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20 gennaio 2015

ECCO PERCHE' I BAMBINI AFRICANI NON PIANGONO

Ho tradotto per voi questa splendida storia di J. Claire K. Niala una donna africana che vive nel Regno Unito e che racconta i primi mesi della sua vita insieme a quella della sua bambina. Racconta di come non è stato facile e di come ha affrontato le difficoltà, ma soprattutto di come ha capito che bisogna saper “leggere” i nostri figli…


Sono nata e cresciuta in Kenya e Costa d’Avorio e dall’età di 15 anni ho vissuto nel Regno Unito. Tuttavia, ho sempre saputo che volevo crescere i miei figli (quando li avrei avuti) a casa in Kenya. Si, ero certa che ne avrei avuti.
Sono una moderna donna africana, con due lauree, faccio parte della generazione di donne che lavora, ma quando si tratta di bambini, sono tipicamente africana.
Il presupposto rimane che non si è completi senza di loro, i bambini sono una benedizione che sarebbe folle evitare. In realtà la questione non si pone neppure. Ho iniziato la mia gravidanza nel Regno Unito. La voglia di tornare a casa era così forte che ho venduto la mia licenza, ho impostato una nuova attività e cambiato casa e paese entro i primi cinque mesi di gravidanza.
Ho fatto quello che la maggioranza delle donne nel Regno Unito fanno, ho letto voracemente: I nostri bambini, noi stessi, Unconditional Parenting e l’elenco potrebbe continuare. (Mia nonna ha poi commentato che i bambini non leggono libri e davvero tutto quello che dovevo fare era “leggere” il mio bambino).

Tutto quello che ho letto, spiegava che i bambini africani piangevano meno dei bambini europei. Ero incuriosito sul perché. Quando sono tornata a casa ho osservato. Ho guardato e madri e bambini erano ovunque, anche se molte giovani africane, prima delle sei settimane del neonato stanno principalmente a casa. La prima cosa che ho notato è che, nonostante la loro ubiquità, in realtà era abbastanza difficile “vedere” un bambino keniota.
Di solito sono incredibilmente ben avvolti prima di essere trasportati o legati sulle loro madri (a volte sul padre). Anche i bambini più grandi che vengono portati sulla schiena vengono ulteriormente protetti dalle intemperie da una grande coperta. Saresti fortunato a scorgere un arto, figuriamoci un occhio o il naso. La protezione è una replica come dell’”utero”. I bambini sono letteralmente protetti dallo stress del mondo esterno in cui stanno entrando.

La mia seconda osservazione invece fu di tipo culturale.
Nel Regno Unito, si è capito che i bambini piangono. In Kenya, è tutto il contrario. La normalità è che i bambini non piangono. Se lo fanno, qualcosa è terribilmente sbagliato e deve essere corretto immediatamente. Mia cognata inglese ha riassunto bene la situazione: “La gente qui, in realtà non ama i bambini che piangono, vero?”
Tutto ha preso molto più senso quando finalmente mia nonna è venuta a trovarmi. Come è normale, il mio bambino ha pianto per una discreta quantità di tempo. Esasperata e stanca, ho dimenticato tutto quello che avevo letto e, a volte, mi sono unita al pianto. Eppure, per mia nonna era semplice: “Nyonyo (allattalo)!“.

Era la sua risposta ad ogni singolo pianto. Ci sono stati momenti in cui aveva il pannolino bagnato, oppure l’avevo coricato troppo presto, o che aveva bisogno di fare il ruttino, ma soprattutto voleva solo essere attaccata al seno e non aveva molta importanza se le si dava da mangiare o semplicemente un momento di conforto.
La portavo legata a me e condividevamo il sonno, quindi allattarla sempre è stata una naturale estensione di quello che stavamo facendo.
Ho improvvisamente imparato il non-così-difficile-segreto del gioioso silenzio dei bambini africani.
E’ stata una semplice simbiosi di bisogni che si incontrano e che ha richiesto una sospensione totale di quello che dovrebbe accadere e di abbracciare ciò che stava realmente accadendo in quel momento.
La linea di fondo è che la mia bambina è stata nutrita molto, molto di più di quanto avessi mai letto, almeno cinque volte tanto quanto alcuni dei protocolli di alimentazione più severi che avevo letto.
A circa quattro mesi, quando un sacco di mamme urbane iniziano a introdurre i solidi come le linee guida si erano raccomandate, mia figlia tornò ad attaccarsi al seno come i neonati, ogni ora, il che è stato uno shock totale. Negli ultimi quattro mesi, il tempo che intercorre tra le poppate aveva lentamente iniziato ad aumentare. Avevo anche iniziato a seguire qualche paziente senza che i miei seni perdessero latte o che la baby-sitter di mia figlia, mi interrompesse la sessione col paziente per farmi sapere mia figlia aveva bisogno di mangiare.

