Translate

29 giugno 2018

LA MISTERIOSA SINDROME DEL DONDOLAMENTO CHE UCCIDE I BAMBINI IN SUD SUDAN

Bambino affetto da sindrome del dondolamento in Uganda. credit: AFP PHOTO / Michele Sibiloni
Nel paese africano si contano almeno 20mila casi. I bambini affetti da questa malattia sono condannati a morte perché isolati dalle famiglie e dalla comunità.

“La testa comincia a dondolare come per annuire, ma in modo convulso e ripetuto. Succede spesso poco prima che il bambino stia per mangiare. È una sorta di ipnosi: il bambino inizia ad avere delle piccole convulsioni che sfociano poi in attacchi di epilessia veri e propri. È impressionante”.

Andrea Bollini, di Amref Italia, denuncia in un’intervista a TPI l’allarmante diffusione nel Sud del Sudan di una misteriosa malattia che sta devastando il paese, messo in ginocchio da una feroce guerra civile in corso da quattro anni.

In inglese si chiama Nodding Syndrome (NS), in italiano è conosciuta come “sindrome del dondolamento”. Nel paese africano si contano almeno 20mila casi, ma il numero è impreciso a causa della mancanza di un vero sistema sanitario in grado di monitorare la diffusione del disturbo.

I sintomi
Il nome della malattia deriva da uno dei suoi sintomi: coloro che ne sono affetti sono infatti portati ad annuire con gesti involontari della testa. Tale fenomeno appare solitamente quando i bambini stanno per mangiare o talvolta quando sentono freddo, e dura per circa 20 minuti.
Quando un bambino la contrae, la crescita corporea e del cervello si ferma permanentemente e compare un grave ritardo mentale.

“Comincia con un dondolamento e termina con la morte”, spiega Bollini. La malattia colpisce unicamente bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni.
La sindrome, che affligge i bambini già dai primi anni di vita, li danneggia nei momenti cruciali della loro crescita, fino ad incidere in modo devastante sullo sviluppo del cervello. I bambini perdono la cognizione di sé, la capacità di parlare, di vivere in modo indipendente da chi li accudisce.

La Nodding Sindrome esiste ma nessuno sa con certezza come si diffonda, né tantomeno come curarla.
Il dondolamento della testa al momento di mangiare interferisce con diete spesso già insufficienti, l’assenza di controllo motorio porta i bambini a cascare e ferirsi. Il loro tasso di mortalità per inedia e infezioni è elevato.



Da cosa è causata
“La sindrome è stata riconosciuta ufficialmente come forma epilettica nel 2012, ma sulle cause che possono provocarla esistono solo delle ipotesi: c’è chi ha avanzato tesi sulle scie chimiche, chi sull’avvelenamento delle falde acquifere”, spiega Bollini.

“In realtà sembra quasi certo – dichiarano da Amref – che la sindrome sia collegata alla diffusione di un verme parassita chiamato ‘Onchocerca volvulus’, che è prevalente in tutte le zone toccate dall’epidemia. Questo parassita, trasportato da un moscerino che si riproduce nei pressi dei fiume, è anche associato alla Cecità dei Fiumi, un’altra malattia tropicale negletta che però affligge quasi 8 milioni di persone l’anno, portando alla cecità totale di mezzo milione di individui”.

“Per controllare il parassita basterebbe sbarazzarsi del suo vettore (i moscerini), e per limitarne i danni basterebbe dare a ogni persona a rischio una piccola pillola ogni sei mesi, per due anni, per evitare la riproduzione delle sue larve”.

Come racconta Andrea Bollini, i bambini affetti da questa sindrome sono condannati a morte: “Per una questione culturale, le famiglie di questi minori sono convinte che il nodding sia una patologia che si può trasmettere come il raffreddore, con un contagio. Per questo i bambini che ne sono affetti vengono isolati dalla comunità”.

Le famiglie creano sulle vittime un vero e proprio stigma: allontanano i bambini dalla vita ordinaria, per tutelare gli altri figli.
Il mix tra malnutrizione acuta e convulsioni rappresenta la fase terminale della sindrome, perché un corpo indebolito collassa al sopraggiungere di convulsioni violente.
In paesi dove non esiste una rete assistenziale pubblica, dove le famiglie per sopravvivere sono costrette ad andare a lavorare in campi lontani, il destino di questi bambini, spesso lasciati a se stessi, è necessariamente segnato.

