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03 novembre 2015

I PICCOLI SCHIAVI DEL CACAO, DEL SESSO E DELLE GUERRE PER LE RISORSE

Ecco da dove vengono i profughi "economici" che sfidano la morte nel Mediterraneo
Il primo degli Obiettivi del millennio per lo sviluppo era quello che i governi del mondo si impegnassero ad eradicare la povertà estrema e la fame entro il 2015, ma la realtà è che ancora milioni di africani, asiatici e latinoamericani sopravvivono in miseria e che i più poveri e affamati sono i bambini.  Come spiega  all’Ips Melody Nhemachena, un’assistente sociale indipendente dello Zimbabwe, «In qualsiasi Paese si guardi in Africa, i bambini sono quelli che soffrono la povertà e molti tra loro sono orfani».

Basandosi su un rapporto Unicef del 2003, la Banca Mondiale stima che nel mondo ci siano 400 milioni di minori di 17 anni che vivono in povertà estrema  e la maggioranza di loro sono in Africa e Asia. Le Ong umanitarie dicono che le famiglie povere africane si stanno impoverendo ancora di più  e secondo l’Onu almeno 200.000 minori ogni anno vengono schiavizzati. In una dichiarazione all’IPS, Amukusana Kalenga, che difende i diritti dell’infanzia in Zambia, sottolinea che «Molte famiglie in Africa vivono in una povertà estrema e si vedono obbligate a concedere i loro figli in cambio di cibo a persone teoricamente li faranno lavorare o si occuperanno di loro, però di solito non è così e finiranno col fare lavori forzati e guadagnando quasi nulla».

L’Africa occidentale è una delle regioni dove la moderna schiavitù colpisce di più le donne e i bambini. Dopo che è venuta fuori la tratta delle domestiche e delle lavoratrici del sesso schiave in Tunisia, è emersa anche la schiavitù dei ragazzini che lavorano nelle piantagioni di cacao in Costa d’Avorio, un Paese dove gli indicatori economici sono in ripresa  dopo la guerra civile del 2010-2011, che ha fatto più di 3.000 morti e 500.000 profughi. Ora questo Paese africano attrae manodopera che lavora nei campi di cacao e le famiglie più povere del Burkina Faso, Mali ,  Togo e Benin mandano i loro figli a fare gli schiavi nelle piantagioni.  Secondo un recente rapporto dell’università statunitense di Tulane, tra il  2009 e il 2014, il numero di bambini che lavorano nella produzione di cacao in Africa occidentale è aumentato del 46% e Unicef e governo ivoriano dicono che in  Costa d’avorio i minori schiavi sono passati dagli 800.000 di prima della crisi agli 1,62 milioni di oggi. Questi piccoli lavoratori forzati vengono in gran parte dai Paesi vicini, ma anche dalle zone rurali più povere del nord e del centro della Costa d’Avorio. E’ dal lavoro di questi piccoli schiavi  che viene la cioccolata che mangiamo, visto che il 70% della produzione mondiale di cacao proviente dalla cOsta d’Avorio e dal Ghana.

L’agenzia stampa umanitaria dell’Onu Irin spiega che «La maggioranza del recente aumento del lavoro infantile nei campi di cacao ivoriani risale al 2011. Dopo la crisi post-elettorale, gli agricoltori burkinabés – che costituiscono  tradizionalmente una forza lavoro importante nel settore – si sono sentiti sufficientemente sicuri per ritornare a lavorare nei loro campi».

Maxime M’Bra, direttore di Stop à la traite des enfants, sottolinea che «Negli ultimi 4 anni, abbiamo constatato una forte migrazione di popolazioni da Paesi come il Burkina Faso verso le foreste ivoriane» e secondo l’International Cocoa Initiative, più della metà dei lavoratori bambini in Costa d’avorio lavorano in agricoltura e circa un milione vengono sfruttati dall’industria del cacao. L’Unicef dice che ufficialmente la maggioranza di questi bambini lavora per loro parenti, ma almeno il 10,9% è vittima della tratta transfrontaliera di esseri umani. Dal canto suo, l’International Labour Rights Forum evidenzia che «il lavoro infantile e la povertà sono sempre endemici nelle piantagioni di cacao della Costa d’Avorio e del Ghana»

