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31 ottobre 2015

IL SIGNIFICATO DI HALLOWEEN E 11 COSE DA SAPERE SULLA FESTA

IL SIGNIFICATO DI HALLOWEEN 
All Hallow Eve cioè vigilia di tutti i santi. Halloween è una variante scozzese del nome. È dunque la sera del 31 ottobre che precede il giorno del 1 novembre dedicati a tutti i santi. 

ORIGINE DI HALLOWEEN
Si va nell’Europa precristiana e in particolare nelle tradizioni celtiche. Per queste popolazioni delle isole britanniche il 31 ottobre segnava la fine dell’estate e la festività era Samhain. Il nome viene dal gaelico antico Samhuinn che indica la conclusione della stagione dei raccolti e l'inizo dell'inverno, la stagione più dura. In questa notte le anime dei morti tornavano sulla terra con streghe, demoni e fantasmi. Già nel Medioevo indossavano maschere per allontanare la morte e fare riti propiziatori. 

PAGANI E CRISTIANI
Halloween è una festività pagana, diversa da Ognissanti del 1 novembre che è festività religiosa. C’è chi la considera una festività legata a Satana e il 31 ottobre sarebbe anche l’inizio del nuovo anno per le streghe. 

SVILUPPO
Le tradizioni celtiche e britanniche sono andate negli Stati Uniti e qui hanno trovato il loro sviluppo commerciale e anche legato ai bambini. Il carattere macabro della ricorrenza ha assunto un lato ludico.

ROMANI
Quasi tutte le ricorrenze attuali trovano una radice anche il tradizioni di Roma antica. Halloween è legata per il periodo dell’anno a quella dedicata a Pomona, dea dei frutti e dei semi. Si ricordano anche i Parentalia, le feste dedicate ai defunti, che avevano però luogo a febbraio. 

TRICK OR TREAT
Dolcetto o scherzetto tradotto in italiano. L’origine sarebbe medievale, l’elemosinare di porta in porta fra il giorno dei santi e quello dei defunti, 1 e 2 novembre. Attualmente i bambini, la sera del 31 ottobre, si travestono e vanno di porta in porta a chiedere dolciumi e spiccioli minacciando di fare uno scherzetto se non verranno dati.

ZUCCA
È alimento di stagione. La tradizione dell’intaglio, come fosse una faccia, risale alla prima metà dell’800- Deriva dal personaggio di Jack-o’-lantern. 

JACK-O’-LANTERN
Narra la leggenda che Jack, un fabbro irlandese furbo e ubriacone, incontrò il diavolo al bar. Il diavolo voleva la sua anima, ma Jack lo convinse a trasformarsi in una moneta in cambio di un’ultima bevuta. Passati dieci anni il diavolo si ripresentò  e i due fecero un patto: libertà per il diavolo e niente dannazione eterna per Jack. Alla morte l’uomo non fu accolto né in paradiso né all’inferno. Il diavolo gli lanciò un tizzone ardente che finì in una rapa come lanterna. Da allora jack gira senza pace per trovare un rifugio. Prima della zucca si intagliano le rape come lanterne. Rappresentavano le anime del purgatorio. 

COLORI
Il nero, il viola e l’arancione sono i colori di questa festa. 

CONTEA DI MEATH
A nord di Dublino è il luogo in venne celebrato per la prima volta il Capodanno Celtico. Qui si ripercorre l’antico rito con una fiaccolata. Se volete vedere il vero halloween dovete arrivare nella verde Irlanda.

SOLIDARIETÀ
Fin dagli anni 50 l’Unicef ha dedicato la raccolta fondi in questa giornata ai bambini che hanno bisogno di più delle caramelle. Nel 2015 ci sono i Peanuts come testimonial, insomma Linus andrà a cercare il suo grande cocomero che poi nella versione originale era una zucca.


