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28 giugno 2017

I BAMBINI DI STRADA DI KINSHASA SI RACCONTANO IN RADIO


KINSHASA – Cecilia prende il microfono in mano. Le cuffie grandi sulle orecchie. La piccola stanza che funge da stazione radio nel trafficato mercato di Gambela nella periferia di Kinshasa è pieno di ragazzi di strada come Cecilia. L’argomento principale del loro programma radiofonico questa settimana è rappresentato dalla violenza e dagli abusi all’interno delle famiglie adottive – di cui Cecilia ne sa abbastanza. Lei ed i suoi amici hanno fatto il il sound-check, preparato i registratori audio, i microfoni e la trasmissione è iniziata.

“La gente dovrebbe trattare i bambini adottati come i loro”, ha iniziato a dire Cecilia al microfono in maniera professionale. “Quando hanno un bambino in casa che non è biologicamente il loro, non dovrebbero considerarlo uno schiavo domestico.” I suoi giovani compagni di radio annuivano e la incitavano. Con migliaia di persone sintonizzate, la quindicenne Cecilia ha iniziato a raccontare la sua storia.
La vita non è stata facile per Cecilia dal momento in cui nel 2009 è rimasta orfana. La maggior parte dei suoi parenti ed i suoi fratelli maggiori erano in Angola, incapaci di aiutarla e di sostenerla. Ancor prima di essere in grado di elaborare la perdita improvvisa dei suoi genitori in età prematura, Cecilia si ritrovò senza casa e per strada.  Due settimane dopo l’inizio della sua vita per le strade, una donna si avvicinò. “Sei troppo bella per stare in strada”, ha detto a Cecilia. “Vieni a casa con me e ti renderò mia figlia”. Inizia così la vita di Cecilia da “schiava domestica”.
Per sei anni ha sperimentato abusi fisici, verbali e sessuali nella casa in cui è stata adottata. Ricevendo pochissimo cibo rispetto agli altri bambini in casa e dormendo sul pavimento. Un giorno la mamma adottiva l’ha picchiata tanto forte da romperle i denti anteriori. Questo incidente è stata l’ultima goccia per Cecilia. Quel giorno ha deciso di scappare e tornare in strada, nonostante i rischi di questo stile di vita.

Ci sono 25.000 bambini per le strade di Kinshasa come Cecilia e questi numeri,
secondo l’UNICEF, sono quasi raddoppiati negli ultimi dieci anni. L’espansione urbana di Kinshasa, insieme agli alti tassi di fertilità nella RDC, hanno permesso che il numero dei bambini di strada nella capitale congolese, popolata da oltre 10 milioni di abitanti, crescesse. In una fragile economia post-conflitto, i bambini che vivono in strada sono vulnerabili al reclutamento come bambini soldato, per il lavoro illegale in miniera, per lo sfruttamento sessuale o la stregoneria. Senza prospettive economiche o opportunità di istruzione, molti bambini elemosinano soldi e cibo, altri sono coinvolti nel lavoro minorile o nel crimine.

Da criminali a lavoratori nella comunità
Joachim Ambambo, 37 anni, ex bambino di strada, non ha paura di ammettere che è stato coinvolto in attività criminali. Ma dopo aver trascorso sei anni nel carcere minorile, ha stravolto la sua vita decidendo di dedicarsi alla comunità dei bambini di strada di Kinshasa. “Ci sono molti bambini di strada a Kinshasa. Molti di loro lavorano e dormono nei pressi del mercato di Gambela”, ha detto Ambambo. “Questi bambini vengono etichettati e sono vittime di pregiudizi. I commercianti o le persone all’interno del mercato non li trattano bene. A volte la polizia li picchia. E se c’è un crimine nella zona, i primi sospetti ricadono su di loro”.
Dopo aver patito sulla propria pelle quello che significa essere un bambino di strada, Ambambo ha capito che uno dei modi più efficaci per fare la differenza in questa comunità sarebbe stato quello di rendere i bambini di strada protagonisti. Era anche consapevole del potere della radio, in quanto tutti nel mercato di Gambela sono sintonizzati sulle stazioni radio locali. Così, in collaborazione con Children’s Radio Foundation, è nato il programma radiofonico Mungongo ya Mwana – che significa la voce di un bambino in lingala [lingua bantu parlata nella Repubblica Democratica del Congo].

