Hawa Abdi, prima attivista somala per i diritti umani, riconosciuta a livello mondiale, la prima ginecologa somala che ha deciso di dedicare la sua esistenza alle donne del suo paese e alla difesa dei diritti umani. Per la gente del posto è Mama Hawa, la donna che ha cambiato la vita a molte somale sfollate, marginalizzate e vittime di abusi sessuali.
Nasce a Mogadiscio nel 1947, figlia di un impiegato portuale, si trasferisce a Kiev dove, grazie ad una borsa di studio sovietica, riesce a laurearsi in Medicina e poi in Giurisprudenza. Nel 1983 apre un ambulatorio nella fattoria di famiglia, posta nei pressi della Rural Health and Development Organization e, costretta a fare i conti con l’iniziale diffidenza della gente del luogo, Hawa inizia la sua attività.
Su autorizzazione eccezionalmente concessa dal dittatore Siad Barre, Hawa riesce a costruire una sala operatoria che consentiva di praticare il parto cesareo, sala, che diventa successivamente un vero e proprio ospedale e che oggi ospita una scuola frequentata da oltre 800 bambini e un consultorio.
Hawa è cresciuta con la nonna, che le ha insegnato a lavorare sodo seguendo il motto “lavorare ti riempie”; da bambina, dedicava le prime ore del mattino alla preghiera e ai lavori nella fattoria di famiglia. Sceglie di diventare medico per poter aiutare le donne a superare il parto senza dover necessariamente mettere a repentaglio la propria esistenza, per difendere i diritti umani in una zona dilaniata dalla guerra civile e per aiutare il popolo femminile che in Somalia subisce continui abusi.
Il Paese ancora pratica sulle donne mutilazioni genitali come l’infibulazione, di cui la stessa Hawi è stata vittima a soli 7 anni. Il 98% delle donne somale risulta infibulata, un numero elevatissimo che concede alla Somalia l’appellativo di ‘Paese delle donne cucite’. Sebbene non abbia alcuna collocazione religiosa, nei paesi di stampo islamico la pratica è considerata essenziale per preservare l’illibatezza delle donne.
Una donna non infibulata è considerata impura, avrà difficoltà nel trovare marito e rischierà l’emarginazione. Con questa barbara pratica alle donne è vietato ogni rapporto sessuale sino al matrimonio. Il compito della defibulazione è, infatti, assegnato allo sposo che vi provvede prima di “consumare” il matrimonio. La donna, però, viene re infibulata dopo ogni parto per conservare la situazione prematrimoniale.
Questa pratica rappresenta una vera e propria privazione della dignità e dei diritti umani nonché un vero assalto alla salute, poiché, le implicazioni di natura igienico –sanitaria non sono davvero trascurabili. Il rischio di cistiti, infezioni vaginali e di altra natura è sempre dietro l’angolo.
L’infibulazione, inoltre, rende ostico e pericoloso il parto, sia per il nascituro che per la partoriente, in quanto il feto è costretto ad attraversare un ampio tessuto cicatriziale molto meno elastico rispetto alla naturale consistenza del tessuto della donna.
Nel 1991, quando la guerra civile devasta la patria di Mama Hawa, l’ospedale dove lavora instancabilmente diventa un vero e proprio campo per l’accoglienza dei profughi di guerra, ospitando circa 90.000 persone. Cosa che porta l’assegnazione alla dottoressa del premio UNHCR per i rifugiati, istituito nel 1957 e concesso di volta in volta a personaggi che si distinguono per l’aiuto ai rifugiati.
L’esperienza di Mama Abdi è raccontata nell’autobiografia “Tener Viva la Speranza”, un libro che racconta 30 anni di abusi; ma ciò nonostante, lancia un messaggio di speranza. Hawa ha fatto grandi cose nella sua terra combattendo contro l’egoismo degli uomini, da quella dei capi della guerra a quella di suo marito passando attraverso la detenzione ad opera delle milizie islamiche.
La ‘Madre Teresa della Somalia’, come la chiamano i più, ha sacrificato la propria vita cedendo alle milizie di Hizbul Islam pur di non spostarsi dalla guardia della stanza in cui le sue pazienti alloggiavano. Lei stessa afferma che se avesse abbandonato la camera, come imposto dalle milizie, tutte le donne presenti avrebbero subito abusi sessuali da parte dei militanti. La donna fu rilasciata subito dopo che le figlie allertarono i media.
Molte sono le personalità che hanno riconosciuto il grande lavoro di Mama Hawi: George Bush ha voluto stringerle la mano nel suo laboratorio; Hilary Clinton ha ringraziato personalmente la donna durante il summit Women in The World organizzato da NewsWeek. Nel Giugno 2012 invece, è Angelina Jolie, in veste di ambasciatore Onu per l’Alta Commissione per i Rifugiati, a raccontare la sua storia al mondo e a fare il suo nome per il premio Nobel per la pace.
Il contributo instancabile di questa donna è lodevole. I piccoli che Hawa ha fatto nascere sono chiamati i ‘bambini di Mama Hawa’ e molti di essi ora frequentano la sua scuola. L’impegno di Hawa Abdi e delle sue figlie è costante e chiunque volesse partecipare a questa grande impresa può dare il suo contributo al sito della fondazione: http://www.dhaf.org/.
Maria Giuseppina Buono
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