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14 dicembre 2017

LO SCIOPERO DEL NATALE

Questa storia è avvenuta quando ancora gli scioperi non esistevano, o meglio, erano poco conosciuti. Probabilmente, possiamo considerare lo sciopero di questa storia come il primo vero sciopero in assoluto. La storia riguarda tutti i Babbo Natale della Terra, pronti a protestare, ma andiamo a conoscerne il motivo.

Tanto tempo fa, così come avviene ancora oggi, durante l’anno i Babbo Natale della Terra, rinchiusi nei loro rifugi del Polo Nord, erano intenti a leggere le letterine ricevute da ogni bambino e a preparare con cura i regali.

È stato questo, da sempre, il lavoro dei Babbo Natale, che possiedono mezzi potenti per raggiungere in breve tempo ogni angolo della Terra. Ad esempio, il Babbo che si occupa di distribuire i regali nel continente africano, ha un calesse gigantesco, trainato da quattro magnifici struzzi.

Quello diretto in Asia, siede su un comodo baldacchino montato sul dorso di un enorme elefante; mentre il Babbo Natale europeo viene a trovarci sulla classica slitta trainata dalle renne, più abituate al nostro freddo. C’è invece un magnifico canguro, che nella sua grande pancia trasporta il Babbo diretto in Australia. Un’infinità di mezzi rimarrebbero ancora, ma li lasciamo allo spazio dell’immaginazione.

Purtroppo, qualcosa di veramente grave stava accadendo in quel tempo al Polo Nord, qualcosa che poteva mettere a repentaglio il Natale.

-“È proprio un macello!”, disse il Babbo Natale che portava i doni in Cina. “Anche oggi, l’orso postino ha portato poche lettere”.

-“Già”, rispose il Babbo Natale africano, mentre sistemava le sue zebre. “Solo lo scorso anno ne ricevevamo a centinaia ogni giorno”.

-“Per non dire di qualche anno fa, quando i bambini ci sommergevano di lettere di richieste”, aggiunse quello americano.

-“Le lettere di quest’anno sono troppo poche”, disse il Babbo giapponese. “E c’è da aggiungere che molte le ha scritte l’orso postino per non vederci così tristi. Senti questa come recita: “Caro Babo Nattale, sonno un bambbino di sete anni e desiddero ricevere a Nattale una bela e suggosa bisteca di balena che non lo mai sagiata”.

-“Hai ragione”, disse l’ennesimo Babbo sentendo quelle parole, “nessun altro avrebbe saputo scrivere una lettera simile. Ma cosa sta succedendo?”

-“Ve lo dico io”, disse il Babbo australiano. I bambini non credono più in Babbo Natale e per questo hanno smesso di scrivere le lettere”.
-“Ma come mai? Chi li ha convinti di questa cosa?”

-“Secondo me”, disse il Babbo europeo, “i genitori non hanno più nè il tempo nè la pazienza di raccontare ai loro figli la storia di Babbo Natale. E poi, al giorno d’oggi, con i ritmi della vita moderna, chi vuoi che abbia voglia e tempo di credere a noi?”.

-“Ma se nessuno ci scrive più, chi porterà ai piccoli i regali che desiderano?”

-“Anche quest’anno”, disse il Babbo africano, “solo pochi bambini riceveranno i regali, per lo più figli di gente benestante”.

-“È una cosa bruttissima” protestarono insieme i Babbi. “Dobbiamo fare qualcosa!”.


-“E cosa possiamo fare?” domandò il Babbo asiatico.

-“Facciamo uno sciopero collettivo. Quest’anno non porteremo i doni a nessuno”, disse il Babbo europeo. E aggiunse, “stamperemo tanti volantini da distribuire sulla Terra, con una scritta che segnali lo sciopero di Babbo Natale per quest’anno, visto che nessuno vuole più credere in lui”. E così decisero.

Quell’anno, il giorno di Natale, i bambini di tutto il mondo erano tristi per non aver ricevuto nemmeno un dono. Ma alla fine, bambini ed adulti capirono di aver sbagliato nell’aver perso lo spirito natalizio; così vollero scusarsi con i Babbo Natale mandandogli una montagna de lettere. Fu così che il Natale ritornò alla normalità, anzi quell’anno i bambini ricevettero il doppio dei regali desiderati.

Illustrazioni : Lisi Martin
(iamachild.wordpress.com)

03 dicembre 2017

SONO NATO ALBINO. UN BIMBO BIANCO IN UNA FAMIGLIA MAASAI

Sono un keniota e ho 44 anni. Sono nato in una comunità conosciuta in tutto il mondo, la comunità Maasai. Sono il sesto di otto figli. Sono nato albino. Un bimbo bianco in una famiglia Maasai.

La mia comunità rispetta molto la vita umana e difende il socialismo: la collettività è alla base delle nostre attività. La maggior parte delle cose - la proprietà, i bambini, le ricchezze - è considerata proprietà e responsabilità della comunità. Tuttavia, questa comunità considera le persone con disabilità come cattivi presagi per la comunità stessa. A volte, un bambino disabile viene denominato “oloibe Enkai”, “odiato da Dio”.