Dal mese di marzo 2016, gli abitanti di Kinshasa ogni domenica si sintonizzano su questa stazione radio ed ascoltano le voci dei bambini di strada che vedono passare ogni giorno. Il progetto Mungongo ya Mwana ha formato 17 bambini di strada nel 2015 di età compresa tra 12 e 17 anni. “La radio è incredibilmente a buon mercato e facile da imparare”, ha detto Clemence Petit-Perrot, il direttore del programma di Children’s Radio Foundation. “[I bambini di strada] possono passare dal nulla alla piena produzione in soli cinque giorni. Produrre il proprio programma radiofonico e sentire la propria voce alla radio è qualcosa di molto potente per loro. Inoltre fornisce competenze nuove e preziose” ha detto Petit -Perrot.
Oltre a fornir loro nuove abilità, la radio può creare risultati tangibili per migliorare la vita quotidiana dei bambini di strada a Kinshasa. “La sfera personale è potente”, ha aggiunto Petit-Perrot. “Le opinioni delle persone [sui bambini di strada] che ascoltano questo programma sono cambiate da quando sentono in prima persona le loro storie. [Gli ascoltatori] non li etichettano più solo come ladri o prostitute. I bambini sono diventati attori, sono usciti dall’ombra. Anche l’atteggiamento della polizia intorno al mercato inizia a cambiare.” Attraverso Mungongo ya Mwana, il pubblico può anche cominciare a vedere le complesse realtà che si nascondono dietro alcune delle decisioni prese da questi bambini.

La radio come forma di riabilitazione 
Chloe, una reporter sedicenne del programma Mungongo ya Mwana, è nel giro della prostituzione. Attraverso la piattaforma radiofonica ha spiegato i motivi che l’hanno spinta a prendere questa decisione. Chloe è una tra i pochi bambini di strada che hanno una famiglia, ma è scappata di casa e non tornerà mai più. Sua sorella voleva obbligarla a sposare un uomo più grande di lei di molti anni – ma Chloe non ha accettato. “Preferirei essere per le strade e rischiare di subire abusi sessuali piuttosto che sposare un anziano” ha detto. “Se devo scegliere, preferisco essere una prostituta piuttosto che una giovane moglie.”

Nonostante la diffusione della rete e dell’accesso ad internet, la radio rimane il mezzo di comunicazione maggiormente disponibile a livello globale. Soprattutto in Africa, la radio è la prima scelta di comunicazione, con oltre l’80 per cento della popolazione che può accedervi. Le radio comunitarie sono decollate in tutta l’Africa e si sono sviluppate del 1.386 per cento tra il 2000 e il 2006. “La radio è a buon mercato, portatile e può funzionare senza elettricità, ciò la rende particolarmente importante nei Paesi che non hanno una fornitura di corrente elettrica affidabile”, ha detto Claudia Abreu Lopes, la direttrice del settore ricerca presso Africa’s Voices, un’organizzazione focalizzata sullo sviluppo della comunicazione in Africa. “Anche nelle zone rurali o remote, quasi tutti utilizzano i telefoni cellulari, attraverso i quali possono avere accesso alla radio.” Ancora più importante: la radio significa comunità, dialogo ed uno stimolo al cambiamento sociale, ha spiegato Lopes. “Le radio comunitarie centralizzano le informazioni ed il dialogo.
L’esistenza di queste iniziative dà alle persone uno strumento per parlare. Quando le persone esprimono una qualsiasi insoddisfazione su una radio comunitaria, si può attivare un meccanismo di mobilitazione di massa”. “La formazione e le competenze che la radio dà alle donne e ai gruppi emarginati consente di avere un nuovo status”, ha aggiunto Lopes. Quando i bambini di strada, come Cecilia e Chloe, raccontano le loro storie in radio, credono che la comunità con cui interagiscono ogni giorno inizi a vederle con occhi diversi. Detto questo, una volta che il programma settimanale è finito, Cecilia, Chloe e gli altri tornano per le strade, alla loro realtà quotidiana.

