SE SOLO LE PAROLE POTESSERO FARSI SILENZIO
Il post di una razzista conquista il web: ma che paese di merda siamo?
(di errecinque)
Attenzione, questo è un post lungo. Lungo assai.
Anzi, già che mi trovo faccio una premessa così sicuro la leggete, pure se non arrivate in fondo all’articolo.
È di questi giorni la diffusione di un post (qui prima c’era un link al profilo, ora non più ma tanto il pezzo non esiste più e la tizia minaccia di denunciarmi anche se le ho offerto spazio per una rettifica, e lei ha rifiutato) che ha portato alla ribalta una tizia, il cui nome rimuovo da questo articolo perché, nonostante io lo abbia ripreso da un quotidiano, lei ritiene sia una ragione per ritenermi responsabile di pericolo per la sua incolumità. Questa persona, con piglio da eroina nazionale, ha narrato sul suo profilo facebook di un apocalittico viaggio dal Cilento a Napoli, dove avrebbe assistito inorridita alla rappresentazione plastica delle degenerazioni del nostro paese.
La notizia, lungi dall’essere il viaggio allucinante che la poverina ha dovuto fare (lo sappiamo tutti come sono i regionali di Trenitalia!) a quanto pare è che, mentre lei si godeva il suo viaggio, sarebbero saliti sullo stesso treno dei ragazzi di colore, vestiti come la brutta copia di 50cent, brandendo i loro I phone e che non avrebbero fatto il biglietto.
Tale è stata la diffusione di questo post che altro non è che una riproposizione trita e ritrita di moralismi razzisti e di affermazioni di dubbia umanità, che l’articolo in questione è stato ripreso dal Corriere del Mezzogiorno.
Uà, grande! Il CorMez si mette a parlare delle degenerazioni razziste del paese!
Manc’ po’ cazz.
Il Corriere riposta parte dell’articolo e lo commenta, come si trattasse di un fatto di cronaca (stiamo parlando di un gruppo di ragazzini che non fa il biglietto, se è vero!).
E lo commenta così:
“Erano in otto con lo stesso atteggiamento di quelli che a Milano hanno colpito
con un machete il ferroviere che gli aveva chiesto di mostrare il ticket.”
Lo stesso atteggiamento.
Un gruppo di ragazzini che sta in treno per i fatti propri viene accostato negli atteggiamenti a un gruppo di folli che taglia gli arti alla gente a colpi di machete.
Ma in che senso?
La spiegazione si fa più chiara sotto: “(…) questa storia, che sembra essere molto simile nelle premesse a quanto accaduto a Milano, dove un controllore è stato colpito con un machete da una gang di latinos perché aveva chiesto il biglietto”.
Cioè, sono uguali a quelli di Milano perché non hanno il biglietto.
Ora facciamo un giochino simpatico, non occorre una laurea in filosofia per farlo anche se forse può essere utile.
Una persona che non fa il biglietto usa il machete per punire un controllore colpevole solo di fare il suo lavoro;
Molte persone non fanno il biglietto;
Molte persone usano il machete per punire un controllore colpevole solo di fare il suo lavoro?
Non ci serve la logica, no, per dire che questo articolo riesce a superare lo status di riproposizione sterile di una polemica razzista per divenire addirittura una conferma e un ulteriore aggravamento della polemica in sé.
E lo avesse fatto pinco pallo, gli si potrebbe affibbiare la denominazione di idiota pazzo criminale. Il problema è che ‘sta roba è stata scritta su un giornale, da un maledetto coglione che si permette di manipolare le informazioni per diffondere messaggi ignoranti quanto lui.
Ovviamente, il pezzo non è firmato.
Ma torniamo all’eroina che ha dato inizio a questa storia di incredibile e coraggiosa denuncia sociale.
Ho deciso che la diffusione mediatica che quello ha avuto debba essere necessariamente ribaltata interamente per mostrare l’inconsistenza non solo di certe convinzioni, ma anche di un minimo di umanità e di intelligenza (diciamocelo!) in chi le asseconda e anzi ne incentiva la diffusione.
Quindi, visto che sono una cacacazzi di quelle peggiori, voglio analizzare di punto in punto il post.
“Giovedì viaggiavo su un treno direzione Napoli. Dal Cilento, dove vivo io, è un tragitto di circa due ore.”
Introduzione: elemento autobiografico, fideizzazione del lettore e introduzione dei fatti.
Alla fermata dopo la mia, salgono dei rumorosi
(rumorosi perché saltano? Cantano? Ballano? Che stanno facendo per fare rumore? Qual è l’elemento problematico connesso al loro rumore? Turbano la quiete pubblica? Sono rumorosi nel salire o continuano a fare rumore prendendo a pugni il treno? Suonano il tamburello?)
ragazzi di colore
(non “nir e merd”: politically correct, brava!)
(nella foto uno di loro).