La tradizione Maasai consente ad un padre di ripudiare un figlio, se ritiene che non sia il suo figlio biologico. In passato, se un padre dubitava della paternità di un bambino, poneva, secondo la tradizione, il bambino davanti al cancello del recinto, dove venivano tenute le mucche. Quando le mucche venivano  spinte fuori dal recinto, da quel cancello, si credeva che se il bambino fosse stato suo, le mucche avrebbero evitato di calpestarlo; se, invece, il bambino non fosse stato suo, le mucche lo avrebbero calpestato, sì da ucciderlo all'istante.  Sempre secondo la tradizione, quando una donna Maasai dava alla luce un bambino albino, il bambino veniva privato del latte materno e sottoposto a condizioni durissime, perché morisse prima che il marito se ne accorgesse. 
Per ragioni che non conosco, mi sono stati risparmiati questi due destini.

La mia nascita è stata traumatizzante per tutta la mia famiglia.
E’ stato difficile per mia madre convincere mio padre che io ero veramente suo figlio. C’è stata da parte sua una forte resistenza, ma alla fine  mi ha accettato. 
E’ stato difficile convincere il resto della comunità che mia madre non aveva avuto una relazione con il prete locale, che era un uomo bianco.
E’ stato difficile convincere la mia comunità che IO ero UNO DI LORO.
Durante la mia infanzia, i miei genitori non sapevano come aver cura della mia pelle, così delicata. Ho avuto molti problemi, dovuti soprattutto alle  scottature e all’ipovisione. Non c’erano operatori socio-sanitari che sapessero cosa fare con un bambino albino. Non c’erano educatori specializzati   in grado di fornire un’assistenza adeguata.
Tali figure sociali non sono ancora presenti nella mia comunità.

Come tutti i ragazzini, avevo bisogno di “mescolarmi” agli altri e socializzare, giocare con i miei coetanei. Non è stato facile, perché, spesso, gli altri ragazzi mi prendevano in giro. Si aspettavano che io piangessi. Alcuni  non mi toccavano per paura di essere 'infettati' dalla mia disabilità.
Non so quante volte ho cercato la solitudine!

E, sono rimasto solo!... perché non volevo essere chiamato “uomo bianco”. Questo è ironico, vero? Di solito, quando le persone, che vivono nei paesi in via di sviluppo, sono associate con la civiltà occidentale, si sentono lusingate. Nel mio caso, ogni volta che venivano menzionati i termini  “uomo bianco o 'Mzungu', venivano richiamati alla mente tutti i miei problemi. Quando andavo nei villaggi, in particolare nuovi luoghi lontano da casa, i bambini piccoli gridavano contro di me, a gran voce. Avrei voluto farli tacere. Avrei voluto scomparire rapidamente dalla  loro vista, ma la mia scomparsa da loro mi avrebbe portato, prima o poi, al cospetto di altri. Essi mi trattavano come  trattavano i turisti provenienti dai paesi europei, allo scopo di ottenere piccoli regali, come caramelle e giocattoli. Quando si rendevano conto che ero solo un africano di pelle bianca, si mettevano a ridere e mi insultavano.
 
Vorrei ringraziare Dio per l'intelligenza che mi ha donato. La capacità di afferrare i concetti mi è stata di grande aiuto a scuola. Ero in una classe di bambini”normali”. Nel tentativo di nascondere la mia disabilità, fingevo di riuscire a leggere ciò che c’era scritto alla lavagna e fingevo di seguire quello che l'insegnante diceva . C’è voluto molto tempo,  prima che i  miei insegnanti si rendessero conto che avevo un problema alla vista. In Kenya, a quel tempo, era consentito picchiare i bambini. I miei insegnanti continuavano a picchiarmi, pensando che così facendo mi avrebbero fatto copiare gli appunti o seguire quello che dicevano. Ho sopportato le percosse. Non avevo il coraggio di dire qual’era il mio problema, perché temevo che i miei amici ridessero di me.
Ho sofferto molto per gravi scottature solari. Non sapevo ci fossero creme di protezione solare. Ne sono venuto a conoscenza solo più tardi.
Le creme solari sono molto costose. Una  persona comune in Kenya non se le può permettere.

I problemi maggiori sono venuti durante l’ adolescenza, quando “si fa sentire” la necessità di relazionarsi con l’altro sesso. Il desiderio di amore e di intimità, connessi alla paura dell’accettazione. Pensavo che nessuno mi avrebbe mai amato, perché il mondo intero sembrava molto ostile nei miei riguardi. Questo problema l’ho superato, alla grande! Ho incontrato una donna molto gentile e amorevole che ha riversato su di me tutto il suo amore, nonostante la mia disabilità. Insieme, abbiamo costruito una famiglia: abbiamo  tre figli . Il nostro rapporto è sereno.

La mia esperienza di vita ha fatto nascere in me il desiderio di essere utile ai bambini con esigenze speciali, con l’ obiettivo di aiutare quelli che condividono il mio problema e gli insegnanti ad essere sensibili alle esigenze dei loro studenti.
Attualmente lavoro presso l'ufficio istruzione del dipartimento dei bisogni educativi speciali. Ci sono molte sfide da superare: l’ ignoranza da parte dei fornitori dei servizi, la mancanza di politiche di governo su questioni legate ai bisogni educativi speciali, il livello di povertà tra le comunità del Kenya,  le pratiche e le credenze tradizionali.
Ho dato inizio ad un progetto: sollecitare la fornitura di creme solari per i bambini con albinismo. E’ la sfida più grande della mia vita!
Ho bisogno di aiuto perché il nostro futuro sia luminoso.



Alex Munyere
www.albinismo.it