La maggior parte delle madri del gruppo mamma-bambino avevano diligentemente iniziato a introdurre il riso nell’alimentazione del bambino (per allungare il tempo delle poppate) e tutti i pediatri professionisti coinvolti nella vita dei nostri figli, dicevano che questo era giusto.
Le madri avevano troppo bisogno di riposo, avevamo fatto cose incredibili per arrivare a quattro mesi di allattamento esclusivo, e ci avevano assicurato che i nostri bambini sarebbero stati bene. Qualcosa per me non andava e anche quando ho provato, senza troppa convinzione, a mescolare papaia (il cibo tradizionale per lo svezzamento in Kenya) con latte in polvere e darlo a mia figlia, non ne ha voluto sapere.
Così ho chiamato mia nonna. Lei rise e mi chiese se avevo letto ancora i libri. Lei mi spiegò attentamente come l’allattamento al seno sia tutt’altro che lineare.
“Lei ti dirà quando è pronta per il cibo – e quando per il suo corpo sarà troppo.”
“Che cosa farò fino ad allora” ero ansiosa di sapere?
“Tu fai quello che hai fatto prima, nyonyo regolare” (allattala regolarmente)
Così la mia vita rallentò, e andò di nuovo verso il basso per quello che sembrava un punto morto. Mentre molti dei miei contemporanei si meravigliava di come i loro figli dormivano più a lungo ora che avevano introdotto il riso ed avevano persino incominciato ad avventurarsi su altri alimenti, io mi svegliavo ogni ora o ogni due ore con mia figlia e dovevo dire ai pazienti che il ritorno al lavoro non era come avevo programmato.

Poi scoprii che, inconsapevolmente, mi stavo trasformando in un servizio di sostegno delle altre mamme. Il mio numero di telefono ha fatto il giro e molte volte, mentre stavo dando da mangiare al mio bambino, mi capitava di sentire pronunciare le parole: “Sì, basta allattarlo. Sì, anche se lo hai appena fatto. Sì, si potresti anche non riuscire a uscire dal tuo pigiama oggi. Sì, ha ancora bisogno di mangiare e bere come un cavallo. No, ora non potrebbe essere il momento di prendere in considerazione di tornare al lavoro se ti puoi permettere di non farlo. “
E, infine, mi assicurarono le madri: ” Sarà più facile. “
Ho dovuto fidarmi solo di quest’ultimo consiglio in quanto non era ancora “più facile” per me. Circa una settimana prima che mia figlia compisse cinque mesi, abbiamo fatto un viaggio verso il Regno Unito per un matrimonio e per farle incontrare la famiglia e gli amici. Perché ho avuto pochissime altre richieste, ho facilmente mantenuto il suo programma di alimentazione. Nonostante gli sguardi sconcertati di molti stranieri, ho continuato a dare da mangiare a mia figlia in molti luoghi pubblici diversi (la maggior parte delle camere di allattamento al seno sono nei bagni, che proprio non riuscivo a usare).
Alle nozze, le persone al nostro tavolo ci osservavano: “Lei è una bambina calma, ma la allatti ancora tanto.” Ho continuato il mio silenzio. Un’altra signora ha commentato: “Anche se ho letto da qualche parte che i bambini africani non piangono molto.” Non ho potuto fare a meno di ridere.
Dolce saggezza di mia nonna: 
1. Offrire il seno ogni volta che il vostro bambino è turbato anche se ha appena mangiato.
2. Sonno condiviso. Molte volte si può nutrire il bambino prima che sia completamente sveglio, il ché gli permetterà di tornare a dormire più facilmente e così si riposerà meglio e di più.
3. Portare sempre con sé una bottiglia di acqua calda a letto per mantenerti idratata e favorire lo scorrimento del latte.
4. Fare in modo che l’alimentazione del vostro bimbo sia la vostra priorità (in particolare durante le impennate di crescita) e  che tutti gli altri intorno a te facciano il più possibile per voi. C’è ben poco che non possa aspettare.

