essermi successa questa cosa”». La catena di Blessing era un debito da 65mila euro, così le disse quella donna che l’aveva ingannata. Lei ha avuto la forza di romperla, denunciando e ricominciando una nuova vita. E raccontando la sua storia in un libro appena pubblicato, Il coraggio della libertà (edizioni Paoline) scritto insieme alla giornalista Anna Pozzi.

Nel mondo sono almeno 21 milioni le persone vittime di tratta, per il 70% donne e bambini. “Tratta” significa persone trafficate e sfruttate, prevalentemente per sesso e lavoro servile: ogni due minuti, nel mondo, c’è un bambino che viene sfruttato sessualmente. È un giro d’affari che vale 32 miliardi di dollari l’anno e che in Europa vale più del traffico di droga o d’armi. Se ne è parlato nel convegno “Migrazioni e traffico di persone”, a Milano. È un fenomeno che tocca anche l’Italia, in ogni sua zona. Solo in Italia sono 50-70mila le donne vittime della tratta, circa la metà giovani nigeriane: ogni mese qui in Italia da loro si acquistano 9-10 milioni di prestazioni sessuali. Lo sfruttamento del lavoro riguarda invece 150mila persone: lavoro schiavo, non semplicemente lavoro nero, con sottrazione di documenti, salario di poche decine di euro per 12 ore di lavoro, condizioni abitative disumane, fornitura di beni di prima necessità obbligatoria e a caro presso. Basta un dato per capire quanto la tratta ci riguardi: le donne nigeriane sbarcate in Italia nel 2016 sono state 11mila: erano la metà (5.600) l’anno prima. Molte di loro, come Blessing, si chiedono “come è possibile”.

Come è possibile? «Tante persone in Nigeria hanno sentito parlare della tratta. Ma nelle città. Nessuno va nei villaggi a raccontare. I trafficanti sanno che non possono più prendere ragazze in città, ma nei villaggi questi appaiono come gli unici salvatori. I nostri villaggi sono abbandonati dalle autorità, i trafficanti arrivano, promettono un lavoro, magari come baby sitter. Sono una mano tesa per persone abbandonate a loro stesse, l’unica mano tesa. Con quaranta euro si
@myakim
prendono una ragazza», racconta Blessing. La sua voce si leva forte, potente: «Ma è forse un peccato vivere in un villaggio? Non parlare inglese? Perché lì nessuno racconta la verità? Perché nessuno spiega a queste ragazze e alle loro famiglie cosa sia la tratta?».



Blessing
Il problema che Blessing denuncia - tecnicamente lo chiamano "gap informativo" - è un nodo cruciale delle migrazioni odierne e dei tentativi di arginare i numeri del traffico di esseri umani, tant'è che l'OIM-Organizzazione Mondiale per le Migrazioni ha avviato una campagna informativa sui social chiedendo a migranti arrivati in Italia di registrare una brevissima testimonianza in cui raccontino la verità su ciò che hanno passato in Libia, perché «chi parte non sa cosa lo aspetta», afferma Flavio Di Giacomo, portavoce OIM. Il progetto si chiama Aware Migrants. Non sanno, dice Di Giacomo senza mezzi termini, che «la Libia è inferno. I migranti vengono picchiati, rinchiusi nei campi, gli viene chiesto di pagare un riscatto, a volte lavorano ma non vengono pagati. Molti vorrebbero tornare indietro, ma  i trafficanti non vogliono che chi vede le reali condizioni della migrazione e soprattutto della travversata torni indietro per raccontarlo. Chi parte non sa, parla del Mediterraneo come di un fiume, the river, c'è una sorta di marketing incentrato sulla facilità della trasversata. Quando arrivano sulla spiaggia e vedono il mare e i gommoni con cui dovrebbero attraversarlo hanno paura e vorrebbero tornare indietro: ma non possono, una volta che hai pagato devi partire. Tanti hanno sul corpo i segni delle violenze, tagli su braccia e gambe, tanti hano raccontato di persone uccise perché non volevano più partire». Ecco perché la distinzione fra migranti economici e rifugiati è stata superata dalla storia: queste persone sono partite per motivi economici, tecnicamente non sono rifugiati e non hanno diritto alla protezione internazionale, però nel loro percorso nei fatti hanno subito una violazione dei loro diritti umani. E sono costretti a imbarcarsi. Questa è la realtà. «Non abbiamo il diritto di dire "non partite"», spiega Di Giacomo, tornando alla campagna sui social, «ma abbiamo il dovere di informare, perché tanti oggi ci dicono "non immaginavo"».
Una mano tesa Blessing l’ha trovata da suor Rita Giaretta, a Casa Rut, a Caserta. «Non volevo stare lì da loro. Altre donne, come quella che mi aveva tradita. Perché questa donna mi tende la mano? Cosa vuole da me? Io non avevo mai pensato prima che una donna e una donna cristiana potesse vendere un’altra donna: avevo paura. Non è facile avere fiducia quando sei stata tradita», racconta. Poi pian piano ha capito che Casa Rut «era una mano tesa vera, che non dà false speranze. Nelle parole delle suore di Casa Rut ho visto un messaggio, “siete capaci di cose belle, non siete condannate alla tristezza della morte, dentro di voi c’è la possibilità di una rinascita». Oggi è questo il messaggio che Blessing grida forte: «mi sto facendo voce per dire a tutte le ragazze trafficate che c’è una possibilità di rinascita. E di gioia».

