Translate

24 settembre 2017

HAWA ABDI : LA DONNA DELLA SPERANZA

Hawa Abdi, prima attivista somala per i diritti umani, riconosciuta a livello mondiale, la prima ginecologa somala che ha deciso di dedicare la sua esistenza alle donne del suo paese e alla difesa dei diritti umani. Per la gente del posto è Mama Hawa, la donna che ha cambiato la vita a molte somale sfollate, marginalizzate e vittime di abusi sessuali.

Nasce a Mogadiscio nel 1947, figlia di un impiegato portuale, si trasferisce a Kiev dove, grazie ad una borsa di studio sovietica, riesce a laurearsi in Medicina e poi in Giurisprudenza. Nel 1983 apre un ambulatorio nella fattoria di famiglia, posta nei pressi della Rural Health and Development Organization e, costretta a fare i conti con l’iniziale diffidenza della gente del luogo, Hawa inizia la sua attività.

Su autorizzazione eccezionalmente concessa dal dittatore Siad Barre, Hawa riesce a costruire una sala operatoria che consentiva di praticare il parto cesareo, sala, che diventa successivamente un vero e proprio ospedale e che oggi ospita una scuola frequentata da oltre 800 bambini e un consultorio.

Hawa è cresciuta con la nonna, che le ha insegnato a lavorare sodo seguendo il motto “lavorare ti riempie”; da bambina, dedicava le prime ore del mattino alla preghiera e ai lavori nella fattoria di famiglia. Sceglie di diventare medico per poter aiutare le donne a superare il parto senza dover necessariamente mettere a repentaglio la propria esistenza, per difendere i diritti umani in una zona dilaniata dalla guerra civile e per aiutare il popolo femminile che in Somalia subisce continui abusi.

Il Paese ancora pratica sulle donne mutilazioni genitali come l’infibulazione, di cui la stessa Hawi è stata vittima a soli 7 anni. Il 98% delle donne somale risulta infibulata, un numero elevatissimo che concede alla Somalia l’appellativo di ‘Paese delle donne cucite’. Sebbene non abbia alcuna collocazione religiosa, nei paesi di stampo islamico la pratica è considerata essenziale per preservare l’illibatezza delle donne.
Una donna non infibulata è considerata impura, avrà difficoltà nel trovare marito e rischierà l’emarginazione. Con questa barbara pratica alle donne è vietato ogni rapporto sessuale sino al matrimonio. Il compito della defibulazione è, infatti, assegnato allo sposo che vi provvede prima di “consumare” il matrimonio. La donna, però, viene re infibulata dopo ogni parto per conservare la situazione prematrimoniale.
Questa pratica rappresenta una vera e propria privazione della dignità e dei diritti umani nonché un vero assalto alla salute, poiché, le implicazioni di natura igienico –sanitaria non sono davvero trascurabili. Il rischio di cistiti, infezioni vaginali e di altra natura è sempre dietro l’angolo.
L’infibulazione, inoltre, rende ostico e pericoloso il parto, sia per il nascituro che per la partoriente, in quanto il feto è costretto ad attraversare un ampio tessuto cicatriziale molto meno elastico rispetto alla naturale consistenza del tessuto della donna.

Nel 1991, quando la guerra civile devasta la patria di Mama Hawa, l’ospedale dove lavora instancabilmente diventa un vero e proprio campo per l’accoglienza dei profughi di guerra, ospitando circa 90.000 persone. Cosa che porta l’assegnazione alla dottoressa del premio UNHCR per i rifugiati, istituito nel 1957 e concesso di volta in volta a personaggi che si distinguono per l’aiuto ai rifugiati.
L’esperienza di Mama Abdi è raccontata nell’autobiografia “Tener Viva la Speranza”,  un libro che racconta 30 anni di abusi; ma ciò nonostante, lancia un messaggio di speranza. Hawa ha fatto grandi cose nella sua terra combattendo contro l’egoismo degli uomini, da quella dei capi della guerra a quella di suo marito passando attraverso la detenzione ad opera delle milizie islamiche.