Leggere il bambino, non i libri. L’allattamento al seno non è lineare, si gira in cerchio, si va giù ma sei tu l’esperto delle esigenze del tuo bambino.



















[Testo originale su incultureparent.com - Tradotto da Valeria Bonora]
Fonte : Eticamente.net

17 gennaio 2015

ATTRAVERSO I TUOI OCCHI

TRATTO DAL LIBRO : VI RACCONTO L'AFRICA
Quattordici racconti scritti da studenti italiani, kenyoti e congolesi.



Africa. Per me significa tornare col pensiero al periodo più intenso e felice della mia vita. Se chiudo gli occhi e mi soffermo a pensare per brevi momenti, mi tornano alla mente lunghe distese erbose assolate, ombreggiate ogni tanto da qualche chioma d'albero isolata; gli interminabili spazi; i branchi di grandi erbivori che ogni anno attraversano la savana superando il Tana verso terreni più rigogliosi; le donne chine a raccogliere i primi frutti del duro lavoro nei campi di patate; alture lontane che si stagliano all'orizzonte contro il cielo azzurro che si tinge di nero neiperiodi delle grandi piogge, riversando tutta insieme la tanto anelata acqua per le valli e i villaggi.
Io vedo. Vedo il paesaggio dell'Africa e lo rivivo con lo stesso stupore e la stessa meraviglia con cui la prima volta il mio sguardo si è posato su questo mondo sperduto e tanto lontano dalla mia civiltà.


Ricordo la sensazione di smarrimento che mi pervase a seguito della stanchezza del viaggio. Allora provai un brivido di paura per il passo intrapreso. Perché mi ero esposto ad un simile rischio e quale profitto avrei ricavato da una simile decisione?
La distesa d'erba della savana pareva infinita ... e là, poco fuori la stazione ferroviaria, a bordo di una jeep tutta impolverata, mi aspettava padre Piero, il carmelitano che con quel suo piglio deciso e disarmante mi aveva convinto mesi prima ad accettare la sua proposta: "Vieni anche tu a condividere con noi l'esperienza della nostra missione in Africa".
Dopo la specializzazione in oculistica, lavoravo già da quattro anni a tempo pieno nell'ospedale della mia città dove, tra le altre cose, effettuavo interventi chirurgici. Da tempo, tuttavia, avevo la sensazione di non riuscire a realizzare completamente me stesso in quel luogo da cui spesso mi sentivo estraneo. Volevo fare di più, volevo andare oltre il limite di quella vita che si ripeteva uguale, giorno dopo giorno. Fu così che, quando arrivò l'occasione, la afferrai,quasi senza riflettere. Desideravo poter cogliere al volo una nuova opportunità. Alla fine, seppur combattuto, accettai e partii con una buona dose di incoscienza, senza pensare alle conseguenze.



La prima impressione che ebbi dell'ambiente in cui fui catapultato fu di estrema miseria e povertà: arrivato a Mombasa in treno da Nairobi, mi trovai sommerso da una folla di donne e bambini in abiti locali che scendevano e salivano sui vagoni con una suggestiva raccolta di oggetti artigianali in legno e che allungavano speranzosi le mani colme di questi manufatti, tentando di attirare l'attenzione dei viaggiatori perracimolare qualche soldo.
Il tragitto in auto mi condusse ad un piccolo villaggio nel cuore della Savana non lontano da Pemba: la mia nuova dimora per i prossimi mesi. Là, i padri della missione avevano promosso la costruzione di un centro di cura per chi era affetto da morbi visivi, come la cataratta e soprattutto l'oncocercosi, una delle più gravi malattie infettive e parassitarie dell'Africa, provocata da un nematode trasmesso all'uomo in forma larvale da alcuni Ditteri e che spesso si localizza negli organi visivi causando, nella maggior parte dei casi, cecità. Tante erano le persone in queste regioni africane affette da tale patologia, che non me ne resi conto finché non vidi io stesso sfilare una folla pacata e ordinata dalle pianure e dai villaggi lontani, aggrappata alla tenue speranza di poter riacquistare un giorno la vista. Tra questi un numero sbalorditivo era costituito dai bambini che, giovanissimi o sin dalla nascita, erano diventati completamente ciechi, a causa di questo morbo dovuto alle misere condizioni igieniche e sanitarie di quei luoghi.