Sara De Carli, 13 febbraio 2017
www.vita.it

11 ottobre 2017

"IO GETTO IL PANE"...... "E IO LO CERCO" - BAMBINI, DUE STORIE A CONFRONTO

Vi proponiamo le storie di Paola e Jakim, recitate dai bambini di una quinta elementare e dedicate a Raoul Follereau, maestro della solidarietà con i lebbrosi e con i poveri del mondo.

Paola: "Ciao, mi chiamo Paola. E tu?"
Jakim: "Io mi chiamo Jakim... piacere di conoscerti, Paola! Quanti anni hai?"
Paola: "Otto anni."
Jakim: "Come me, allora... Mi parli di te?"

Paola: "Io ho una bella casa, ho una cameretta tutta per me. Sono fortunata, sai? Il dottore abita nel mio palazzo e se ho la febbre è tutto per me. Faccio la terza elementare, vado in palestra a fare minibasket, ho molti giochi nella mia camera. La mamma dice che ne ho troppi e a volte me ne butta via un po'. Non sempre mi va di mangiare... il mio papà mi sgrida perché deve buttare via il pane che non mangio. E il tuo papà che dice se non mangi?"

Jakim: "Io non ho papà. Io veramente ho fame... e mangio di tutto... quando ce n'è. La mamma è spesso triste perché non mangio... perché non mi può portare da mangiare. Mentre tu non vuoi mangiare, io non posso mangiare. Ogni mattina, quando mi sveglio, non so se mangerò. Da poco ho cominciato a lavorare, ma con la mia paga dobbiamo pagare i debiti. Mia mamma ha potuto tirare avanti la famiglia grazie ad un prestito e non finiamo mai di pagarlo."


Paola: "Certe volte mi arrabbio con la mamma perché non mi compra le merendine che piacciono a me. Con papà ho fatto quest'estate i capricci: lui voleva andare in montagna mentre io volevo andare al mare in vacanza. A me non piace andare in vacanza in montagna! Che noia! Dimmi Jakim... a scuola come va?"

Jakim: "Da noi è tutto distrutto, la scuola è stata colpita con il cannone, non ci siamo potuti più andare. Era sempre più bello andare a scuola ... ora invece lavoro quattordici ore al giorno in una fabbrica di mattoni... e sono fortunato. I miei amici più grandi devono fare i soldati, mio cugino ha messo un piede su una mina e... poverino, l'ho visto mentre gridava e pregava... Mi hanno detto che era una mina italiana: ma perché avete costruito quelle mine? Ho visto tanti compagni morire. Anche il maestro è partito per la guerra. Chi ci insegnerà a
leggere e a scrivere ora? Sai che usa una pistola costruita proprio nella tua nazione?"

Paola: "Che brutta vita fate... perché sei nato proprio lì?"

Jakim: "Mica l'ho scelto io... è il caso, è come la lotteria: io sono nato in Africa, tu sei nata in Europa. Tu con i tuoi amici stai facendo i progetti per quando sarai grande, io invece... cosa posso sperare dal futuro?"