La ‘Madre Teresa della Somalia’, come la chiamano i più, ha sacrificato la propria vita cedendo alle milizie di Hizbul Islam pur di non spostarsi dalla guardia della stanza in cui le sue pazienti alloggiavano. Lei stessa afferma che se avesse abbandonato la camera, come imposto dalle milizie, tutte le donne presenti avrebbero subito abusi sessuali da parte dei militanti. La donna fu rilasciata subito dopo che le figlie allertarono i media.

Molte sono le personalità che hanno riconosciuto il grande lavoro di Mama Hawi: George Bush ha voluto stringerle la mano nel suo laboratorio; Hilary Clinton ha ringraziato personalmente la donna durante il summit Women in The World organizzato da NewsWeek. Nel Giugno 2012 invece, è Angelina Jolie, in veste di ambasciatore Onu per l’Alta Commissione per i Rifugiati, a raccontare la sua storia al mondo e a fare il suo nome per il premio Nobel per la pace.

Il contributo instancabile di questa donna è lodevole. I piccoli che Hawa ha fatto nascere sono chiamati i ‘bambini di Mama Hawa’ e molti di essi ora frequentano la sua scuola. L’impegno di Hawa Abdi e delle sue figlie è costante e chiunque volesse partecipare a questa grande impresa può dare il suo contributo al sito della fondazione: http://www.dhaf.org/.




Maria Giuseppina Buono 
http://www.cinquecolonne.it/

06 settembre 2017

“IL GALLO MERAVIGLIOSO”. POTERE E INVIDIA IN UNA FAVOLA AFRICANA

L’invidia distrugge chi la nutre, è questo il tema di questa della favola africana . Tratto dal libro “Fiabe dell’Africa”, curato dalla Onlus Thiaroye sur Mer, il racconto mette in scena soggetti quotidiani come la ricchezza, l’invidia e la gelosia, nonché contenuti più profondi come la durezza della legalità e la bellezza del perdono.

Mancava poco al tramonto, il cielo, tutto colorato di arancio, prendeva in prestito dalla notte il suo travestimento più enigmatico. Nella città pervasa dal rumore di un torrente, un vecchio vicino a morire chiamò il suo unico figlio e gli disse: “Ascolta mia dolce creatura, presto ti lascerò per ricongiungermi con i nostri antenati. Ho pensato a te, io ti lascio in eredità il gallo meraviglioso che ha fatto la fortuna di mio padre, affinché assicuri anche per te la ricchezza. Grazie a lui potrai avere una vita felice e fare sempre l’elemosina ai poveri. Non è un gallo che si incontra in tutti i pollai. Da più generazioni viene tramandato di padre in figlio. Tu veglierai d’ora in poi su di lui con molto impegno”. Morto che fu il padre, il figlio organizzò un grandioso funerale dove convocò i parenti e gli amici.

Trascorso il periodo del lutto, il giovanotto decise di partecipare col suo gallo da combattimento a molti tornei, dove si trovò a lottare con i migliori galli del mondo. Per molti anni il gallo vinse tutti i combattimenti, procurando al suo proprietario fortuna e considerazione. Tutti i re lo volevano comprare, ma egli non accettò di sbarazzarsene nemmeno quando glielo avrebbero acquistato a peso d’oro. Diventato potente e ricco, costruì un immenso palazzo sulle rovine della sua vecchia capanna di paglia. Aveva tanti servi e procurava molto lavoro alla gente che aveva d’intorno. Creò una scuola per i fanciulli del villaggio dove apprendevano la conoscenza di molte discipline.

Questo successo non avvenne senza suscitare molte gelosie! Una sua vicina, invidiosa della sua felicità, decise di rendergli la vita più dura. Ella ebbe l’idea di seminare del mais da portare al gallo e questi si precipitò sui chicchi appetitosi e non smise di mangiarli finché non fu sazio: diventò così grasso che poteva appena camminare.

Fu a quel punto che la crudele donna andò a far visita al suo vicino e gli disse: “Il tuo gallo ha rubato il mio mais e non mi è rimasto niente da mangiare”.
Il giovane, imbarazzato, rispose: “Cara amica, calmati, ti pagherò il tuo mais!”
“No!” esclamò lei “no, no e poi no! Io rivoglio il mio mais, quello che il tuo gallo ha mangiato! Uccidi il tuo gallo e rendimi il mio mais!”.