Il centro in cui i padri avevano stabilito la propria missione era dotato di strumenti necessari per eseguire interventi e accogliere chi aveva bisogno di cure immediate e urgenti. Le sale operatorie erano certo limitate, ma con mio grande stupore scoprii come fosse ben organizzato il personale medico:oculisti e infermieri, accompagnati da alcuni volontari, erano sempre disponibili e la loro forte determinazione presto cominciò a contagiarmi e a darmi motivo di credere che, finalmente, sarei riuscito a trovare la mia strada e il mio ideale di vita.


Probabilmente fu anche grazie alla mia volontà e al mio ottimismo che riuscii senza troppe difficoltà ad integrarmi quasi subito in questo ambiente così diverso da quello da dove provenivo. I padri e gli altri missionari, laici ed ecclesiastici, si mostrarono estremamente cortesi ed io cominciai ben presto ad essere benvoluto anche dagli indigeni, da quella gente che con la semplicità del suo sorriso mi gratificava e incoraggiava ogni giorno.
Imparai gradualmente le espressioni della lingua locale, appresi le loro tradizioni e abitudini, quasi affascinato dalla dignità del loro modo di affrontare la vita. Tuttavia la gioia più grande era poter ridare la vista a esseri umani che ora possono assaporare i colori della vita e ricominciare a vivere in
una nuova luce.
Lavoravo instancabilmente tutto il giorno e trascorrevo i pochi momenti liberi fianco a fianco con gli altri volontari, tra cui anche molti indigeni che avevano avuto modo di apprendere da noi l'arte medica ed ora erano in grado di condividere le nostre fatiche e di assisterci negli interventi o nel dispensario.


Fu però ad un mese di distanza dal mio arrivo che ebbi modo di vivere realmente l'esperienza più dolce e commovente della mia vita. Ripenso continuamente al momento in cui, durante una giornata umida, sotto un cielo plumbeo, mi portarono Amid, un bambino di sette anni, spaurito e timido, cieco dalla nascita per via di quella terribile "malattia del fiume", nome con cui gli indigeni chiamano l'oncocercosi. Fu un lungo intervento durante il quale subentrarono anche alcune complicazioni. Il bambino era mal nutrito, debole, perciò preferimmo tenerlo sotto osservazione per un po' di tempo. Quando le cure cominciarono a fare effetto, lo affidammo a sua madre. 
Durante la convalescenza ebbi l'occasione di conoscerlo più a fondo: conquistai a poco a poco la sua fiducia e nacque tra noi una grande amicizia. Mi raccontò del suo paese, del padre morto durante gli scoppi della guerra etiopica del '99 e della necessità di fuggire e di cercare rifugio altrove. Io ascoltavo con comprensione ed attenzione, ma anche con un profondo peso sul cuore.
Conoscendo la triste storia della sua vita, ridargli la vista era diventata una necessità, una promessa che dovevo mantenere ad ogni costo. Il momento più emozionante fu quando Amid, tolte le bende, fu in grado per la prima volta di vedere il volto di sua madre: come piansi quel giorno! E come piango ancora quando torno con la mente a quegli istanti di intensa commozione.

Una volta venne in ambulatorio a cercarmi e, prendendomi per mano, mi condusse fuori fino ad una collina verde che sovrastava il paesaggio. Mi fece stendere a terra e mi invitò a guardare in alto, nel cielo terso, dove stava il suo papà che vegliava su di lui e su sua madre. Imparai a vedere l'Africa coi suoi occhi, col suo pensiero, col suo sguardo candido edisincantato... Da allora le nostre gite si fecero più frequenti: non appena concludevo i miei turni, uscivo con lui ed entrambi andavamo in quel luogo sperduto, lontano da tutto e da tutti. Noi con la nostra Africa. Potevo assaporarne il profumo, sentirne gli odori, ascoltare il suono del vento che mi scompigliava i capelli, respirare un'aria per me sconosciuta ... libertà ... bellezza ... volontà di vivere.