Chiara Pizzimenti
www.vanityfair.it

24 ottobre 2015

COME AVVENGONO I CAMBIAMENTI - ROSA PARKS (4.2.1913 - 24.10.2005)



Il 24 ottobre 2005 Rosa Parks, conosciuta come la “madre dei diritti civili” ci ha lasciato, con la stessa semplicità e delicatezza che avevano caratterizzato tutta la sua vita di grande e tenace combattente per la giustizia. 50 anni prima, il primo dicembre 1955 Rosa Louise MaCauly sposata Parks, dopo una giornata di lavoro particolamente pesante, era lavorante sarta in un grande magazzino di Montgomery, la capitale dell'Alabama, e dopo una lunga attesa alla fermata dell'autobus e al freddo, salì sull'autobus, ed essendo esausta si mise a sedere in una delle file di mezzo (per i neri era riservata solamente la parte di dietro degli autobus). L'autobus continuò a caricare passeggeri finchè non fu pieno. Il conduttore del mezzo, vedendo un bianco in piedi, pretese che lei si alzasse e gli cedesse il posto. Rosa Parks si rifiutò e venne arrestata. Così cominciò la battaglia non violenta contro l'ingiustizia e la segregazione razziale.
Negli stati del Sud degli USA, come l'Alabama, vigevano le leggi di “Jim Crow” che imponevano una violenta segregazione alla popolazione “di colore”. I negroes, come venivano chiamati con disprezzo gli afroamericani, non potevano accedere ai luoghi frequentati dai bianchi. “White only” era il cartello che appariva dappertutto, fuori dai ristoranti, dalle scuole, sui treni… I negroes avevano il loro bagni pubblici, i loro ospedali, scuole, negozi. 
Eppure nel 1863 il presidente Abramo Lincoln aveva combattuto e vinto la guerra di secessione contro gli stati del Sud dominati dai proprietari delle grandi piantagioni di cotone e tabacco e alleati con la Corona britannica e aveva abolito la schiavitù. Ma lentamente e soprattutto dall'inizio del 1900 il razzismo e il potere delle oligarchie divennero nuovamente dominanti. Gli incapucciati del KKK con le loro croci infuocate controllavano il territorio e picchiavano selvaggiamente e uccidevano chi non “stava al suo posto”. Erano “cristiani” fondamentalisti pronti a tutto, pronti anche al terrorismo, precursori di quel potente fondamentalismo che oggi sta dietro ai neocon di Bush e Cheney.
Dall'incarcerazione di Rosa Parks cominciò un boicottaggio dei mezzi pubblici che andò avanti per 381 giorni paralizzando il sistema di trasporti della città, anche con delle serie ripercussioni economiche per i negozi in mano ai segregazionisti e ai loro simpatizzanti. Nel 1956 la Corte Suprena si sentì obbligata a dichiarare incostituzionale ogni forma di discriminazione razziale. Come giustamente riconobbe Bill Clinton nel 1999 consegnandole una onoreficenza:” Mettendosi a sedere, lei si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell'America”. 
Martin Luther King divenne noto a livello internazionale quando ci fù l'incidente di Rosa Parks.
Ecco come racconta questo momento storico Amelia Boynton Robinson, amica di Rosa ed eroina delle battaglie per i diritti civili che guidò la famosa marcia della “Domenica di Sangue” il 7 marzo 1965 a Selma, Alabama, nel suo libro autobiografico (Un Ponte sul Giordano. La mia lunga marcia con Martin Luther King, Edit. Palomar in italiano):

