«Stavo dormendo. Arrivarono quattro poliziotti e cominciarono a picchiarmi. Mi picchiarono così forte sulle caviglie, sulle ginocchia, sui gomiti, tanto che non riuscivo a muovermi. Picchiarono anche i miei amici che dormivano accanto a me. Poi un poliziotto disse: “Chi ha dei soldi da darci, così vi lasciamo in pace?”. Moses aveva cinquecento scellini (meno di un quarto di dollaro statunitense). Il poliziotto li prese. Questo accadeva sempre durante la notte». Stephen, quattordici anni, da un anno nelle strade di Masaka, Uganda.
Stephen a tredici anni rimane orfano di padre. Il fratello maggiore non vuole prendersene cura e lo caccia di casa; così inizia un lungo viaggio in cerca della mamma che vive altrove. Stephen si perde nelle strade di una città troppo grande per lui e decide di rivolgersi a chi dovrebbe proteggerlo: la polizia. Sbagliando. Gli agenti lo ignorano e Stephen finisce da solo, in mezzo alla strada. Da allora, quella polizia che avrebbe dovuto rappresentare la sua salvezza, diventa il suo peggiore incubo: ne subisce pestaggi, furti ed ogni genere di angheria, insieme ai suoi piccoli compagni di sventura, pressoché ogni notte.
In Uganda, nessuno sa quante migliaia di bambini vivano per strada; le autorità si limitano ad affermarne il continuo incremento. Una crescita facile da intuire se si pensa come l’Uganda sia uno degli stati con il maggior numero di bimbi al mondo: il cinquantasei per cento della popolazione ha meno di diciotto anni, il cinquantanove per cento dei quali vive al di sotto della linea di povertà. Si tratta di tremilioni e settecentomila bambini senza casa, cibo, acqua potabile, tantomeno istruzione o assistenza sanitaria, di cui gran parte probabilmente già vive in mezzo ad una strada, alla mercé del più forte.
Human Rights Watch dipinge il drammatico ritratto dei ragazzini di strada di Kampala e di altri grandi sei centri urbani dell’Uganda nel suo recente rapporto “Where Do You Want Us To Go?” (luglio 2014), dopo averne intervistato ben centotrenta. Storie fatte di povertà, violenza, discriminazione, abusi, sfruttamenti d’ogni genere, ad opera di bambini più grandi, di senzatetto adulti ma anche delle forze di polizia che li considerano un “problema” da risolvere, li accusano ingiustamente di crimini che non hanno commesso e, come nel caso di Stephen, li picchiano e li derubano.
Similmente a quanto abbiamo visto accadere di recente in Brasile con i Mondiali, in occasione di eventi particolari, di conferenze internazionali o di visite ufficiali il governo di Kampala ordina alle forze di polizia di ripulire le strade. Centinaia di bambini vengono così arrestati e detenuti illegalmente nelle stazioni di polizia per diversi giorni, a volte settimane, in promiscuità con adulti criminali, o rinchiusi nel Kampiringisa National Rehabilitation Center dove vivono in uno stato deplorevole, come denunciano gli stessi bambini e i rapporti delle ong.
Non mancano gli omicidi, purtroppo, come quelli dei tre bimbi massacrati a Lira tra luglio e settembre 2013. Le violenze sessuali sono all’ordine del giorno, anche solo per poter entrare a far parte di una banda o per poter stare in un determinato punto della strada. Non solo gli adulti ma anche gli stessi bambini più grandi abusano dei più piccoli, costringendoli ad assumere droghe o a prendere parte a furti e ad altri crimini. Alcuni di questi ragazzini si prostituiscono per sopravvivere. Raramente denunce vengono sporte alle forze di polizia, proprio per il timore di incorrere in ulteriori violenze e punizioni.
Il National Strategic Programme Plan of Interventions for Orphans and Other Vulnerable Children stilato dal governo ugandese si è mostrato del tutto inefficace nel contrastare il fenomeno dei bimbi di strada, poiché non incide minimamente sul sistema socioeconomico e culturale che ha portato a questi drammatici risvolti. Non intervenendo ad esempio nei confronti delle forze di polizia, proibendo violenze ed arresti arbitrari, o in materia di educazione primaria, assicurando a tutti l’istruzione di base, o ancora nel contrastare gli abusi domestici a cui spesso questi minori vengono esposti, il numero dei bimbi di strada non potrà che continuare a crescere. La malagestione delle risorse pubbliche e la corruzione dilagante non sono di certo d’aiuto per un miglioramento della situazione nel breve periodo.
Supportare le ong che si prendono cura di questi bambini è qualcosa che possiamo fare tutti per salvarli dalla strada, ad esempio attraverso l’adozione a distanza. Ma possiamo muoverci anche perché gli investitori italiani che cercano fortuna nell’energia (questo Paese è ricchissimo di petrolio, sul quale hanno già messo le mani Total, Cnooc e Tullow), nella filiera agroalimentare o nei settori dei materiali per la costruzione, delle apparecchiature di telecomunicazione e di generazione e distribuzione elettrica o del turismo (l’Uganda, terra della Rift Valley e dei Gradi Laghi, venne definita da Winston Churchill “la perla d’Africa”)… chiedano al governo di intervenire in favore dei bambini di strada. A tal proposito, chi volesse sollecitare l’ambasciata italiana in Uganda ed il “business club Italia” da essa creato per raggruppare gli imprenditori italiani presenti nel paese, può contattare l’ambasciatore (segreteria.kampala@esteri.it); chissà che si prodighi, insieme ai nostri connazionali in trasferta d’affari, non tanto per importare quattrini quanto per esportare umanità.
Alessandra Contigiani
popoffquotidiano.it
24.7.2014