Diffusione
Nella piccola cittadina sud sudanese di Maridi, dove Amref Health Africa ha costruito e gestito un istituto di formazione professionale che è stato lo scheletro del sistema sanitario nazionale, a un certo punto si è iniziato a notare che un numero crescente di bambini mostrava gli strani sintomi della sindrome da dondolamento: la loro coordinazione era bizzarra, non crescevano più e in particolare, quando mangiavano la loro testa iniziava a dondolare.

“Ci sono voluti anni per accorgersi della sua così vasta diffusione nella zone di Maridi, a causa della quasi assenza di un sistema sanitario, di personale medico, di sistemi di monitoraggio epidemiologici, di capacità di valutazione delle realtà sul territorio”, spiega Tommy Simmons, fondatore di Amref Italia.

Nel suo lavoro in Sud Sudan, Tommy Simmons ha incontrato il signor Keffa.

Degli undici figli di Keffa, ne sono rimasti in vita solo 4, gli altri sono morti proprio a causa di questa malattia. Dei quattro figli, almeno tre sono affetti da Sindrome del dondolamento.

“Lo stato dei tre figli malati era evidente”, racconta Simmons. “Un maschio quattordicenne che avrà dimostrato nove anni si aggirava sconclusionato e claudicante tra le case, a malapena reggendosi in piedi; una ragazza dodicenne che ne dimostrava sette o otto di anni se ne stava ammutolita in un angolo; al più piccolo, sui dieci anni, all’apparenza molti di meno, calava un filo di bava dalla bocca”.

“L’unica cosa che Keffa ha per proteggerli sono delle pillole anti convulsioni che gli sono state date in ospedale e che lui usa con parsimonia, quando ha davvero da fare e deve in qualche modo tenerli sotto controllo”, conclude Simmons.

Qui la foto scattata a Keffa e alla sua famiglia:

Come tradizione vuole, i figli morti sono tutti sepolti lì, vicino alle loro case, tra la famiglia che è rimasta in vita.
Lara Tomasetta
www.tpi.it

03 giugno 2018

LA VERA STORIA DI "KEEP CALM AND CARRY ON"

 

Chiunque sia stato a Londra e abbia avuto il coraggio di entrare in un souvenir shop, avrà sicuramente notato l'onnipresente scritta "Keep calm and carry on". Il celebre motto è utilizzato su tazze da tè, tappetini da bagno, magliette, intimo per uomo o per donna e un'infinità di altri accessori senza limiti apparenti di buon gusto.

Al contrario di quanto molti potrebbero pensare, la frase non è stata partorita dalla fervida fantasia di un proprietario di souvenir shop londinese. La vera storia di questo motto è in realtà estremamente interessante, e risale alla prima metà del XX secolo.


Nella primavera del 1939, il governo inglese commissionò al ministero dell'Informazione una serie di poster di propaganda. Questo organo statale è esistito nel Regno Unito soltanto durante i due conflitti mondiali, ed il suo scopo era gestire la comunicazione con i cittadini.

L'obiettivo di questa serie di manifesti era rassicurare i cittadini, preoccupati per l'imminente conflitto e dai preannunciati attacchi sul proprio territorio. Furono realizzati tre modelli diversi, utilizzando un font creato appositamente e la corona Tudor come "marchio di garanzia". In questo modo ne fu resa molto difficile la contraffazione.

@oldpicsarchive


@oldpicsarchive






I primi due manifesti, che furono stampati e distribuiti nel settembre del 1939, riproducevano i seguenti messaggi: "Your Courage, Your Cheerfulness, Your Resolution Will Bring Us Victory" (Il vostro coraggio, la vostra allegria e la vostra decisione ci porteranno la vittoria) e "Freedom Is in Peril. Defend It With All Your Might" (La libertà è in pericolo. Difendetela con tutte le vostre forze).










La versione "Keep calm and carry on" - di cui furono stampate 2,5 milioni di copie - fu invece tenuta da parte, per essere utilizzata solo in casi di grave crisi o invasione. Per tutta la durata del conflitto il Ministero dell'Informazione non ritenne opportuno diffondere l'ultima versione del poster, che non fu mai mostrata al pubblico.

Per oltre 50 anni le poche copie che furono conservate rimasero a prendere polvere in qualche remoto archivio del Regno Unito. Fino a quando, nel 2000, i proprietari di una piccola libreria situata a 500 chilometri a nord di Londra acquistarono un baule contenente libri usati. All'interno scoprirono il manifesto, che diventò subito molto richiesto prima tra i clienti del negozio e poi in tutta Europa.


Andrea Passadori
www.huffingtonpost.it