“Quando Rosa fu arrestata, Martin Luther King ne fu costernato. Andò in camera sua a pregare, e si chiese cosa fare in questa strana città, in cui era venuto per guidare spiritualmente una piccola sezione della popolazione di colore, quella più colta e ben educata. “Che cosa posso fare in una situazione come questa, appena uscito dall'università?” pensò. “L'università in cui ho studiato non mi ha insegnato come affrontare persone violente”. Io sono sicura che disse: “Buon Dio, dipendo dalla tua guida. Mostrami la via.”
Appresi di più di quanto era successo molti anni dopo, nel 1985, quattro mesi prima della morte di Ed .D. Nixon, un veterano delle battaglie dei diritti civili in Alabama. Incontrai Ed Nixon dal medico. Dopo avergli chiesto come stava, la conversazione si spostò sull'incidente di Rosa Parks e il boicottaggio degli autobus da parte dei neri che ne seguì.
'Dio ci indica sempre la strada su cui marciare, se solo siamo capaci di vederla' mi disse. 'Sì, proseguì, altre persone prima di Rosa Parks erano state arrestate per lo stesso motivo, ma non era ancora il momento di agire. Quando Rosa fu portata in galera, mi telefonò. Avevo appena finito di cenare. Andai al mio ufficio e poi in carcere accompagnato dall'Avv. Clifford Durr (un avvocato bianco), la facemmo scarcerare, e poi chiamai tutti i ministri che conoscevo perché si incontrassero e informassero gli altri. Joan Robinson, un attivista per i diritti civili, si mise in azione. Il lunedì del processso, alle 19:00 tenemmo la prima riunione alla chiesa battista di Holt Street. Costituimmo la Montgomery Improvement Association (Mia), l'Associazione per l'avanzamento di Montgomery'.
Avendo sentito che c'erano stati dei dissensi sull'elezione del presidente della Mia, chiesi: 'Visto che Montogomery ha avuto così tanti ministri in periodi difficili, come siete riusciti ad eleggerne uno?'. Ed Nixon disse: 'Nel mezzo della confusione e parlando di chi sarebbe stato il presidente, uno dei laici presenti disse 'propongo Ed Nixon come presidente' Le dico la verità signorina Boynton (continuava a chiamarmi così) sono troppo vecchio e ci sono tanti giovani che possono fare da guida. Declinai l'offerta a favore di questo nuovo predicatore, il Rev. Martin Luther King'.
La sua proposta fu subito approvata all'unaminità. 
Col forte sostegno del Rev. Ralph Abernathy, Ed Nixon, Robert Nesbitt, Johnnie Carr e molti altri, fu fondata l'associazione Mia, un'associazione progressista che da Montgomery si estese a tutti gli Stati Uniti, assumendo il nome di Southern Christian Leadership Conference (Sclc), l'organizzazione di Martin Luther King, di cui divenni vicesegretario in Alabama.”

Il saluto di Amelia Boynton Robinson

“La bellezza di Rosa Parks”
Che ricordo meraviglioso! Il ricordo di una donna, fragile, che due o più generazioni fa, in Montgomery, Alabama, ha svegliato le genti, ovunque in America, dal loro complice torpore. La storia si mosse quando lei, Rosa Parks, si è seduta su quell'autobus e si è rifiutata di alzarsi per far posto a un uomo bianco. Piuttosto che diventare una codarda, lei si rifiutò di abbandonare i suoi diritti di cittadina americana, sapendo che per questo poteva essere picchiata o uccisa (Se fosse stata uccisa, i tribunali sudisti l'avrebbero chiamato “omicidio giustificabile”, perchè si diceva che “i neri non hanno diritti”). Ma lei trasformò la sua paura in fede e la sua fede si rafforzò quando capì che era nel giusto e che sarebbe rimasta fedele ai suoi principi fino alla morte, sperando che altri l'avrebbero seguita nella sua decisione di essere liberi. 
Se la Signora Parks non avesse avuto la sua forte fede, sapendo che sarebbe rimasta sembre fedele ai suoi principi, forse non ci sarebbe stato un boicottaggio degli autobus, un congressista come John Lewis, che ha aiutato a riportare certi valori morali nelle nostre leggi, o un Andrew Young di Atlanta, il primo sindaco nero di una grande città del Sud. Se la Signora Parks fosse stata debole e avesse lasciato il suo posto, forse non ci sarebbe stata una Amelia Boynton Robinson , che venne picchiata e lasciata per morta sul ponte Edmund Pettus a Selma Alabama nella famosa “Domenica di Sangue” del 7 marzo 1965, o non ci sarebbe stato un Bruce Carver Boynton, il cui caso (Boynton vs lo Stato di Virginia) ruppe la segregazione nei trasporti inter-regionali. 
Se Rosa Parks non fosse rimasta seduta fino a quando non venne allontanata a forza e portata in carcere, forse non ci sarebbe stato un Martin Luther King che scosse il mondo intero, accendendo una luce, una scintilla di coscienza, trasformando l'odio in amore e la violenza in non-violenza.
I bianchi segregazionisti la odiavano perché lei aveva disturbato il loro “way of life”, il loro stile di vita. I neri la evitavano perché temevano di perdere il lavoro se stavano con lei. Io lo so, perché anch'io ho perso molti amici che temevano di farsi vedere con me, quando disturbavo il “way of life” dei segregazionisti bianchi. Rosa Parks, questo angelo terreno, ha lasciato un'eredità a tutti, uomini, donne e bambini, in quanto lei, vicina al suo Creatore, ha spinto tutti a resistere alle bufere, a vivere una vita di amore, pulita, affrontando la sofferenza con sacrificio e con la non-violenza. 