L’atmosfera era tesissima, piena di elettricità, come quando sta per scatenarsi un temporale. L’ingannatrice, piena di collera, resa cieca dalla cupidigia, si mostrò irremovibile. Disperato il giovane gli offrì tutte le sue ricchezze, il suo palazzo, i suoi gioielli, i suoi diamanti, al fine di salvare il gallo, ma non servì a farle cambiare idea. Imperturbabile, la donna considerava la sua decisione non negoziabile. Il problema fu portato davanti al garante della legge che ascoltò la discussione. Gelosi come erano, tutti i membri della Giuria richiesero la morte del colpevole che con la pancia piena sonnecchiava nell’orto; andarono a prenderlo e lo sbuzzarono.

I chicchi di mais furono restituiti alla proprietaria ma intanto il povero volatile, non resistendo alle ferite, morì. Crudelmente provato da questa ingiustizia, il giovane deperì a vista d’occhio. Colpito dal dolore, era distrutto e ogni giorno più triste. Sotterrò in segreto il cadavere del gallo dietro il suo palazzo e, ferito nel profondo dell’animo, si rinchiuse per molti mesi nella sua abitazione. Un giorno, nel posto dove riposava il gallo, nacque un mango dai frutti allettanti. La vicina invidiosa, che era ghiotta e sfrontata, andò a chiedere un frutto al proprietario del mango, che non rifiutò. La donna fece venire il suo unico figlio e lo spinse a mangiarne anche lui. Così ne colsero molti, al posto di uno solo.


Il giorno dopo, al levarsi del sole, in assenza del proprietario dell’albero, il figlio della donna cattiva andò di nuovo, questa volta senza autorizzazione, a cogliere i deliziosi frutti. Salito in cima al mango, sceglieva quelli più maturi e li mangiava, ma stupidamente lasciava cascare i noccioli e le bucce in terra. Il proprietario dell’albero, tornando dalla sua passeggiata, si accorse del fanciullo appollaiato lassù su un ramo dell’albero; questi masticava un frutto e sembrava completamente indifferente alla sua presenza. A un tratto un mango, sfuggito dalle mani del ladruncolo, cascò sulla testa del proprietario. Furioso e assetato di vendetta, l’uomo batté il gong e radunò tutto il villaggio.

Appena tutti furono riuniti, egli dichiarò minaccioso: “Chi ha mangiato i miei manghi deve restituirmeli!” Tutti i presenti approvarono.

Informata dell’Assemblea, la madre del colpevole si presentò tutta trafelata e disse al proprietario: “Bene ti restituirò i tuoi frutti!”
Ma lui, ricordandosi della morte ingiusta del gallo, le disse “Oh donna, poiché la tua giustizia fu buona per il passato, questa lo sarà di nuovo in questo giorno. Io ti reclamo proprio quei frutti che sono stati mangiati da tuo figlio”.

Il Consiglio dei saggi riconobbe ch’egli era in diritto di esigere una giustizia equa. Piangendo e supplicando il suo vicino, la donna offrì tutti i suoi poveri beni in cambio della vita del figlio. Niente da fare, secondo la legge, il ragazzo doveva subire la stessa sorte del povero gallo. Tuttavia l’uomo dichiarò che era pronto a perdonare tutte le cattiverie passate. Egli si ritirò dunque nel suo palazzo, lasciando salvo il figlio della vicina.

Scioccata da tutta quella confusione, risparmiata dalla sorte, ma vergognandosi, la donna comprese che suo figlio doveva la vita a quest’uomo. Supplicò allora il cielo di liberarla della sua gelosia e dei suoi passati misfatti. Il destino le aveva dato una dolorosa lezione ed ella comprese infine che l’invidia distrugge chi la nutre. Il giorno dopo questo fatto, il mango cominciò a dare dei frutti d’oro. Si dice che ne fornisca ancora.

frontierenews.it