Paola e Jakim vivono destini molto diversi.
Paola non è stata particolarmente buona per meritare tante cose piacevoli.
Jakim non è stato particolarmente cattivo per meritare tanta sofferenza.
Sono solo nati in paesi diversi.

Per Paola questa è stata una fortuna, per Jakim è stata una sfortuna.

Nel mondo ci sarebbero risorse sufficienti per tutti gli abitanti del pianeta ma sono distribuite in maniera ingiusta e, quindi, i bambini come Paola hanno tante cose, molte più di quelle che servono per vivere, mentre quelli come Jakim non ne hanno a sufficienza neanche per sopravvivere.

Un bambino dell'America del Nord consuma come 422 bambini dell'Etiopia.

Un cane di una nazione ricca dispone di una quantità di cibo mediamente 17 volte superiore rispetto ad un bambino delle nazioni più povere del Terzo Mondo.
Ogni anno i nostri cani e gatti mangiano 4.000 tonnellate di prodotti a base di fiocchi d'avena, pesce, fegato.
Ogni giorno in Italia si sprecano 1.500 tonnellate di pane, pari a 6 miliardi di lire.
Ogni giorno 11.000 bambini muoiono per malnutrizione: un bambino ogni 8 secondi.

L'amore, la solidarietà umana e la ragione ci chiamano alla fratellanza, alla condivisione e alla giustizia. Noi bambini delle quinte classi di questa scuola elementare abbiamo inviato un messaggio di pace ai potenti della terra per chiedere di aiutare i poveri del mondo. Una persona famosa, Follereau, inviò un messaggio di pace molti anni fa ai due potenti della terra più importanti di allora. Leggiamola!


Lettera di Raoul Follereau
Al Presidente degli Stati Uniti
Al Presidente dell'Unione Sovietica

"Signori Presidenti,

ciò che vi domando è così poco... quasi niente... Datemi un aereo, ciascuno di Voi un aereo, uno dei vostri aerei da bombardamento. Perché ho appreso che ciascuno di questi velivoli costa all'incirca cinque miliardi di franchi... E ho calcolato che, col prezzo di questi due aerei di morte, si potrebbero risanare tutti i lebbrosi del mondo. Un aereo in meno in ogni aeroporto, ciò non modificherà l'equilibrio delle vostre forze... Voi potreste dormire tranquilli. Ma io, io dormirei più tranquillo. E dei milioni di povera gente dormirebbe finalmente... Non credete Voi che questa sia una bella occasione "per fare qualcosa"? Dieci milioni di povera gente non è tutta la miseria del mondo. Ma è già una grande miseria. Due bombardieri. E si avrebbero tutte le medicine per guarirli! Due aerei dai quali tutto ciò che voi possiate desiderare è che arrugginiscano nei loro capannoni senza mai uscire..."

Raoul Follereau
1° settembre 1954

 * * * * * * * *

Di fronte all'importanza delle questioni che abbiamo di fronte a volte ci sentiamo quasi inutili o insignificanti come individui singoli; eppure la vita di Raoul Follereau testimonia che si può anche partire da soli ed arrivare in tanti. E appare più che mai stringente la frase di George Bernard Shaw:

Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio ma l'indifferenza; questa è l'essenza della disumanità.

web.peacelink.it

03 ottobre 2017

I PROFUMI DELL'AFRICA - Fiaba di Lau Ferrari

@silverless
Mancavano pochi giorni alla fine della scuola. L’aria calda dell’estate cominciava a farsi sentire e a Nick l’idea di trascorrere parte delle vacanze estive con suo padre in Africa lo convinceva sempre di più.
Nick aveva undici anni e quell’anno aveva espresso il desiderio di raggiungere quel luogo così lontano dato che il padre una volta ogni due anni praticava il safari.

Il volo durò parecchie ore dalla città di Liverpool da dove provenivano fino a raggiungere l’aeroporto di Nairobi.
Ad accoglierli ci furono alcuni amici di suo padre tra cui Artur, e suo figlio Fred, di circa l’età di Nick.

@silverless
Le due jeep con i fanaloni gialli sopra il tettuccio erano pronte per iniziare l’avventura.






La sera stessa mangiarono nel giardino del villaggio dove alloggiavano, mettendo per terra attorno al tavolo tante piccole candele accese al profumo di limone, che servivano ad allontanare i piccoli insetti fastidiosi tipici di quei luoghi così caldi.