Serbai nel cuore ogni singola esperienza di quei mesi. Non volevo più andarmene, ma era giunta l'ora del ritorno. L'ultimo ricordo che conservo di Ami d è il momento della partenza: mi portarono alla stazione di Mombasa e il piccolo mi accompagnò davanti al treno. Mi voltai verso di lui: mi abbracciò forte. Gli sussurrai dolcemente con le lacrime agli occhi di non scordarsi di me. Mi porse un piccolo foglio che il giorno prima mi aveva chiesto: aveva fatto uno schizzo della nostra collina. Sulla cima, stagliate contro il rosso fiammeggiante del tramonto, due figure vicine...
Quando il treno si allontanò piano dalla banchina, mi sporsi dal finestrino aperto. Mi rimarrà sempre impressa l'immagine di quella madre con in braccio il suo bambino che mi osservava allontanarmi. Il suo sguardo esprimeva riconoscenza e gratitudine.


Lasciando l'Africa mi ricordai della frase che padre Piero era solito ripetere ai suoi ragazzi e ai volontari della sua missione:

"Lavoriamo insieme per realizzare i progetti dipinti negli occhi dei bambini".

Andrea Mazza - Italia

06 gennaio 2015

THE NANYUKI FURAHA FOUNDATION (PROGETTO LA RICERCA DELLA FELICITA')

A dicembre, subito dopo Natale, ho ricevuto questo messaggio :

Ciao Marinella, mi chiamo Andreina e da agosto 2013 sono in Kenya. Volevo cambiare la mia vita. Sto cercando di creare un centro per accogliere i tantissimi bambini che vivono in strada e dare loro una possibilità per cambiare la loro vita. Il progetto è The Nanyuki Furaha Foundation - La Ricerca della Felicità.

[...] in pochi mesi abbiamo fatto grandi passi e dei ragazzi stanno già facendo dei piccoli cambiamenti. Loro fanno anche uso di colla e hanno alle spalle delle storie drammatiche. Non si può restare indifferenti. Si fa tanto spreco nella nostra società e quì basterebbe un piccolo aiuto da parte di tutti, anche rinunciare a un caffè al giorno.

DI COSA SI TRATTA :

Nome:
The Nanyuki Furaha Foundation (La Ricerca Della Felicità)
Chi sono: 
Due pastori (Pastor Obadiah Kariuki e pastor Peninah Kariuki), un insegnante (Cleopas Kent Wachira) e una volontaria italiana (Andreina Iorio). Dopo l’esperienza in un centro di riabilitazione governativo per bambini di strada e dopo aver visto che il governo fa poco per loro hanno avuto l’idea di realizzare loro qualcosa di grande.

Spazio:
PRIMA avevano a disposizione uno spazio di 15m₂ nella chiesa
THE HAPPY CHURCH MINISTRIES INTL. - NANYUKI REGIONAL OFFICE - P.O BOX 1142-10400 NANYUKI
dove incontravano  i bambini parlando con loro, dando loro vestiti e cibo e dedicando loro qualche ora di tempo (cantando, disegnando, giocando) ma a malincuore devono lasciarli tornare in strada perché non hanno un posto dove tenerli.

A DICEMBRE Andreina e Cleopas, assieme ad altri volontari, hanno comprato una scorta di cibo. I bambini che arrivano per il pasto sono passati in pochi giorni da 22 a 39.
Hanno affittato una casa per accogliere i volontari che arriveranno e nella quale sarà possibile servire da mangiare e far entrare i bambini per attività diurne.
I ragazzi avranno un posto accogliente in cui stare!
La casa è vuota, manca una cucina a gas e la bombola. Non ci sono tavoli né sedie.
A Natale e Capodanno hanno mangiato seduti per terra. Però hanno mangiato. E non erano per strada. Soprattutto... lontano dalla colla.



