La tortuosa strada che attraversa i campi di grano nei pressi del villaggio greco di Idomeni è piena di persone che trasportano grandi borse sulle spalle e bambini in braccio.
Alex Yallop/MSF
Il flusso di arrivi continua giorno e notte, ma non più di una media di 150 persone al giorno (solo i siriani e gli iracheni che hanno la fortuna di avere un passaporto o una carta d'identità dal loro paese d'origine) può continuare il cammino da questo luogo e attraversare il confine con la Macedonia (FYROM), proseguendo verso l'Europa occidentale e settentrionale. Pochi se ne stanno andando, ma di più, molti di più continuano ad arrivare, solo per finire bloccati in quella che sta diventando un’insostenibile situazione umanitaria. Oggi, in un campo di transito che ha la capacità di ospitare 1500 persone, ce ne sono più di 11.000 stipate in trappola senza informazioni, in un mix di ansia e delusione.
Tra quelli bloccati al gelo del campo di Idomeni, molte sono famiglie.
Alex Yallop/MSF
Piman, che lavorava come insegnante d’inglese prima di lasciare la Siria, sta viaggiando da ormai due mesi. “Sono qui con la mia famiglia, dormiamo in queste piccole tende, non avremmo mai pensato di trovarci in una situazione orribile. Quando abbiamo lasciato la nostra città, i miei figli volevano portare i loro giocattoli e i libri ma io dicevo loro di non preoccuparsi, che avremmo preso giochi nuovi nella nostra nuova casa. Adesso continuano a chiedermi, dov’è la nostra nuova casa?”.
Nel campo di Idomeni la situazione è estremamente caotica.
Daniela, un’infermiera MSF a Idomeni, riassume così la situazione: “Ci sono confusione, stress e mancanza di informazioni affidabili. C’è un crescente sentimento di rabbia. Molti rifugiati stanno aspettando qui da oltre dieci giorni. Le persone sono davvero esauste”.
Nella clinica MSF che opera a Idomeni, arrivano costantemente intere famiglie, donne incinte e bambini, così come molte persone disabili e anziani che soffrono di malattie croniche.
Omar, un rifugiato palestinese che arriva dal campo siriano di Homs, è esausto: “Tutto questo mi rende molto nervoso, non so cosa succederà. L’attesa mi uccide. Ci sentiamo ignorati”.
“Sono qui da una settimana e non ho idea di quanto ancora dovrò rimanere. Il confine è chiuso e non ci permettono di passare. Il campo è invivibile. Orribile. Voglio trovare un modo sicuro di proseguire, voglio trovare un posto dove crescere mio figlio. Aiutateci a trovare un percorso sicuro”, ripete Mustafa, rifugiato dal nord della Siria che è arrivato a Idomeni con la moglie Zuzan e due giovani cugini. È una delle persone che sta dormendo su un letto. Non lo possiamo certo definire fortunato ma altre famiglie passano la notte all’esterno, al freddo e nel fango.
Alex Yallop/MSF
Intere famiglie si stringono intorno a un fuoco di fortuna per stare al caldo, mentre aspettano che trascorra la notte. Nello stesso momento, in un ospedale vicino al campo, Rula, donna di 30 anni da Aleppo, dà alla luce il suo secondo figlio, chiamato Abdulrahmane. È arrivata a Idomeni incinta, con il marito Fahad e il figlio di un anno, Oman, ma le sue acque si sono rotte mentre era nella clinica MSF e il team l’ha fatta trasferire all’ospedale.
Dal 27 febbraio al 1 marzo, le squadre mediche di MSF hanno condotto 756 visite. Le principali patologie riguardano le vie respiratorie e infezioni gastrointestinali (in relazione alle inadeguate condizioni dei servizi igienici). La maggior parte dei pazienti sono donne e bambini al di sotto dei cinque anni.
MSF sta fornendo ripari a oltre 4.000 persone e 34.000 pasti al giorno.
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