Teoricamente il lavoro forzato dei bambini in Costa d’Avorio è illegale, con pene che vanno da 1 a 5 anni di prigione e a multe da 800 a 2.200 dollari, ma la legge è applicata raramente e il Dipartimento di Stato Usa dice che «La Costa d’Avorio non si conforma pienamente alle norme minime per l’eliminazione dei traffici» e a poco o niente sembrano servire gli investimenti per ridurre il lavoro minorile, compresi la costruzione di scuole e un dispositivo di controllo per identificare i bambini a rischio.

A giugno l’Interpol ha soccorso  almeno 48 minori tra i 5 e i 16 anni e arrestate 22 persone, che erano in maggioranza parenti dei piccoli schiavi. I minori lavoravano «In condizioni estremamente pericolose per la loro salute – ha detto l’Interpol – Le vittime, alcune delle quali lavoravano nei campi da più di un anno, lavorano regolarmente per molte ore ogni giorno senza ricevere né salario né educazione».

Mike Sheil, che ha realizzato per Anti-Slavery International un’inchiesta fotografica sui bambini schiavi e i matrimoni forzati in Africa occidentale, spiega che «Per molte famiglie del Benin, uno dei Paesi più poveri del mondo, se qualcuno si offre di allevare i lorio figli è quasi un sollievo»,  Intervenendo a un congresso sulla tratta di minori tenutosi nel 2012 a Pointe Noire, in Congo, la direttrice dell’assistenza sociale del Gabon, Mélanie Mbadinga Matsanga, ha ammesso che  «La tratta dei minori è reale. Il Gabon, per esempio, viene considerato l’Eldorado e concentra molti immigrati dell’Africa occidentale che trafficano minori». Infatti il Gabon è il crocevia del traffico dei minori schiavi e delle donne  che vanno a rimpinguare il traffico della prostituzione. SE a questo si aggiunge che in Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, il 70% dei bambini non viene registrato alla nascita e che più del 30% ha gravi carenze educative, si capisce dove sono le ragioni della povertà: neocolonialismo, cattivi governi e fanatismo religioso. Secondo Unicef Nigeria, 4,7 milioni di bambini in età scolare non vanno a scuola e Hillary Akingbade, specialista in gestione dei conflitti, ha detto all’IPS che «Alcuni di questi bambini e bambine, tra i quali ce ne sono di
soli 13 anni,  servono nelle fila di gruppi terroristici come Boko Haram e partecipano ad operazioni suicide e fanno le spie. Le bambine di solito finiscono come schiave sessuali, mentre gli altri bambini africani vengono sequestrati o reclutati con la forza ed ancora di più si uniscono per disperazione, credendo che i gruppi armati siano la loro migliore opzione per sopravvivere».

Akingbade fa notare che, secondo Save the Children, nella poverissima Repubblica Centrafricana tra i 6.000 e i 10.000 bambini si sono uniti ai gruppi armati dopo il colpo di stato del marzo del 2013, quando le milizie a maggioranza musulmana Séléka presero il potere a Bangui, provocando la reazione sanguinosa delle milizie cristiane che hanno sprofondato il Paese nella totale anarchia e negli eccidi religiosi/tribali.

Nel 2014 l’Onu denunciò un forte reclutamento di minori nella nuova guerra civile in Sud Sudan, con almeno 11.000 bambini finiti nelle fila dei ribelli, alcuni volontariamente ed altri costretti dalle loro famiglie con la speranza di migliorare la loro condizione economica».

Come dice una piccola rifugiata congolese del campo profughi di Tongogara, nello Zimbabwe «Per molti bambini del campo come me, la povertà è all’ordine del giorno».

E forse, guardando da quel campo profughi, da una piantagione di cacao o da una delle guerre per le risorse, guardando il terribile mondo che globalizza cacao e sofferenza con gli occhi di un bambino schiavo, si capirebbe meglio perché i profughi rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo.

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