www.movisol.org

15 ottobre 2015

15/10/1987 ASSASSINIO DI THOMAS SANKARA


Il 15 otto­bre del 1987 il «pre­si­dente con­ta­dino» del Bur­kina Faso Tho­mas San­kara, insieme a dodici uffi­ciali, venne assas­si­nato nella capi­tale Oua­ga­dou­gou da un com­mando degli uomini del suo amico più stretto, Blaise Cam­paoré, il quale pren­derà la lea­der­ship del Paese afri­cano azze­rando nel corso della sua dit­ta­tura (finita solo qual­che set­ti­mana fa) tutta la «rivo­lu­zione sankariana».
Aveva solo tren­ta­sette anni quando morì San­kara, i geni­tori pove­ris­simi e di fer­vida fede cat­to­lica lo vole­vano prete quel figlio asse­tato di sapere e che ecce­deva negli studi, ma lui scelse la car­riera mili­tare senza essere mai un mili­ta­ri­sta o un guer­ra­fon­daio. Soste­neva che «senza una for­ma­zione e una pre­pa­ra­zione poli­tica un sol­dato è solo un poten­ziale cri­mi­nale». Divenne pre­si­dente nell’agosto del 1983 in seguito ad un colpo di Stato in cui non ci fu spar­gi­mento di sangue.
Tra i mas­simi asser­tori del pana­fri­ca­ni­smo, San­kara sin dall’inizio della sua pre­si­denza andò affer­mando il sogno di un’Africa non più colo­niz­zata, di un Con­ti­nente auto­nomo, gestito dai suoi popoli.
Con lui l’Alto Volta divenne Bur­kina Faso («il paese degli inte­gri»), ma anche la nazione che pas­sava da un asso­luto stato di povertà ad un modello basato sulla dignità e il rifiuto dell’ignoranza. Fu una rivo­lu­zione il san­ka­ri­smo, al cen­tro della sua opera c’era la riforma agra­ria, sotto gli slo­gan, «ope­riamo e con­di­vi­diamo», «pro­du­ciamo quel che con­su­miamo» si con­se­gna­rono le terre a quel 90% di agri­col­tori fino allora bistrat­tato e ridotti alla miseria.
Ma Tho­mas San­kara fu anche il pre­si­dente che volle com­bat­tere con forza cor­ru­zione e abu­si­vi­smo, rico­no­scere piena dignità (e parità) alla figura della donna fino allora sot­to­messa ad una con­di­zione feu­dale, can­cel­lare tutti i pri­vi­legi del ceto diri­gente. Diceva: «Non pos­siamo essere diri­genti ric­chi di un Paese povero». Quando par­lava all’assemblea delle Nazioni Unite i suoi for­biti discorsi erano tra i più ascol­tati, ma pure quelli che face­vano più scan­dalo, spe­cie quando erano dire­zio­nati a con­dan­nare il neo­li­be­ri­smo che affa­mava i popoli e i Paesi più deboli. Fu il «pre­si­dente ribelle», si batté per­ché il suo popolo potesse vivere una vita e non sop­por­tarla come se fosse la più tre­menda delle puni­zioni, intra­prese la lotta per il disarmo mon­diale e per uno sviluppo-altro eco­so­ste­ni­bile, ma non dimen­ticò l’importanza della pro­mo­zione della cul­tura per una nazione che vuole riscattarsi.
Sulla sua scom­parsa (voluta da Stati Uniti e Fran­cia) scrisse il gior­na­li­sta sviz­zero Jean Zigler: «La morte di quest’uomo ecce­zio­nale è una tra­ge­dia per l’intera Africa», men­tre il socio­logo mal­ga­scio Sen­nes Andria­mi­rado affermò: «E’ morto un pre­si­dente non come gli altri. E’ stato, forse, un inci­dente della sto­ria, ma un inci­dente felice».