Il profumo di pesce grigliato che i due genitori avevano cucinato e la leggera brezza della sera, faceva tintinnare il ceppo di conchiglie poste sopra la porta d’entrata della capanna, rendendo, così, ancora più suggestiva l’atmosfera africana.
“Prenderemo tutti i giorni la jeep per inoltrarci nella savana, vedrai Nick che spettacolo, abbiamo questo tragitto da seguire” lo informò Arthur, l’amico del padre estraendo dalla tasca dei suoi pantaloni una mappa.

Tutti furono entusiasti nel vedere quei percorsi evidenziati e numerati.
Il giorno seguente, infatti, attraversarono la savana, tra alture e strade sconnesse, raggiungendo il villaggio della tribù di Mugua.
Adocchiarono lungo il tragitto degli elefanti liberi che all’ombra di alcuni alberi mangiavano delle foglie di baobab e poco più in là, anche gruppi di zebre che si spostavano in branco nell’udire il motore dei loro furgoni.

Una volta arrivati al villaggio, furono accolti festosamente dai membri della tribù che erano adornati da voluminose collane indossate ai loro lunghi colli. Numerosi altri gioielli tra cui braccialetti ed orecchini di svariate misure, abbellivano le donne di questo popolo.
Parlavano in una lingua incomprensibile per i due ragazzi ma non per i loro genitori che tramite gesti e comunicando a tratti la loro lingua davano il benvenuto.

La popolazione dei Mugua sapevano del nostro arrivo, infatti il papà di Fred portava aiuti di vario genere, soprattutto alimentari, a questo povero villaggio.
Come alimentazione principale, infatti, avevano la coltivazione dei cereali, per questo motivo utilizzano il grano nei modi più svariati, usandolo perfino per alcune bevande.

Alcuni ragazzi della tribù fecero capire con dei segni, a Nick e Fred di seguirli.
“Andiamo con loro” disse entusiasto Fred rivolto all’amico.
“I nostri genitori staranno in pensiero se non gli comunichiamo dove stiamo andando ” gli rispose Nick.
” Non abbiamo tempo, vedi che ci stanno aspettando”.
Presi dalla frenesia i due ragazzi decisero di seguire il giovane popolo di Mugua inoltrandosi a piedi in piccole strade sterrate lasciando, così, alle loro spalle il villaggio.

Lungo il percorso avevano visto delle leonesse sdraiate sull’erba tranquille senza la minima voglia di alzarsi.
I ragazzi africani fischiarono e poco dopo sbucarono dai vari angoli della steppa alcune tigri.

Intimoriti i due giovani amici si domandarono in quale guaio si fossero cacciati, ma furono sbalorditi quando i ragazzini della tribù salirono sul dorso di questi felini incoraggiando anche Fred e Nick a fare altrettanto.

Era uno spettacolo vedere una decina di ragazzi africani e due europei sopra la rispettiva tigre che aggrappandosi attorno al possente collo, correvano alzando dietro di loro la polvere del terreno.
La luce del tramonto era di un rosso acceso, alcune giraffe indisturbate si abbeveravano ad un tranquillo stagno.

Finalmente Nick poteva vedere con i propri occhi questi colori e respirare quei profumi caldi.
Fino a quel momento li aveva solamente visti attraverso documentari televisivi o in qualche rivista di viaggi.

Arrivarono tutti in un villaggio poco lontano dal loro dove, all’improvviso, uscì da una tenda blu una bambina africana con tante treccine nei capelli, per abbracciare i suoi amici appena arrivati.
“Ciao io sono Kajumba, parlo poco la vostra lingua ma Kwaku mi aveva informata del vostro arrivo” disse la piccola rivolta ai nord europei, che erano contenti perché riuscivano finalmente a comunicare con qualcuno.