(sul serio, credi di poter fotografare sconosciuti per strada e postare le loro foto in giro per diffamarli senza che gli sia consentito di difendersi? O la tua foto costituisce una prova? Perché dovrebbe esserlo? Sei più credibile di lui perché sei in Italia e tu sei italiana, eh? No, dico sul serio. Lo fai a cazzo di cane o perché pensi che resterai impunita perché tanto quando ti ribecca? Tu stai là, fai il tuo post di denuncia, quello manco saprà leggere e scrivere, figurati se si mette a leggere le tue perle intellettuali: lo puoi fotografare e postare, proprio come faresti con una scimmia allo zoo. Ma se il tizio si fosse accorto della cosa e si fosse incazzato? Avresti fatto un post sul fatto che eri stata aggredita immotivatamente sul treno Cosenza – Napoli da un gruppo di ragazzi di colore?)
Otto, per la precisione. E affollano il mio vagone.
(Nella foto fornita uno dei ragazzi “di colore” sta comodamente seduto: forse affollando il vagone avranno costretto degli italianissimi bianchi ad alzarsi per cedergli il posto. Lo sanno tutti come sono questi neri. O forse otto sono troppi a prescindere. Il vagone ha subito un’invasione).
Cappellini da baseball, catene d’oro pesanti, zaini Invicta, cuffie enormi appoggiate al collo e iPhone in mano. Tutti.
(Come si fa a riconoscere da lontano, spiando furtivamente, che tutti hanno lo stesso tipo di cellulare in mano? La signorina lavora per la Apple? Ha un rilevatore di Iphone?
Vabbè, facciamo finta di crederle. Tenevano l’iphone, ma so nir. Quello sta un sacco di soldi!
Se il tema è il cellulare che avevano in mano, gradirei sapere quale tipo era.
Tipo, un Iphone 4 costa 139 euro. Non sono poi tantissimi.
Oppure un cellulare puoi prenderlo pagando a rate: io stessa utilizzo un cellulare mediamente costoso, sicuramente al di sopra delle mie possibilità, e lo ripago con delle ricariche mensili. Conviene. Si te vuo’ fa’ telefon buono una soluzione si trova.
Comunque, è più plausibile che li abbiano comprati risparmiando per un paio di giorni sui 30 euro che lo stato gli passa ogni giorno. Oppure facendo le rapine. Magari hanno rapinato direttamente i telefoni)
Il controllore passa a chiedere i biglietti. A tutti noi.
(Ah, finalmente un italiano! Sicuro una brava persona, uno che fa il proprio lavoro onestamente)
A loro no, non chiede nulla.
(Ah, no)
Poco dopo, sale un altro controllore. Chiede anche a loro,
(assafa’!)
che ridevano e parlavano
(E se sei nero dovresti quanto meno evitare di parlare, e di ridere soprattutto. E che cazzo, noi ti ospitiamo e tu pensi di poter venire a ridere nel nostro paese?! In realtà, ancora nulla ci può dire che siano migranti del racconto. Né tanto meno che non siano italiani. In effetti per tutto il tempo non c’è un solo elemento che ci possa fornire la prova del fatto che i ragazzi in questione non siano nati sul suolo patrio. Ce ne rendiamo conto? Te ne rendi conto?- )
una lingua rumorosa e gutturale,
il biglietto.
(questa stava in treno con la famiglia di Pippo)
Solo uno glielo mostra. Era evidentemente vecchio e usato e strausato.
(Potremmo definire la nozione di “evidentemente”? Evidente agli occhi? E se lo teneva in tasca e si era maltrattato? E se invece fosse stata proprio nuovo, ma conservato a lungo? Io non dico di non mettere in dubbio la buona buona fede del neretto, ma almeno quella dell’italianissimo controllore, la possiamo difendere?)
Il controllore gli chiede, visto l’importo minimo sul titolo di viaggio: “Scendete a Salerno?”, loro annuiscono. Ovviamente a Salerno non scendono. Proseguono dritti verso Napoli.
(Solo i neri, ve lo giuro. Solo i neri. Lo sanno tutti. Qua tutti fanno – facciamo – i biglietti sempre sui mezzi. Pure quando c’hanno costi proibitivi, si sa. Non sia mai detto. Mi pare che tipo Napoli sia capitale europea degli obliteranti, l’ho letto su un blog).
Risate, pacche sulla spalla,
(Sta roba che dei ragazzi neri possano essere spensierati e contenti come i bianchi non si regge, davvero!)
occhiate alla ragazze che passano.
(E pure che siano eterossessuali e interessati al gentil sesso, in realtà, è un atteggiamento che poco si comprende)
Nessuno di loro era più basso del metro e ottanta, ed erano tutti in carne.
Poveri profughi che fuggono dalle guerre. Davvero, poverini. Come soffrono, è evidente ai più.
Ok questa è difficile da affrontare.
Il lato scherzoso di me vorrebbe continuare su questo stile e dire che intanto Lombroso non avrebbe potuto fare di meglio. Che il fatto di sfuggire da una guerra non implica di essere bassi e roba del genere.
Però poi penso che ci sta una signorina da qualche parte che crede che tutti quelli che sono neri sono profughi, e che in quanto profughi siano delle merde, che ci danneggino a prescindere e che sfuggire da una guerra deve necessariamente implicare essere deperiti e se è possibile bassini, e che per fuggire da un posto solo la guerra è una motivazione efficace, e che la sofferenza sia solo quella che lei tiene in testa, e chi non corrisponde alla sua immagine di bimbetto africano con la pancia gonfia e le mosche intorno può morire dovunque sia.