Mimmo Mastrangelo
ilmanifesto.info

13 ottobre 2015

QUANDO DA BAMBINE TI INSEGNANO CHE ESSERE PICCHIATE SIGNIFICA ESSERE AMATE

"Mia figlia picchiata a scuola. Ma la vera ferita è quel commento dell'infermiere". Quando la violenza di genere si insegna attraverso l'abuso della parola "amore".

Ogni volta che si continua ad associare la parola "amore" a un gesto violento, si uccide una donna. Si uccide la sua dignità. Si uccidono anche gli uomini. Quelli che sanno amare davvero.

Oggi un fatto di cronaca ha scosso gli animi. Una frase detta con noncuranza e terribile spontaneità, ha risuonato dall'accettazione di un ospedale pediatrico di Columbus, in Ohio, fino a qui.

Guardate bene la foto di questa bambina. Ha solo 4 anni ed è stata colpita violentemente da un compagno di scuola. No. Ovviamente non è lui il misogino. A quell'età la violenza (anche se sbagliata) è ancora democratica, non guarda in faccia il genere. Ci si picchia per prepotenza non perché si è maschi e femmine.

Il vero violento in questa storia è reo di aver pronunciato questa frase atroce: "Scommetto che gli piaci". Sono le parole di un infermiere dell'ospedale che ho citato sopra. Si è rivolto così a una bimba di quattro anni che dovrebbe credere che con le carezze si trasmette affetto, e che questo non passa per i lividi.

Una frase che può creare più danni di un pugno, nella testa di una bambina, perché a quell'età si è spugne. Si assorbe tutto, si imparano i ruoli sociali. Per fortuna però questa piccola creatura ha una madre consapevole, che pretende che sua figlia, come tutte le bambine che un giorno diverranno donne, non vesta mai il ruolo di vittima. Merrith Smith, ha così deciso di scrivere su Facebook una lettera aperta a quell'uomo, e ha ricevuto migliaia di condivisioni. "L'idea che passi il messaggio che fare del male a qualcuno significhi volergli bene è inaccettabile. In quel momento, ferite e in un posto sconosciuto, avevamo bisogno di parole di aiuto e non di quel tipo di conforto. Forse lei ha pensato di alleggerire la situazione ma non lo ha fatto. E' l'ora di assumerci la responsabilità per quello che diciamo ai nostri bambini. Non si può dire a mia figlia di 4 anni che chi l'ha ferita le vuole bene".

Non si può dire perché la nuova sfida che attende noi donne "emancipate", in confronto alle nostre nonne: è quella di comprendere che chi ci fa del male, con pugni o parole, non ci ama, non ci vuole bene, ma ci odia, odia la nostra libertà, la nostra volontà di esistere e di esistere per noi stesse.

Claudia Sarritzu
www.globalist.it

08 ottobre 2015

LASCIA CHE TI RACCONTI. Storie per imparare a vivere (Jorge Bucay)

Questa è da leggere assolutamente :

IL VERO VALORE DELL'ANELLO

“Sono venuto qui, maestro, perché mi sento così inutile che non ho voglia di fare nulla. Mi dicono che sono un inetto, che non faccio bene niente, che sono maldestro e un po’ tonto. Come posso migliorare? Che cosa posso fare perché mi apprezzino di più?”.