“Oggi è il giorno della luce e da tanti secoli crediamo che ogni cinque anni arriverà un buon segno per la nostra terra”.
I due amici ascoltarono curiosi, mentre gli altri bambini africani comunicavano qualcosa a Kajumba che subito dopo ci tradusse.
“Vi hanno condotto qui da me perché vogliono che vi faccia vedere il nostro tesoro in questo giorno speciale”.
Nick e Fred si guardarono cercando di capire qualcosa di più.
Poco dopo i ragazzi ed Kajumba arrivarono in un grande terreno arido dietro al villaggio .
I ragazzi africani cominciarono ad accovacciarsi per scavare con le loro mani la terra secca.
“Ma cosa stanno facendo” domandò Fred rivolto all’amico.
“So quanto te, restiamo a vedere cosa vogliono mostrarci”.
“Guarda !!” rispose Fred subito dopo.

Una spiga di grano appena fuoriuscita dal sbricioloso terreno, emanava una luce dorata, facendo sprigionare dalle sue spighette dei brillantini di colore giallo intenso che ricadevano nel suolo , illuminando a macchia d’olio la terra brulla.

I giovani africani cominciarono a ballare prendendosi per mano e disponendosi in un grande cerchio.
“Qui in Africa non abbiamo abbastanza cibo per nutrire gran parte della popolazione per l’intero anno” iniziò a spiegarci Kajumba.
“Come voi sapete le nostre terre sono aride e non producono molti frutti. Questa é una spiga magica, molto sacra alla nostra tribù”, proseguì la ragazza.

“Raccontaci la storia che vogliamo sapere anche noi”, le chiese Nick incuriosito da questa spiegazione.
“Tanti anni fa, un medico inglese arrivò qui a Mugua per portarci delle medicine che erano indispensabili durante la seconda guerra mondiale. I nostri nonni lo accolsero come membro della tribù per il prezioso aiuto che ci aveva offerto.

Poi, una sera, mentre stavano cenando facendo festa con suoni di tamburi e bonghi, il dottore chiamò mio nonno in disparte e gli donò questa spiga, dicendogli di coltivarla in un luogo protetto dove nessuno l’avrebbe potuta trovare, dato che era magica e possedeva dei grandi poteri”.

“Ma quali poteri ha questa spiga? domandò incuriosito Nick facendo sorridere gli altri ragazzi africani come se avessero capito la sua domanda.
” La tradizione dice che se un bambino di un popolo diverso dal nostro bacia un elemento sacro, in questo giorno speciale, questo porterà prosperità alla nostra terra, producendo frutti di vario genere.
Se questo elemento si tingerà di color oro prima di ricevere il bacio, porterà frutto altrimenti tutto sarà vano.
“Adesso è tutto chiaro” rispose Fred guardando sbalordito il suo amico Nick, che s’ inginocchiò all’altezza della spiga e la baciò.

La festa continuò per tutta la notte anche al villaggio di Mugua e finalmente NIck e Fred poterono riabbracciare i loro rispettivi padri, dopo quella lunga ma particolarissima giornata.

“Siamo felici di rivedervi, siamo stati in pensiero ” disse George, il padre di Nick, sorseggiando una tipica bevanda africana di latte con gustosissimi semi di papaya.

“Il nostro continente é povero di cibo”, cominciò a parlare il capo tribù appoggiato su un lungo bastone data l’età avanzata, davanti al suo popolo.
“In questo giorno speciale, l’elemento sacro, che per tutti noi è rappresentato dalla spiga magica, tingendosi di colore oro ha reso fertili i terreni. Questi riusciranno a nutrirci per alcuni anni fino all’arrivo di un’altra persona speciale che ripeterà questo incantesimo e oggi è successo con voi” continuò riferendosi a Nick che in quel momento mosso dalla commozione gli scese una lacrima sul volto.

“A voi che venite da un ricco continente, vi dico di non sprecare il cibo, dato che ne avete in abbondanza. Ricordatevi sempre che in un paese non troppo lontano da voi , ci sono dei vostri amici che non lo sprecano per non esserne privati in futuro” concluse il discorso il capo tribù applaudito da tutti.

Quella notte Nick e Fred faticarono ad addormentarsi perché ripensarono a tutto quello che era successo.
Nel mentre videro in lontananza, fuori dalla finestrella della loro capanna, una luce intensa provenire da quei aridi suoli.

“Ecco!!” disse Nick ad alta voce.







“É la magia della spiga che sta iniziando a nutrire la terra per questo meraviglioso popolo.”






Il profumo speziato nell’aria e la dolce fresca brezza accarezzava i loro visi prima che si addormentarono in un sereno sonno.

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