Penso che questa tizia sta veramente paragonando la sofferenza di chi fugge dall’inferno per venire qui a essere giudicato da una come lei, con quell’ignoranza insopportabile che non distingue migranti da profughi, che paragona chi scappa per salvarsi la vita a un gruppo di ragazzetti che, volendo proprio essere benpensanti e intransigenti, ha fatto una piccola bravata, e lo fa solo in virtù del colore della pelle.
Penso tutte queste cose, e penso che non ho nemmeno voglia di andare avanti con lo smontaggio puntuale di quest’articolo, che racconta della bullizzazione di una vecchietta da parte di un controllore perché non ha obliterato il biglietto mentre gli eroi cattivi, i cavalieri neri, se la cavano indenni. Volevo scherzare sul fatto che ‘sta “povera vecchietta” prima tiene il fiatone perché ha preso il treno di corsa (altro che vecchietta!) ma poi improvvisamente al terz’ultimo rigo, per far aumentare il pathos, diventa zoppicante. Ma non ce la faccio.
Non ce la faccio perché poi arriva la parte in cui si accosta la notizia (se il fatto che un gruppo di ragazzini non fa il biglietto in treno può essere definito una notizia) alla tragedia avvenuta a Milano del controllore mutilato da un gruppo di criminali. Criminali. Qualunque sia la loro provenienza geografica, il colore della loro pelle e il suono della loro lingua. Parliamo di questo. Di uomini e donne. Di merda e non.
E chi si permette di strumentalizzare tragedie del genere solo per veicolare messaggi di odio che hanno presa facile è ancora più criminale di loro.
Un’ignoranza, una superficialità nell’analisi delle cose che si superano solo quando la tizia invoca“la polizia ferroviaria sul treno, con le armi ben in vista”.
Le armi.
Secondo la signorina il modo in cui dobbiamo garantirci sicurezza (cioè, dobbiamo tenerci al sicuro da un gruppo di ragazzini con cattivo gusto nel vestire che non fanno i biglietti sui treni, sono pericolosissimi!) è tenere costantemente dei rambo a ogni angolo di strada.
E mi vengono i brividi. Mi vengono i brividi a immaginare il modello di società che si immagina questa tizia, perché mi fa pensare al modello di persona che lei ha come prototipo dell’umanità: quella società e quelle persone che hanno bisogno di essere regolate da gente armata anzi, “con le armi ben in vista”.
E anzi, si spinge oltre.
Dopo aver rivendicato l’esibizione delle armi come strumento di tutela della società, fa un processo in piena regola al sistema giudiziario italiano di una sommarietà che le BR a confronto erano garantiste, per decidere che fa schifo visto che quelli del machete sicuramente (così dice) usciranno domani a mozzare altri arti mentre in America gli sparerebbero a vista. “Senza manco dire mani in alto”.
Di questo stiamo parlando. Di una che auspica una società in cui se stai facendo qualcosa, anche di illecito, non ti sia neanche detto “mani in alto”. Che ti sparino e basta.
In realtà sono abbastanza certo che questo dipenda dal colore della tua pelle e dal tuo luogo di nascita, anche se lei qui non lo dice mai.
Dice però che stiamo subendo un’invasione senza precedenti. Che lei la vede.
Invasione dice, che è il mood, ormai. Questi ci stanno invadendo.
Non mi metto nemmeno a fornire tutti i dati per cui questa è una palese puttanata, voglio solo dire che se pure così fosse (e non è così), il fatto che ci sia gente che scappa per arrivare in un posto in cui viene trattata così dovrebbe farci riflettere.
«E’ bello vedere le stazioni di Roma Tiburtina e quella di Milano ridotte a campi di accoglienza con gente buttata per terra, sporco, piscio, pannolini di bambini e spazzatura ovunque? E cinquecento malati di scabbia arrivati freschi freschi con gli ultimi sbarchi, come li gestiamo? Come li curiamo? E dove?» dice. Diffondendo notizie false, parlando di cose che non può aver visto.
E che se fossero vere, dovrebbero suscitare vicinanza, empatia. Umanità. Non condanna. Non repulsione.
L’unica rabbia che una notizia del genere dovrebbe trasmettere è quella dell’impotenza, di chi sa che è ingiusto e non può fare molto, di chi si rende conto che non è dignitoso che degli esseri umani vivano così.
Tutto il resto è disumanità.
Ma del resto stiamo parlando di una che rivendica di essere razzista (“Sì, sono razzista”), e di essere stanca perché, a quanto pare, gli italiani subirebbero accanimenti in Italia, a favore dei migranti. E che, per questa ragione, lei vorrebbe “lo status di rifugiata di guerra, in Italia siamo in guerra, ormai. E sarà troppo tardi quando lo capiremo”, mentre io le toglierei pure la terza media, perché in Italia è vero che siamo in guerra, ma con la storia, con la geografia, con la cultura, con l’umanità.
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