Il maestro gli rispose senza guardarlo: “Mi dispiace, ragazzo. Non ti posso aiutare perché prima ho un problema da risolvere. Dopo, magari…”. E dopo una pausa aggiunse: “Ma se tu mi aiutassi, magari potrei risolvere il mio problema più in fretta e dopo aiutare te”.
“Con… piacere, maestro” disse il giovane esitante, sentendosi di nuovo sminuito visto che la soluzione del suo problema era stata rimandata per l’ennesima volta.
“Bene” continuò il maestro. Si tolse un anello che portava al mignolo della mano sinistra e, porgendolo al ragazzo, aggiunse: “Prendi il cavallo che c’è là fuori e va’ al mercato. Ho bisogno di vendere questo anello perché devo pagare un debito. Vorrei ricavarne una bella sommetta, per cui non accettare meno di una moneta d’oro. Va’ e ritorna con la moneta d’oro il più presto possibile.

Il giovane prese l’anello e partì. Appena fu giunto al mercato iniziò a offrire l’anello ai mercanti, che lo guardavano con un certo interesse finché il giovane diceva il prezzo.
Quando il giovane menzionava la moneta d’oro, alcuni si mettevano a ridere, altri giravano la faccia dall’altra parte e soltanto un vecchio gentile si prese la briga di spiegargli che una moneta d’oro era troppo preziosa in cambio di un anello. Pur di aiutarlo, qualcuno gli offrì una moneta d’argento e un recipiente di rame, ma il giovane aveva istruzioni di non accettare meno di una moneta d’oro e rifiutò l’offerta.
Dopo avere offerto il gioiello a tutte le persone che incrociava al mercato – e saranno state più di cento - rimontò a cavallo demoralizzato per il fallimento e intraprese la via del ritorno.

Quanto avrebbe desiderato avere una moneta d’oro per regalarla al maestro e liberarlo dalle sue preoccupazioni! Così finalmente avrebbe ottenuto il suo consiglio e l’aiuto.

Entrò nella sua stanza.
“Maestro” disse “mi dispiace. Non è possibile ricavare quello che chiedi. Magari sarei riuscito a ottenere due o tre monete d’argento, ma credo di non poter ingannare nessuno riguardo il vero valore dell’anello.”

“Quello che hai detto è molto importante, giovane amico” rispose il maestro sorridendo. “Prima dobbiamo conoscere il vero valore dell’anello. Rimonta a cavallo e vai dal gioielliere. Chi lo può sapere meglio di lui? Digli che vorresti vendere l’anello e chiedigli quanto ti darebbe. Manon importa quello che ti offre: non glielo vendere. E ritorna qui con il mio anello.”

Il giovane riprese di nuovo a cavalcare.
Il gioielliere esaminò l’anello alla luce della lanterna, lo guardò con la lente, lo soppesò e disse al ragazzo:
“Dì al maestro, ragazzo, che se vuole vendere oggi stesso il suo anello, non posso dargli più di cinquantotto monete d’oro”.
“Cinquantotto monete?” esclamò il giovane.
“Sì” rispose il gioielliere. “Lo so che avendo più tempo a disposizione potremmo ricavare circa settanta monete d’oro, ma se ha urgenza di vendere…”

Il giovane si precipitò dal maestro tutto emozionato a raccontargli l’accaduto.

“Siediti” disse il maestro dopo averlo ascoltato. “Tu sei come questo anello: un gioiello unico e prezioso. E come tale puoi essere valutato soltanto da un vero esperto. Perché pretendi che chiunque sia in grado di scoprire il tuo vero valore?”

E così dicendo si infilò di nuovo l’anello al mignolo della mano sinistra.


07 ottobre 2015

ALLARME BABY-LAVORATRICI TRA I PROFUGHI SIRIANI

Giornata delle bambine. 
Molte mendicanti e lavoratrici minorenni tra i profughi siriani in Giordania e Libano.  Aumentano di oltre il 50% le minorenni vittime di tratta.