Risorse:
Non hanno niente a disposizione e quindi hanno bisogno di tutto (fondi per costruire, garantire cibo, scuole e programma tecnico ed educativo)

Missione:
Con la costruzione del centro di riabilitazione vogliono procurare le prime necessità e allontanarli dall’uso della colla, ma soprattutto cercare di farli tornare alle loro famiglie (per quelli che ce l’hanno), aiutandole nel loro mantenimento dando la possibilità così ad altri di entrare nel centro.

Attività futura:
In futuro vogliono autosostenersi con la creazione di laboratori come falegnameria, sartoria, creazioni di oggetti d’arte e anche una serra. Questo anche per preparare i ragazzi al mondo del lavoro.



Bisogni:
Hanno bisogno di associazioni che li sostengano nella realizzazione del progetto. Non solo finanziariamente,  ma anche e soprattutto con persone che abbiano una esperienza professionale nei vari settori.

Pagina Facebook: The Nanyuki Furaha Foundation-La Ricerca Della Felicità 

In attesa di ottenere lo Statuto di Onlus, la fondazione sta usando provvisoriamente, per eventuali donazioni, le seguenti coordinate bancarie : 

Bank : Standard Chartered Bank of Kenya LTD
Account Name: Andreina Iorio
Account Number: 0100337648500
Swift Code: SCBLKENX
Branch: Nanyuki

Qualsiasi contributo, seppur piccolo, per loro significa tanto. Se qualche associazione può dare una mano a questi ragazzi, in qualsiasi modo, sarebbe meraviglioso. Per loro innanzitutto e per questi volontari che meritano un premio per il loro lavoro. Salvare dalla strada decine e decine di bambini e ragazzi... quale miglior premio ? Grazie. 

05 gennaio 2015

EPIFANIA TUTTE STE FESTE PORTATI VIA....


La leggenda della Befana

I Re Magi stavano andando a Betlemme per rendere omaggio al Bambino Gesù. Giunti in prossimità di una casetta decisero di fermarsi per chiedere indicazioni sulla direzione da prendere.
Bussarono alla porta e venne ad aprire una vecchina. I Re Magi chiesero se sapeva la strada per andare a Betlemme perchè là era nato il Salvatore. La donna che non capì dove stessero andando i Re Magi, non seppe dare loro nessuna indicazione.
I Re Magi chiesero alla vecchietta di unirsi a loro, ma lei rifiutò perché aveva molto lavoro da sbrigare.
Dopo che i tre Re se ne furono andati, la donna capì che aveva commesso un errore e decise di unirsi a loro per andare a trovare il Bambino Gesù. Ma nonostante li cercasse per ore ed ore non riuscì a trovarli e allora fermò ogni bambino per dargli un regalo nella speranza che questo fosse Gesù Bambino.


E così ogni anno, la sera dell' Epifania lei si mette alla ricerca di Gesù e si ferma in ogni casa dove c'è un bambino per lasciare un regalo, se è stato buono, o del carbone, se invece ha fatto il cattivo.

Befana ed Epifania in alcune parti del mondo 

FRANCIA :
Nel giorno dell' Epifania si usa fare un dolce speciale (la galette des rois), all' interno del quale si nasconde una fava. Chi la trova diventa per quel giorno il re o la regina della festa.

SPAGNA :
Il 6 gennaio tutti i bambini spagnoli si svegliano presto e corrono a vedere i regali che i Re Magi hanno lasciato. Il giorno precedente mettono davanti alla porta un bicchier d' acqua per i cammelli assetati e anche qualcosa da mangiare e una scarpa.
In molte città si tiene il corteo dei Re Magi, in cui i Re sfilano per le vie cittadine su dei carri riccamenti decorati.
RUSSIA : 
La chiesa ortodossa celebra il Natale il 6 gennaio. Secondo la leggenda i regali vengono portati da Padre Gelo accompagnato da Babuschka, una simpatica vecchietta.