Cecilia è davvero alla moda. Vorrebbe un giorno diventare una stilista e creare il suo proprio marchio. Allo stesso modo, Chloe vuole andare a scuola e non vuole essere una prostituta, se si riescono a trovare delle alternative migliori a quella di essere una moglie non consenziente. Anche se hanno a cuore la possibilità di diventare reporter o giornalisti, le loro prospettive educative ed economiche per il futuro rimangono molto limitate.
“I bambini di strada vivono una realtà già molto dura. La nostra comunità dovrebbe riconoscerlo e trattarci con un particolare gentilezza invece di renderci la vita più difficile", ha concluso Cecilia, mentre finiva la trasmissione settimanale di Mungongo ya Mwana. 

Non si sa se un giorno avrà una casa o se frequenterà quella scuola di moda. Ma almeno, ha avuto l’occasione di raccontare la sua storia.

Fonte: Aljazeera.com

20 giugno 2017

I FIGLI DI NESSUNO. L'AFRICA DEI BAMBINI DI STRADA



Sta correndo alla velocità che i suoi nove anni gli permettono, non vuole farsi prendere, non può. Stringe al petto un sacchetto di arachidi, il suo bottino. Ma cento grandi mani sono già pronte a bloccare la sua fuga e a dare inizio al rito delle botte forti e impietose. La storia di Jacop è la solita storia di fango, fame, mosche. È uno dei tantissimi enfants des rues che hanno preso casa nelle strade della Repubblica Centrafricana. Dodicimila se ne contavano nel 2009 nella sola capitale Bangui. E oggi se ne è perso il conto.

Monsieur Evariste, assistente sociale ivoriano, scappato dalla sua terra in guerra e arrivato nel quinto paese più povero del mondo, ora prova ad occuparsi di loro. Racconta che è la presenza dei ribelli a Birao, nel nord del paese, a contribuire, dal 2000, alle continue migrazioni verso la capitale, unica zona in cui è garantita una provvisoria sicurezza. Aggiunge anche che, all’affollamento della città come alla miseria, sono imputabili le situazioni di sporca promiscuità dove sessualità e infanzia sono un triste quanto diffuso binomio. I risultati sono madri con solo 9 anni di differenza dal loro nascituro e dodicenni con l’AIDS.

Ma a popolare le strade oltre ai bambini abbandonati da mamme-bambine, agli orfani che dormono tra il fango, a pochi centimetri dalle fogne a cielo aperto, ci sono anche gli enfants des rues “diurni”. Sono quelli che, mentre la madre è fuori a cercare cibo da qualche parte e il padre con una birra in mano barcolla da un’altra, rubacchiano e spacciano finché non tramonta il sole. Anzi il mercato della droga predilige questi piccoli che devono portare a casa qualche soldo e ne fa i suoi privilegiati corrieri per la vendita delle dosi di marijuana e di altre sostanze che vengono  importate dal Ciad,  dal Sudan e dal Camerun.


Anche qui come gli altri sparsi nel mondo, i figli di nessuno si organizzano in clan e cercano di sopravvivere. Al PK5, il più grande mercato rionale del paese, li si vede dappertutto; vivi e vivaci con i piccolini di 4-5 anni per mano, pronti a rubarsi il pranzo. Oppure morti, picchiati a sangue e lasciati soli con le mosche, vicino alla bancarelle dei tessuti. “Perché qui”, ripete più volte l’assistente sociale, “sono il capro espiatorio di tutto e di tutti”. Quando c’è una rapina, quando va a fuoco un carretto o non si trova più un paio di infradito si cercano loro, subito, e se sopravvivono alla folle violenza della gente del mercato, vengono portati nelle prigioni di stato dove condividono la cella con detenuti adulti e dove, quindi, si sprecano gli episodi di violenza sessuale destinati a rimanere impuniti. Non per niente il carcere è l’unica struttura che lo stato predispone per far fronte alla situazione dei bambini di strada.