"Nel mondo, circa 70 milioni di ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni, subiscono abusi e violenze fisiche che ogni anno provocano circa 60 mila decessi. Ovvero una morte ogni 10 minuti": è la drammatica fotografia scattata da Terre des Hommes che, in occasione della Giornata Onu delle Bambine che si celebra l'11 ottobre, punta i riflettori sulla condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo presentando il dossier della Campagna "Indifesa" che ha l'obiettivo di contrastare lo sfruttamento delle bambine, e garantire loro una vita in salute e un'istruzione adeguata. Tra i fenomeni che danneggiano le piccole donne - evidenziano i dati pubblicati da Terres des Hommes - vi è quello della migrazione forzata a causa della guerra. In particolare, molte bambine siriane oggi sono costrette a lavorare e mendicare. Cresce, nel mondo, anche la tratta a danno di ragazze minorenni, mentre diminuisce quella di donne adulte. 

Le baby-lavoratrici tra i profughi siriani. "Dopo l'estendersi del conflitto in Siria e la fuga di milioni di profughi nei paesi confinanti, si è registrato un consistente aumento del lavoro minorile in quell'area", evidenzia il documento di Terres des Hommes. Tra le famiglie siriane rifugiate in Giordania che hanno dichiarato di fare affidamento sul reddito prodotto da un minore, nel 15 per cento si tratta di bambine e ragazze. Secondo dati Onu gran parte di queste giovani lavoratrici svolge lavori domestici (46,7 per cento), mentre una su tre (33 per cento) lavora nei campi, generalmente assieme ad altri parenti e familiari. Percentuali più ridotte di ragazzine lavoratrici si ritrovano in saloni di estetica e parrucchiera, nel settore manifatturiero e nell'edilizia (ciascuno con il 6,7 per cento). "La crisi siriana - si sottolinea - ha fatto esplodere anche il fenomeno dei bambini di strada nelle città libanesi": il 73 per cento di questi, secondo dati dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro è composto da piccoli profughi impiegati prevalentemente nell'accattonaggio. Una su tre dei piccoli mendicanti è una femmina e più della metà ha meno di 11 anni.

L'aumento delle ragazze vittima di tratta: dal 10% al 21%. A livello globale, oggi i bambini rappresentano circa un terzo di tutte le vittime di tratta individuate. Due su tre sono di sesso femminile secondo l'Unodc (Agenzia Onu su Droghe e Crimine). Tra il 2004 e il 2011 la percentuale di donne adulte coinvolte nei fenomeni di tratta è scesa dal 74 al 49 per cento mentre, nello stesso lasso di tempo, la percentuale di bambine e ragazze è passata dal 10 al 21 per cento. "Situazioni di conflitto e catastrofi naturali fanno aumentare in maniera esponenziale il rischio, per bambine e ragazze, di essere trafficate", evidenzia Terres des Hommes.

Le bambine migranti a rischio tratta. Secondo l'Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) nel 2014 circa 60 milioni di persone sono state costrette a lasciare la loro casa, spostandosi all'interno del loro paese o emigrando oltre confine. "Si tratta della cifra più alta da quando si procede a un monitoraggio di questo fenomeno", evidenzia Terres des Hommes. Più della metà hanno meno di 18 anni, mentre nel 2009 rappresentavano il 41 per cento. In Italia, i dati sui minori stranieri non accompagnati registrati all'arrivo mostrano una fortissima prevalenza dei ragazzi (quasi il 95%) rispetto alle ragazze. "Tuttavia - evidenzia la ong - quasi la metà di queste ragazze si allontana dai centri e molto spesso finiscono nella rete della prostituzione minorile". Provenienti per lo più da Nigeria, Camerun, Eritrea, il loro stesso viaggio viene pagato da intermediari che poi, una volta arrivata in Europa, si mettono in contatto con la vittima e la indirizzano verso il loro "datore di lavoro". "E così, scappando da miseria, abusi o conflitti, si ritrovano costrette a prostituirsi per anni per ripagare un debito contratto spesso inconsapevolmente".


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