ISLANDA : 
Il 6 gennaio viene chiamato il tredicesimo, perché da Natale fino a questa data trascorrono 13 giorni. Questo è l'ultimo giorno del periodo festivo nel quale si dice addio al Natale. Si inizia con una fiaccolata, alla quale partecipano anche il re e la regina degli elfi. A metà strada arriva anche l'ultimo dei Babbo Natale, il tredicesimo (il primo Babbo Natale arriva
 l'11 dicembre e poi ne arriva uno ogni giorno fino a Natale, poi dal 25 dicembre in poi ne va via uno al giorno). La fiaccolata finisce con un falò e con dei fuochi d'artificio.

02 gennaio 2015

ONDINA LA SIRENETTA E L'ARCOBALENO....

2 gennaio 2015... BUON ANNO A TUTTI !!!!!

Siamo reduci dai festeggiamenti del Capodanno... anche se in tono minore, ognuno di noi nel suo piccolo ha voluto festeggiare l'addio al vecchio e dare il benvenuto al nuovo anno. C'è sempre la speranza che quello che subentra porti nella nostra vita qualcosa in più rispetto al precedente. Qualcosa in meglio, ovviamente. Anche se non lo vogliamo ammettere, è così... in fondo al cuore, tremolante ma insistente, quel barlume di ottimismo travestito resiste e ci aiuta a proseguire nel nostro cammino....


Quindi siamo ancora un po' apatici... un po' sonnolenti... lasciamo che il dinamismo salti fuori dopo l'Epifania; Signora Befana con la sua scopa penserà lei a spazzar via ogni residuo di pigrizia, che sia fisica o mentale... 

Perciò non scriveremo nulla che disturbi la vostra quiete... niente di troppo impegnativo... solo una piccola storia, una fiaba... per rimanere nell'incanto di questi ultimi giorni di festa...



Nelle acque trasparenti e cristalline del lago di Carezza, che gli antichi chiamavano lago dell’arcobaleno, si vedono riflessi tutti i colori dell’iride. Narra la leggenda che tanto tempo fa - quando le sorgenti erano limpide e le acque non contaminate ospitavano ninfe e fate gentili - in questo lago viveva una deliziosa creatura di nome Ondina. Un po’ fata e un po’ sirena, Ondina abitava la profondità delle acque ed emergeva soltanto attorno al mezzogiorno, per assaporare il tepore dei raggi del sole. Un giorno, i suoi capelli biondi e i suoi occhi blu furono notati da un mago malvagio, padrone del bosco, che subito s’innamorò di lei. Ma appena si avvicinò, Ondina scomparve sott’acqua, lasciando il mago con un palmo di naso. Come fare ad attirare di nuovo la ninfa in superficie? Dopo averci pensato a lungo, il mago decise di creare un arcobaleno e di spacciarsi per un mercante di gioielli. I colori sospesi nell’aria e le gemme, pensò, avrebbero attirato certamente la fanciulla. Poi lui l’avrebbe tenuta per sempre prigioniera nel bosco. In effetti, appena l’estremità del grande arcobaleno venne a posarsi sulle acque del lago, Ondina comparve curiosa e forse sarebbe caduta nel tranello se il mago, impaziente di afferrarla, non fosse inciampato, perdendo i baffi e la barba finta del travestimento. La ragazza lo riconobbe subito e con un’allegra risata si rituffò e scomparve. Il mago capì che non sarebbe mai più riuscito a ingannarla e preso da furore cominciò a sradicare alberi e a lanciare macigni nel lago. Urlava come un ossesso, disperato. Infine afferrò l'arcobaleno e, dopo averlo frantumato in mille pezzi, lo scaraventò in acqua. Ondina, al riparo nel suo rifugio segreto, vide tutta la scena e quando il mago sconfitto si ritirò nella selva, riemerse per raccogliere i frammenti dell'arcobaleno, con i quali continuò a giocare.
Ogni tanto, prosegue la leggenda, Ondina si diverte a sbriciolare pezzi di arcobaleno, poi sceglie i colori e cosparge le cime dei monti di polvere rosa.


Vi lasciamo, come Ondina, a sbriciolare il vostro Arcobaleno... piano piano per tutto l'anno. Che porti nella vostra vita, ogni giorno, un colore diverso, con sfumature più o meno tenui, più o meno vivaci... ma che COLORE sia, SEMPRE. 


Di nuovo, BUON ANNO 2015, a tutti e ad ognuno. 

                                                                                               Pax