Per sopperire a questa mancanza, grazie alla solidarietà internazionale raccolta da quella locale, si sono costituiti 7 centri, di cui “La voix du coeur” che si occupa del recupero dei bambini soldato. Fledì, il responsabile di uno dei centri d’accoglienza, ad esempio, si avvicina agli enfants incontrandoli per strada e offrendo loro del sapone. In un secondo momento li invita a raggiungerlo nel capannone dove è in grado di offrirgli un riparo per la notte. Solo il mercoledì, però. Solo una volta alla settimana perché l’affitto della tettoia è troppo costoso per il suo stipendio da educatore centrafricano. Altre strutture, perlopiù di matrice cattolica, hanno invece la possibilità di fornire un’ospitalità  completa che in alcuni casi prevede anche la formazione didattica e professionale.

Ma quando anche in questi orfanotrofi il limite capienza diventa un problema, si cerca almeno di offrire agli enfants un pacchetto scolastico che comprenda il servizio mensa. O meglio un servizio mensa che ne comprenda uno didattico. Perché, lo sanno bene gli educatori, i bambini  sono disposti a lasciare per qualche ora la loro strada e a seguire le lezioni solo e soprattutto per la promessa di un pasto.

Alcuni di loro, in questo modo, imparano il francese e si salvano dalla miseria culturale che parla il Sangò, il dialetto locale, e che cancella i diritti perché li rende inascoltabili. Devì, Annalise, Francois, dodici anni in tre, sono tra questi “fortunati” che vanno a scuola. E infatti canticchiano una filastrocca in francese mentre scelgono, tra il puzzo dei rifiuti, lo sporco della fogna, gli avanzi di una giornata di mercato, il loro giaciglio.

Miryam Scandola
ilnazionale.net
2 ottobre 2012

12 giugno 2017

12 GIUGNO, GIORNATA MONDIALE CONTRO IL LAVORO MINORILE - 168 MILIONI I BAMBINI COINVOLTI


In tutto il mondo, oltre 1,5 miliardi di persone vivono in paesi colpiti da conflitti, violenze e fragilità. Allo stesso tempo, circa 200 milioni di persone sono colpite da disastri ogni anno. Un terzo di questa popolazione sono bambini. E una parte significativa dei 168 milioni di bambini impegnati nel lavoro minorile vive in aree colpite da conflitti e disastri. A fornire stime impressionanti sullo sfruttamento lavorativo dei bambini è l'Ilo, l'organizzazione mondiale del lavoro. Proprio oggi sI celebra la Giornata mondiale contro il lavoro minorile che quest'anno si concentra sull'impatto dei conflitti e delle catastrofi sul lavoro minorile.

"I conflitti e le catastrofi -spiega l'Ilo- hanno un impatto devastante sulle vite della gente. Uccidono, minacciano, feriscono, costringono le persone a fuggire dalle loro case, distruggono i mezzi di sussistenza, spingono la gente in povertà e fame e intrappolano le persone in situazioni in cui violano i loro diritti umani fondamentali".


"I bambini sono spesso i primi a soffrire, mentre le scuole sono distrutte e i servizi di base sono interrotti. Molti bambini sono sfollati o nel loro Paese, o diventano rifugiati in altri Paesi e sono particolarmente vulnerabili alla tratta e al lavoro minorile. In definitiva, milioni di bambini vengono spinti nel lavoro minorile da conflitti e disastri", aggiunge.

Mentre il mondo si sforza di eliminare il lavoro minorile entro il 2025, in questa Giornata mondiale contro il lavoro infantile, l'Ilo esorta a "unire le forze per porre fine al lavoro minorile in aree colpite da conflitti e disastri".