L’invidia distrugge chi la nutre, è questo il tema di questa della favola africana . Tratto dal libro “Fiabe dell’Africa”, curato dalla Onlus Thiaroye sur Mer, il racconto mette in scena soggetti quotidiani come la ricchezza, l’invidia e la gelosia, nonché contenuti più profondi come la durezza della legalità e la bellezza del perdono.
Mancava poco al tramonto, il cielo, tutto colorato di arancio, prendeva in prestito dalla notte il suo travestimento più enigmatico. Nella città pervasa dal rumore di un torrente, un vecchio vicino a morire chiamò il suo unico figlio e gli disse: “Ascolta mia dolce creatura, presto ti lascerò per ricongiungermi con i nostri antenati. Ho pensato a te, io ti lascio in eredità il gallo meraviglioso che ha fatto la fortuna di mio padre, affinché assicuri anche per te la ricchezza. Grazie a lui potrai avere una vita felice e fare sempre l’elemosina ai poveri. Non è un gallo che si incontra in tutti i pollai. Da più generazioni viene tramandato di padre in figlio. Tu veglierai d’ora in poi su di lui con molto impegno”. Morto che fu il padre, il figlio organizzò un grandioso funerale dove convocò i parenti e gli amici.
Trascorso il periodo del lutto, il giovanotto decise di partecipare col suo gallo da combattimento a molti tornei, dove si trovò a lottare con i migliori galli del mondo. Per molti anni il gallo vinse tutti i combattimenti, procurando al suo proprietario fortuna e considerazione. Tutti i re lo volevano comprare, ma egli non accettò di sbarazzarsene nemmeno quando glielo avrebbero acquistato a peso d’oro. Diventato potente e ricco, costruì un immenso palazzo sulle rovine della sua vecchia capanna di paglia. Aveva tanti servi e procurava molto lavoro alla gente che aveva d’intorno. Creò una scuola per i fanciulli del villaggio dove apprendevano la conoscenza di molte discipline.
Questo successo non avvenne senza suscitare molte gelosie! Una sua vicina, invidiosa della sua felicità, decise di rendergli la vita più dura. Ella ebbe l’idea di seminare del mais da portare al gallo e questi si precipitò sui chicchi appetitosi e non smise di mangiarli finché non fu sazio: diventò così grasso che poteva appena camminare.
Fu a quel punto che la crudele donna andò a far visita al suo vicino e gli disse: “Il tuo gallo ha rubato il mio mais e non mi è rimasto niente da mangiare”.
Il giovane, imbarazzato, rispose: “Cara amica, calmati, ti pagherò il tuo mais!”
“No!” esclamò lei “no, no e poi no! Io rivoglio il mio mais, quello che il tuo gallo ha mangiato! Uccidi il tuo gallo e rendimi il mio mais!”.
L’atmosfera era tesissima, piena di elettricità, come quando sta per scatenarsi un temporale. L’ingannatrice, piena di collera, resa cieca dalla cupidigia, si mostrò irremovibile. Disperato il giovane gli offrì tutte le sue ricchezze, il suo palazzo, i suoi gioielli, i suoi diamanti, al fine di salvare il gallo, ma non servì a farle cambiare idea. Imperturbabile, la donna considerava la sua decisione non negoziabile. Il problema fu portato davanti al garante della legge che ascoltò la discussione. Gelosi come erano, tutti i membri della Giuria richiesero la morte del colpevole che con la pancia piena sonnecchiava nell’orto; andarono a prenderlo e lo sbuzzarono.
I chicchi di mais furono restituiti alla proprietaria ma intanto il povero volatile, non resistendo alle ferite, morì. Crudelmente provato da questa ingiustizia, il giovane deperì a vista d’occhio. Colpito dal dolore, era distrutto e ogni giorno più triste. Sotterrò in segreto il cadavere del gallo dietro il suo palazzo e, ferito nel profondo dell’animo, si rinchiuse per molti mesi nella sua abitazione. Un giorno, nel posto dove riposava il gallo, nacque un mango dai frutti allettanti. La vicina invidiosa, che era ghiotta e sfrontata, andò a chiedere un frutto al proprietario del mango, che non rifiutò. La donna fece venire il suo unico figlio e lo spinse a mangiarne anche lui. Così ne colsero molti, al posto di uno solo.
Il giorno dopo, al levarsi del sole, in assenza del proprietario dell’albero, il figlio della donna cattiva andò di nuovo, questa volta senza autorizzazione, a cogliere i deliziosi frutti. Salito in cima al mango, sceglieva quelli più maturi e li mangiava, ma stupidamente lasciava cascare i noccioli e le bucce in terra. Il proprietario dell’albero, tornando dalla sua passeggiata, si accorse del fanciullo appollaiato lassù su un ramo dell’albero; questi masticava un frutto e sembrava completamente indifferente alla sua presenza. A un tratto un mango, sfuggito dalle mani del ladruncolo, cascò sulla testa del proprietario. Furioso e assetato di vendetta, l’uomo batté il gong e radunò tutto il villaggio.
Appena tutti furono riuniti, egli dichiarò minaccioso: “Chi ha mangiato i miei manghi deve restituirmeli!” Tutti i presenti approvarono.
Informata dell’Assemblea, la madre del colpevole si presentò tutta trafelata e disse al proprietario: “Bene ti restituirò i tuoi frutti!”
Ma lui, ricordandosi della morte ingiusta del gallo, le disse “Oh donna, poiché la tua giustizia fu buona per il passato, questa lo sarà di nuovo in questo giorno. Io ti reclamo proprio quei frutti che sono stati mangiati da tuo figlio”.
Il Consiglio dei saggi riconobbe ch’egli era in diritto di esigere una giustizia equa. Piangendo e supplicando il suo vicino, la donna offrì tutti i suoi poveri beni in cambio della vita del figlio. Niente da fare, secondo la legge, il ragazzo doveva subire la stessa sorte del povero gallo. Tuttavia l’uomo dichiarò che era pronto a perdonare tutte le cattiverie passate. Egli si ritirò dunque nel suo palazzo, lasciando salvo il figlio della vicina.
Scioccata da tutta quella confusione, risparmiata dalla sorte, ma vergognandosi, la donna comprese che suo figlio doveva la vita a quest’uomo. Supplicò allora il cielo di liberarla della sua gelosia e dei suoi passati misfatti. Il destino le aveva dato una dolorosa lezione ed ella comprese infine che l’invidia distrugge chi la nutre. Il giorno dopo questo fatto, il mango cominciò a dare dei frutti d’oro. Si dice che ne fornisca ancora.
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